Ordine Equestre del  Santo Sepolcro di Gerusalemme

 

LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA


  CULTURA E SPIRITUALITA' : Lecitio del Vangelo di MATTEO 17, 1-9, di don Cesare Mariano.

prima pagina  

 

 

LECTIO

VANGELO DI MATTEO  17, 1-9

(par. Mc 9,2-13; Lc 9,28-36)

di don Cesare Mariano




1. Premessa: il genere letterario e la verità storica dei Vangeli
Secunda Petri, 1,16-18

16 Infatti, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate (σεσοφισμένοις μύθοις), ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza (ἐπόπται γενηθέντες τῆς ἐκείνου μεγαλειότητος). 17 Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». 18 Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte (καὶ ταύτην τὴν φωνὴν ἡμεῖς ἠκούσαμεν ἐξ οὐρανοῦ ἐνεχθεῖσαν σὺν αὐτῷ ὄντες ἐν
τῷ ἁγίῳ ὄρει). «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento» (cf. Mt 17,5): la berakah, la benedizione che che il Padre pronuncia per il e sul Figlio è destinato a noi in quanto attratti nello “spazio” di questa benedizione dall’esodo pasquale di Gesù. Ascoltando la sua parola ob-audiendo / obbedendo al Figlio, cioè prestandogli l’obbedienza della fede (eis hupakoén tês písteōs: Rm 1,5), noi entriamo sempre nuovamente nella benedizione del Padre.
Questo testo della Seconda Lettera di San Pietro mostra che la storicità dei vangeli e degli altri libri del Nuovo Testamento è un elemento essenziale della fede cristiana. Il cristianesimo non è infatti una dottrina filosofica, né un’etica ma è innanzitutto un fatto, un avvenimento presente.
La “religione” cristiana è conseguenza della fede in Gesù Cristo, nasce cioè come riconoscimento di un fatto, del fatto che nell’uomo Gesù Cristo il Mistero, Dio stesso si è reso
presente corporalmente ed è entrato realmente nella storia dell’umanità. La religione cristiana non è una religione del Libro ma della Parola di Dio, della Parola incarnata e presente. La fede cristiana si basa sul Mistero dell’Incarnazione (cf. Gv 1,14): Dio si è fatto uomo, è entrato personalmente nella storia dell’umanità.
La cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum al n. 19, traccia le fasi del processo di tradizione e redazione che ha dato forma ai vangeli:
«La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con ininterrotta costanza (firmiter et constantissime tenuit ac tenet) che i quattro vangeli sopra indicati, di cui afferma senza esitazione la storicità (quorum historicitatem incunctanter affirmat), trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò ed insegnò per la loro salvezza eterna, fino al giorno in cui fu assunto in cielo (At 1,1-2). Gli apostoli poi, dopo l'ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza (pleniore intelligentia) di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dalla luce dello Spirito di verità godevano. E gli autori sacri scrissero i quattro vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già messe per iscritto, redigendo una sintesi delle altre o spiegandole con riguardo alla situazione della Chiesa, conservando infine il carattere di predicazione (formam denique praeconii retinentes), sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere. Essi, infatti, attingendo alla propria memoria e ai propri ricordi sia dalla testimonianza di coloro che “fin da principio furono testimoni oculari e ministri della parola” scrissero con l'intenzione di far conoscere la “verità degli insegnamenti sui quali siamo stati istruiti” (Lc 1,2-4) ».


2. Introduzione: due quinte

Vorrei introdurre questa meditazione, ponendolo su uno sfondo composto da due quinte, la prima di carattere storico, la seconda di carattere filosofico (estetico)

Primo scenario prospettico: la storia della festa liturgica
La festa della Trasfigurazione del Signore celebrata originariamente in Oriente fu estesa a tutta la Chiesa da papa Callisto III con inizio il 6 agosto del 1457, a ricordo della miracolosa vittoria dei cristiani nell’assedio di Belgrado del 1456, in cui un esercito di 40-50.ooo cristiani (per lo più formato da contadini armati di falci e di fionde) ebbe la meglio sull’esercito turco di Maometto II più grande almeno del doppio, che, solo quattro anni prima, il 29 maggio del 1453, aveva conquistato con orribile strage Costantinopoli e che minacciava di dilagare in tutta Europa, preceduto da fama d’invincibilità e da storie di terrore. A ricordo di questa vittoria con cui l’Europa respinse la dilagante avanzata islamica, è rimasto anche, sempre su iniziativa di Callisto III, l’uso di suonare le campane a mezzogiorno.

Secondo scenario: la vera bellezza, la bellezza crocifissa
Nel romanzo L’idiota, il grande scrittore russo Fëdor Dostoevskji, il protagonista, il principe Myskin, riconosce di aver pronunciato una frase che va incontro alla derisione dei presenti. La frase è: la bellezza salverà il mondo (“Mir spasët krasotà”). La dichiarazione del principe Myskin non era frutto d’ingenuità o di dabbenaggine ma dell’intuizione del significato profondo della realtà, del senso ultimo della storia umana. Quell’affermazione richiama le parole di Pietro stupito davanti alla luce gloriosa di Cristo trasfigurato: “Rabbì, è bello per noi essere qui”. Non una bellezza qualsiasi salverà il mondo, non la bellezza che è solo apparenza, solo sfoggio ed esibizione di corpi privati della loro dignità (e dunque dell’autentica bellezza) ma la bellezza dell’amore di Cristo che risplende sul Tabor (il monte della Trasfigurazione), a Nazareth (nel Mistero dell’Incarnazione del
Verbo), a Betlemme (nel mistero della nascita) e su un altro monte, il Golgota: la bellezza che risplende nel Figlio di Dio consegnato alla morte per noi in cammino verso la bellezza senza fine del Risorto.
Il Cristianesimo è annuncio e dono di questa bellezza, della bellezza di Cristo, che rende bella, buona e beata la vita dell’uomo: pulchrum quia verum et bonum, pulchrum splendor veri (cf. S. Th.).
La bellezza di Dio nella carne di Cristo è l’unica che può salvare il mondo:
«In un mondo senza bellezza – anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso (in senso materialistico, edonistico, facendo della bellezza un oggetto di consumo e di abuso “spiritualistico”, prendendo la bellezza e buttando via la persona bella o che era bella secondo i canoni mutevoli e capricciose delle mode) –, in un mondo che, anche se non ne è privo, ma non è capace di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, ossia l’evidenza del suo dover-esserecompiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non debba piuttosto preferire
il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto più eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici? In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica; i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo prefissato, come delle macchine rotative e dei calco- latori elettronici che devono sfoderare un determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda più nessuno e la stessa conclusione non conclude più» (H.U. Von Balthasar, Herrlichkeit. Eine theologische Ästhetik, Bd. I: Schau der Gestalt, 15s).


3. Contesto

La pericope della trasfigurazione di Gesù si trova nella quinta tavola di quel “dramma in sette atti sulla venuta del Regno” che è il vangelo di Matteo (Benoît), dramma che è imperniato sui cinque grandi discorsi di Gesù, preceduti dalla preparazione del Regno e compiuti dalla realizzazione del Regno nella pasqua di Gesù.
I. Mt 1-2: Nascita ed infanzia di Gesù. La preparazione del Regno nella persona del Messia
fanciullo
II. Mt 3-7: La promulgazione del Regno dei cieli [sezione narrativa (3-4) + discorso evangelico o discorso “della montagna” (5-7)]
III. Mt 8-10: La predicazione del Regno dei cieli [sezione narrativa: dieci miracoli (8-9) + discorso apostolico]
IV. Mt 11,1–13,52: Il Mistero del Regno dei cieli [sezione narrativa (11-12) + discorso delle parabole (13,1-52)]
V. Mt 13,53 – 18,35: La Chiesa, primizia del Regno dei cieli [sezione narrativa (13,53–17,27) + discorso ecclesiastico (18)]
VI. Mt 19-25: L’avvento prossimo del Regno dei cieli [sezione narrativa (19-23) + discorso escatologico (24-25)]
VII. Mt 26-28: Passione e Risurrezione. La venuta del Regno.


4. Lectio

Compositio loci (geografia della salvezza)
Nessuno degli evangelisti indica il nome del monte della Trasfigurazione.
Gli scrittori ecclesiastici e poi i pellegrini lo identificano con il monte Tabor: Origene (248), Eusebio di Cesarea (265-340), Cirillo di Gerusalemme (348-350), poi Girolamo, l’Anonimo di Piacenza, Arculfo.
Il monte Tabor (in arabo Gebel et-Tor) è la montagna più caratteristica della Galilea. Si innalza, perfettamente isolato, di 588 metri sopra il livello del mare, a circa 10 km dalla città di Afula (che alcuni identificano con Ofra, la patria dello shofet Gedeone; cf. Gdc). La sommità del monte si presenta come una vasta piattaforma di 1200 x 400 metri. Questa spianata ha un solo accesso, Bab el-Hawa, la “porta del vento”, frutto delle fortificazioni saracene dopo la fuga dei cristiani in seguito alla sconfitta di Hattin (la regina Eschiva era assediata a Tiberiade nella cittadella e i principi crociati lasciarono imprudentemente la fortezza di Sepphoris senza scorte d’acqua e furono debellati con l’astuzia da Saladino). Il Tabor segnava il confine tra la tribù di Issacar e quella di Aser (cf. Gs 19,22). Nei pressi del Tabor si svolse la battaglia contro Sisara (cf. Gdc 4,21: Giaele gli conficcò un paletto della tenda nelle tempie).
Durante la prima guerra giudaica, il Tabor fu uno dei capisaldi della resistenza ebraica in Galilea. I romani ebbero la meglio solo con lo stratagemma d’attirare i patrioti nella pianura. I primi edifici sacri sul Tabor sorsero in epoca bizantina nel IV sec.: tre chiesette (una chiesa a tre cuspidi?), dedicate una al Salvatore, una a Mosè e una a Elia. Nel 570 il Pellegrino piacentino dice di aver visitato le tre chiese. I resti di un mosaico bizantino sono conservati sulla destra della spianata dopo il cancelletto.
Arculfo (670) vi trovò una numerosa comunità di monaci. Nel XII sec. i crociati edificarono una basilica con un’abbazia benedettina i cui resti sono stati riportati alla luce attorno all’attuale chiesa (dopo il cancelletto sulla sinistra). Tancredi, principe di Galilea, dotò d’ingenti rendite l’abbazia anche per fortificare la basilica ed il monastero.
Alla caduta del regno crociato, i monaci resistettero all’assalto delle truppe del Saladino ma non a quelle del sultano Malek al-Adel che nel 1218 distrusse la chiesa ed il monastero utilizzando le pietre per costruire un bastione di difesa contro cui s’infransero i tentativi di riconquista dei crociati. Dopo la tregua raggiunta da Federico II (1229-1239) i cristiani poterono tornare sul monte ma, nell’impossibilità di ricostruire la basilica crociata, edificarono un oratorio ad ovest dell’antica chiesa. Si giunse così al 1263 quando la furia del sultano Bibars spazzò via tutto.
La santa montagna rimase abbandonata per circa quattro secoli: i più audaci dei pellegrini vi salivano per pregare ed i francescani vi celebravano la S. Messa nella festa della Trasfigurazione, attendendo l’occasione propizia per entrare in possesso del luogo. L’occasione si presentò nel 1631 quando Francesco di Verrazzano, console del Granduca di Toscana a Sidone, convinse il benevolo emiro druso Fakhr ed-Din a donare ai francescani l’area santa. I francescani iniziarono subito a costruirvi una chiesa ed un ostello per pellegrini (appena si arriva sulla spianata a destra).
L’attuale basilica è del 1924, opera di Antonio Barluzzi, è di stile romano-siriaco (che ebbe il suo massimo splendore tra il IV ed il VII sec.) e riprende nelle grandi linee il tracciato della chiesa crociata. Le due torri sulla facciata che sorgono sopra le due cappelle preesistenti dedicate a Mosè ed Elia formano con il grande arco riccamente scolpito un magnifico nartece. La basilica è a tre navate divise da massicci pilastri e da robuste arcate. Nel centro della basilica uno scalone, ampio quanto la navata centrale, discende per 12 gradini alla cripta che custodisce la memoria della trasfigurazione di Gesù. L’altare della cripta è quello rinvenuto negli scavi. Sotto l’altare vi è un vano roccioso che appartiene alla basilica bizantina. I mosaici della cripta, opera di A. Villani, rappresentano le “trasfigurazioni” di Gesù, ossia le manifestazioni della sua gloria: la nascita,
l’eucarestia, la morte e la risurrezione. Sopra la cripta vi è l’altare maggiore con il mosaico della Trasfigurazione.
A sinistra della Basilica si notano altri resti del convento benedettino (la sala capitolare ed il refettorio). Dal belvedere si può lanciare lo sguardo sino a Tiberiade e, nelle giornate limpide, fino al monte Hermon (confine settentrionale della Terra promessa), abbracciando la pianura di Esdrelon, le due catene del Giabal Dahi e del monte Gelboe, i monti di Efraim, la catena del Carmelo, il villaggio di Naim, le colline della Samaria ed il meraviglioso territorio della Galilea in cui Gesù rivelò in parole ed opere il Regno di Dio, presente nella sua persona. Sulla sinistra nella proprietà dei greco-ortodossi vi è la chiesa di S. Elia, che fu ricostruita nel 1862 sulle macerie di quella distrutta dal Saladino dopo la vittoria ad Hattin. Difatti, le truppe del Saladino non riuscendo ad espugnare il monastero fortificato dei benedettini si scatenarono contro il convento dei greci, massacrando orribilmente tutti i monaci.
Accanto alla chiesa di S. Elia vi è la cosiddetta Grotta di Melchisedek in cui la setta eretica dei Melchisedekiani (III-IV sec.) che negava la divinità di Gesù ed affermava la superiorità di Melchisedek, venerava l’incontro di Abramo e Melchisedek, re di Salem, cioè di Gerusalemme (cf. Gn 14,17-20). La tradizione giudaica localizza quest’incontro presso la piscina di Siloe, la spianata del Tempio o presso Ain Karem, i giudeo-cristiani nella grotta sotto il Calvario.
Discendendo, prima della Porta del vento, sulla sinistra vi è la cappella «Descendentibus» a memoria della raccomandazione di Gesù ai tre testimoni della sua trasfigurazione: «mentre discendevano dal monte Gesù ordino loro: “non parlate a nessuno di questa visione finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”» (Mt 17,9).
L’altro monte che è stato proposto come luogo della trasfigurazione è il monte Hermon (har hermon, montagna del Vecchio), cioè il massiccio montuoso di roccia calcarea al confinte tra le terre di Israele, Siria e Libano, formato da tre cime, la più alta delle quali raggiunge i 2.814 m. Nella Bibbia l’Hermon è spesso citato come il confine settentrionale della Terra Santa. Sul monte Hermon non vi sono tracce di santuari antichi legati alla memoria della Trasfigurazione ma gli scavi effettuati sul monte Tabor mostrano tracce evidenti dell’esistenza di una città fortificata già prima del I secolo, laddove i Vangeli parlano del monte di cui un luogo in cui Gesù e i tre apostoli erano “in disparte”, “da soli”, “in un luogo solitario”. Inoltre, prima della trasfigurazione (cf. Mt 16,13; 17,1, 2; Mc 8,27; 9,2) Gesù si trova nel territorio di Cesarea di Filippo, alle pendici dell’Hermon.


5. Testo e struttura

v. 1: ascensione al monte
vv. 2-8: fatto
Lectio di Mt 17,1-9 (Potenza, 13 ottobre 2020) 7
- Trasfigurazione di Gesù e manifestazione di Mosè ed Elia: v. 2-3
- Proposta di Pietro: v. 4
- Teofania trinitaria: v. 5
- Gesù e i discepoli: vv. 6-8
v. 9: discesa dal monte
- Ascensio
1 Sei giorni dopo, Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li fa salire (ἀναφέρει) su un monte elevato (εἰς ὄρος ὑψηλὸν) in disparte (κατ’ ἰδίαν).
- Trasfigurazione e colloquio con Mosè ed Elia
2 E fu trasfigurato/trasformato (μετεμορφώθη) davanti a loro: risplendette il suo volto come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.
3 Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
- Proposta di Pietro
4 Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia».
- Teofania trinitaria (cf. teofania al Sinai prima dell’alleanza: Es 19,16-25; Dt 4,10-12; 5,2- 5.25-31)
5 Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa (νεφέλη φωτεινὴ) li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube (φωνὴ ἐκ τῆς νεφέλης λέγουσα) che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Οὗτός ἐστιν ὁ Υἱός μου ὁ ἀγαπητός, ἐν ᾧ εὐδόκησα· ἀκούετε αὐτοῦ).
- Gesù solo con i discepoli
6 All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.
7 Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi (lett. “risorgete” e smettetela di aver paura (Ἐγέρθητε καὶ μὴ φοβεῖσθε)».
8 Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù stesso solo (εἰ μὴ αὐτὸν Ἰησοῦν μόνον).
- Discesa dal monte
9 Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione (ὅραμα), prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti (ἕως οὗ ὁ Υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου ἐκ νεκρῶν ἐγερθῇ)».


6. Sviluppi esegetici e teologici

La Trasfigurazione annunzia e anticipa la Risurrezione. La Risurrezione è la permanenza della vita umana nel fenomeno della Trasfigurazione.
Nella Trasfigurazione c’è l’evidenza della dignità di Cristo come Signore del mondo (spazio) e della storia (tempo), come compimento della storia della rivelazione (la Legge e i
Profeti). La visione permette di comprendere chi è davvero Gesù. Tutta la gloria della teofania trinitaria è presente abitualmente in lui: 17,8: Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù stesso solo (εἰ μὴ αὐτὸν Ἰησοῦν μόνον).
La Trasfigurazione è la rivelazione anticipata dell’esodo di Gesù, cioè del suo passaggio pasquale di passione, morte e risurrezione (Mt 17,9: «Non parlate a nessuno di questa visione (ὅραμα), prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti [ἕως οὗ ὁ Υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου ἐκ νεκρῶν ἐγερθῇ])».
Indicando in Gesù il suo Figlio e dicendoci di ascoltarlo (Mt 17,5: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» [Οὗτός ἐστιν ὁ Υἱός μου ὁ ἀγαπητός, ἐν ᾧ εὐδόκησα· ἀκούετε αὐτοῦ]), il Padre ci rivela la via della vera luce e della vera gloria.
Un altro passo in cui Matteo presenta un monte elevato è quello delle tentazioni, in particolare nella terza tentazione, Mt 4,8-10: “Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte elevato molto (εἰς ὄρος ὑψηλὸν λίαν) e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10 Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto»”.
La via della vera gloria non è quella abbagliante e seducente ma vuota del potere, dell’avere e del piacere ma quella dell’amore del Figlio di Dio che si consegna alla passione ed alla croce per noi, per la nostra salvezza, perché la nostra vita sia ricolmata di bellezza e di gloria. È per questa bellezza ed è per questa gloria che siamo stati fatti, come evidenzia l’esclamazione di Pietro: «Maestro, è bello per noi essere qui!»
Gesù trasfigurato sul monte è il compimento, nel suo corpo che rivela la gloria del Verbo, di tutta la rivelazione. Infatti, il tema della luce percorre da un capo all’altro la rivelazione biblica, dalla Genesi all’Apocalisse.
La luce è la prima delle creature di Dio (cf. Gn 1,3: «E Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu»), anzi la separazione tra luce e tenebre è il presupposto per la chiamata all’esistenza di tutte le cose. Il libro dell’Apocalisse si chiude con la manifestazione della città sposa, la Gerusalemme celeste, che ha la propria luce in Dio stesso: «Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 22,5).
Nella Bibbia, collegato al tema della luce, vi è il polo antitetico delle tenebre. Entrambe – luce e tenebre – presentano una fortissima connotazione simbolica, al punto che attorno ad esse prendono forma due campi semantici:
- luce: rivelazione di YHWH, guida di YHWH, presenza di YHWH, giorno di YHWH; vita, pace, gioia, benedizione, salvezza, salute.
- tenebre: lontananza da YHWH, peccato, morte, dominio del diavolo, tristezza, angoscia, dolore, maledizione, condanna.
Le tradizioni sapienziali descrivano il contenuto stesso della Rivelazione di Dio (la Legge, la Parola, la Sapienza) attingendo a piene mani alla simbologia della luce (cf. Sap 7,10.19.26.29; 18,4; Pr 4,18-19; 6,23; Qo 2,13; Sal 18,29; 119,105; Gb 29,3). Come nel caso della gioia, anche la luce conosce, nel complesso della rivelazione biblica, un processo di sviluppo che, nella pienezza dei tempi, trova il suo vertice ed il suo compimento nella persona di Gesù Cristo.
Nelle tradizioni dell’Esodo il fatto che Dio sta dalla parte d’Israele (così come indica la rivelazione del suo nome in Es 3,14: ’ehye asher ’ehye, “io sono colui che sono”) è espresso e mediato con dei segni che appartengono al campo semantico della luce. Infatti, Dio guida il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà della terra promessa rendendosi presente e visibile nella colonna di nube / colonna di fuoco (tra gli altri cf. Es 13,21-22; 14,24; Nm 14,4) e si rivela e parla dalla fiamma di fuoco del roveto (Es 3,2).
Alleanza al Sinai
Es 34,29-35 (cf. 2Cor 3)
«29Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui. 30Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. 31Mosè allora li chiamò, e Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò da lui. Mosè parlò a loro. 32Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai. 33Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. 34Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato. 35Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse di nuovo entrato a parlare con il Signore».
- L’alleanza rimane il centro della fede d’Israele in tutte le generazioni successive. Per riaffermare l’alleanza, per purificarla, per annunciarne una rinnovazione “scandalosa” i profeti vengono inviati a predicare.
Ezechiele 10,18-19: «18La gloria del Signore uscì dalla soglia del tempio e si fermò sui cherubini. 19I cherubini spiegarono le ali e si sollevarono da terra sotto i miei occhi; anche le ruote si alzarono con loro e si fermarono all’ingresso della porta orientale del tempio del Signore, mentre la gloria del Dio d’Israele era in alto su di loro».
Anche negli altri libri profetici, la simbologia della luce è collegata soprattutto alla manifestazione del Messia. Molto significativo in proposito l’oracolo di Is 8,23 – 9,6, soprattutto nel suo incipit:
«1Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (cf. Is 9,1). Nei versetti successivi, l’irruzione della luce, apportatrice di gioia e di pace (cf. Is 9,2-4), viene direttamente collegata alla nascita del Re – Messia.
Nei libri dei profeti la simbolica della luce è presente nelle descrizioni del giorno del Signore (cf. Is 24 – 27; Zc 9 – 14; Am 5,18.20; Gl 2,2-5; Ml 3,19-20). La salvezza degli ultimi tempi, che avrà la sua piena manifestazione nel giorno del Signore, viene rappresentata come una trionfale vittoria della luce sulle tenebre (cf. Is 42,16; 49,9; 58,10; c. 60; c. 62).
Nel Nuovo Testamento troviamo, in continuità e compimento con l’Antico Testamento, tre assi tematici, tutti riferiti a Gesù stesso e, in virtù della comunione con lui, ai cristiani.
a) Gesù è identificato con la luce;
b) è luce il mistero salvifico di Gesù, sia per quanto riguarda le sue parole che le sue azioni;
c) è luce la nuova condizione di cui Gesù rende partecipi i suoi discepoli.

Primo tema: Gesù - luce
Nel Prologo di San Giovanni, in Gv 1,4-9 compare per ben sei volte la parola fôs, cioè luce:
«4In lui (cioè nel Logos) era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. 6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo».
Rimanendo ancora nel Vangelo di Giovanni, sono molto importanti tre passaggi in cui, con qualche diversità terminologica, Gesù si identifica con la luce.
8,12: «Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».
9,5: «Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
12,46: «Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre».

Passando al secondo asse tematico (è luce il mistero salvifico di Gesù, sia per quanto riguarda le sue parole che le sue azioni), la descrizione del Mistero di Cristo come avvenimento salvifico luminoso, appare con la più assoluta evidenza nel testo di Mt 4,12-17:
«12Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: 15Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! 16Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta. 17Da allora (apò tote) Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Per il terzo asse tematico (è luce la nuova condizione di cui Gesù rende partecipi i suoi discepoli), consideriamo più da vicino il testo di Mt 5,13-16. Infatti, in questo testo vi è una vera e propria identificazione tra i discepoli di Gesù e l’espressione luce del mondo che in Gv 8,12 Gesù attribuisce direttamente a sé. Mt 5,13-16: «13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella
casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
I due complementi di specificazione “della terra” e “del mondo” ci fanno comprendere subito che è qui in gioco il volto dei cristiani davanti agli altri e non davanti a qualche passante appena, ma al cospetto del mondo intero, della storia umana nella sua totalità.
In questo contesto, l’aspetto più immediato espresso dal simbolo della luce è il fatto che esso esalta la positività e l’efficacia della missione dei discepoli. Dio è luce, Gesù è luce: per avere la meglio sulle tenebre, i discepoli sono chiamati semplicemente ad accogliere ogni giorno in sé stessi la luce di Cristo. Così saranno essi stessi luce che risplende sul mondo. In questo senso l’espressione la vostra luce del v. 16 va parafrasata come la luce che siete voi. Così la vita dei discepoli sarà non una lampada nascosta sotto un vecchio secchio ma una città collocata sopra un monte, un faro che aiuta i marinai a non perdere la rotta.
Un’analoga identificazione dei discepoli con la luce o con i “figli della luce”(chiamati a maneggiare le “armi della luce” ed a portare il «frutto della luce») è presente in vari passaggi dell’epistolario paolino (cf. Rm 13,12-13; 1Ts 5,5; Ef 5,9-11.14). In questi passi, l’Apostolo mette in evidenza la netta distinzione dei cristiani rispetto all’ordinamento della tenebra e della morte e precisa i risvolti morali dell’illuminazione che essi hanno ricevuto in Cristo Gesù.
Ef 5,8-9: «8Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; 9ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità». Questo testo della lettera agli Efesini, con l’evidente riferimento alla grazia del Battesimo, sacramento della rinascita che consiste nell’illuminazione (gr. fotismós – lat. illuminatio) del neofita, nel passaggio dalle tenebre alla luce, mette in evidenza il principio fondamentale dell’etica cristiana e cioè il primato della grazia, il primato dell’agire di Dio sull’agire dell’uomo. Di conseguenza, l’etica cristiana si configura come un’etica responsoriale, come una “risposta” all’iniziativa del Padre che si è rivelato e donato e si dona agli uomini attraverso la rivelazione / dono del Figlio e dello Spirito Santo.


7. Prospettive di Meditatio, Oratio, Contemplatio

- 2Cor 3,12-18:
12Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza 13e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli d’Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. 14Ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. 15Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; 16ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto. 17Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. 18E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.
GIÀ - NON ANCORA
Nesso tra Trasfigurazione e Risurrezione di Gesù nel suo vero corpo
Trasfigurazione anticipazione e caparra della nostra condizione escatologica
Trasfigurazione del Capo, caparra della trasfigurazione delle membra del Corpo mistico
Festum IN TRANSFIGURATIONE DOMINI
Collecta: “... adoptionem filiorum perfectam mirabiliter præsignasti ...”
Præfatio:
“Qui coram electis testibus suam gloriam revelavit, et communem illam cum ceteris corporis formam maximo splendore perfudit, ut de cordibus discipulorum crucis scandalum tolleretur, et in totius Ecclesiæ corpore declararet implendum quod mirabiliter eius præfulsit in capite”
La contemplazione della trasfigurazione del Signore ci fa prendere una più viva coscienza della consistenza e dello spessore della speranza cristiana, che ha come oggetto la verità escatologica (= verità cristologica finale di tutto e per sempre) del Corpo Risorto di Cristo, per sempre Vivente nella gloria del Padre.
Vi sono due giudizi: l’uno individuale, di ciascuna anima, subito dopo morte; l’altro universale, di tutti gli uomini, alla fine del mondo. Nel giudizio universale i corpi risorgono per essere associati al destino eterno delle loro anime. La risurrezione finale riguarda l’intero uomo: ciascuno risorgerà nella stessa carne (trasfigurata) che ha avuto sulla terra.
Ecco perché la Chiesa circonda di venerazione le vestigia terrene e le reliquie dei santi: i loro corpi furono in modo insigne durante la loro vita terrena membra vive di Cristo e templi dello Spirito Santo, le loro anime sono ora nella gloria e, alla fine del mondo, anche i loro corpi saranno pienamente glorificati.
Nel corpo glorificato di Cristo vi è dunque anche la reale anticipazione della gloria futura delle sue membra.
Commissione Teologica Internazionale, Problemi attuali di escatologia (1990): “1.2.5. Infine bisogna notare che nei Simboli esistono formule dogmatiche piene di realismo circa il corpo della risurrezione. La risurrezione avverrà «in questa carne, nella quale ora viviamo».
Perciò è lo stesso corpo quello che ora vive e quello che risorgerà. Questa fede appare chiaramente nella teologia cristiana primitiva. Così sant'Ireneo ammette la «trasfigurazione» della carne, perché, «essendo mortale e corruttibile, diventa immortale e incorruttibile» nella risurrezione finale.
Ma tale risurrezione si compirà «negli stessi [corpi] che erano morti; perché se non fosse negli stessi, neppure risusciterebbero coloro che erano morti». I padri ritengono, quindi, che senza identità corporale non si possa difendere l'identità della persona. La Chiesa non ha mai insegnato che sia necessaria la medesima materia perché si possa dire che il corpo sia lo stesso. Ma il culto delle reliquie, attraverso il quale i cristiani professano che i corpi dei santi «che un tempo erano membra vive del Cristo stesso e tempio dello Spirito Santo [...] saranno da lui risuscitati per la vita eterna e glorificati», mostra che la risurrezione non si può spiegare indipendentemente dal corpo che visse”.
Ecco dunque i nessi: Corpo trasfigurato di Gesù – Corpo Risorto di Gesù – Corpo Eucaristico – Corpo trasfigurato dei cristiani – Corpo risorto dei cristiani. Al centro di queste connessioni vi è la Presenza di Gesù nell’Eucarestia, principio di trasfigurazione nel tempo del cammino terreno, caparra e praelibatio (pregustazione) della risurrezione futura.
- MARIA ASSUNTA, “DI SPERANZA FONTANA VIVACE”
Siamo preceduti e sostenuti dalla Madonna, che è Mistero di luce nella sua stessa persona e nel suo ministero a favore della Chiesa.
Apocalisse 12,1-2: 1 Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. 2 Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto.
Maria creatura trinitaria, assunta in cielo in corpo e anima, glorificata nella sua umanità totale e per questo risplendente sul nostro cammino quale pegno di speranza certa e indefettibile.
Mario Luzi ha detto: “... anche oggi (come ai tempi di San Bonaventura, di San Bernardo, dei grandi dottori medievali) la via pulchritudinis sembra concernere soprattutto la mariologia. In Maria sembra attuarsi sommamente la connessione verità-bellezza, cessare anzi di essere un binomio per divenire unità inscindibile” (“La bellezza come cammino di evangelizzazione e di formazione umana”, PATH 4 (2005) 319-322).

 

 

 


 

Fonte :  Segreteria della Luogotenenza per l'Italia Meridionale Tirrenica : Delegazione di Potenza, relazione di don Cesare Mariano al quarto incontro formativo sui Misteri della Luce del 13 ottobre 2020, inviato da Francesco Cafarelli.

 

 

 

 

 

 


 

 

 

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