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LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA |
TERRA
SANTA : Impressioni
in Terra Santa , di Giovanni Battista Rossi |
IMPRESSIONI IN TERRA SANTA
di Giovanni Battista Rossi
La luce del sole manda un raggio sulla Tomba del Santo Sepolcro.
I miei piedi alle tue porte.
Aeroporto di Tel Aviv, controllo
passaporti: “Vado a Gerusalemme - Hotel? - Casa Nova - E’ già stato in Israele? - Sì, più volte”. La “soldatessa” accenna a un sorriso e mi
consegna il tagliando con il quale sono autorizzato a entrare nel paese.
L’auto corre veloce lungo la
superstrada, chiusa tra due muri di cemento, che attraversa i territori
palestinesi, collegati da sottopassaggi. Dopo una mezz’ora siamo in vista delle
case della periferia di Ramallah e poi cominciamo a salire verso Gerusalemme. A
questa città, da qualsiasi parte si provenga (e non è un luogo comune, ancorché
ripetuto tante volte) si va in salita e varcando una porta: un po’ come accade
per la fede. Già nell’arrivo la città santa si presenta come metafora di se
stessa. E’ uno dei suoi segreti, adombrato nel nome duale Yerushalayim, come a
dire “le Gerusalemme”, città di pietra e casa di anime, città nel tempo e dopo
il tempo, riassunto di tutti i contrasti del mondo e luogo della riunione
finale di tutti i popoli nella pace, quella pace attesa in un futuro
imprecisato e presente come radice nel nome della città.
L’auto ci lascia alla porta Nuova, che dà sul quartiere cristiano e sugli edifici della Custodia; incontriamo Miriam, che lavora per l’Associazione pro Terra Sancta ed è stata l’impagabile organizzatrice del nostro viaggio. Ci accompagna fra le vecchie e tranquille mura della Casa Nova, l’albergo dei Francescani.
Palazzo del Quartiere Arabo
Usciamo quasi subito, con la
fretta di chi non vuole perdere un momento, per inoltrarci nei vicoli del
quartiere arabo; guida alla mano, tra botteghe, odori e rumori, cerchiamo i monumenti dell’arte
islamica, trascurati dagli abitanti e ignorati dal turista frettoloso: scuole
coraniche, bagni turchi, sepolture di dignitari e ricordi di principesse venute
dal nord. I siti più fortunati sono sede di qualche istituzione ma molti sono
degradati ad abitazioni assai modeste.
In questo tiepido pomeriggio l’atmosfera
della città vecchia è rilassata: un ragazzino con la maglia del Barcellona appare
da ogni vicolo; un ebreo osservante che conosce tutti i venditori arabi scambia con essi un saluto incomprensibile:
è un erede di quella Gerusalemme chiusa nelle mura di Solimano di cui resta
testimonianza nei ricordi di Abraham
Yeoshua . Gli ultimi metri verso oriente di ogni stradina diventano off limits in
prossimità della spianata delle moschee. I militari israeliani, per prevenire attriti,
consentono l’accesso solo ai fedeli che vanno a pregare. Particolarmente severa
è una giovane donna alla Porta della Catena: facciamo fatica a pensarla
maggiorenne tale è l’aspetto da ragazzina.
Mentre il sole cala torniamo verso ovest per infilarci nella confusa penombra del Santo Sepolcro, gremito a quest’ora di pellegrini e turisti, categorie diverse accomunate dalla propensione al rumore; la fila all’edicola che custodisce la Tomba è lunga; ci incamminiamo dunque tra corridoi ed arcate sbirciando le poche novità negli eterni e conflittuali lavori di manutenzione. Stasera l’atmosfera non è foriera di emozioni profonde.
Ceniamo sulla terrazza del Notre-Dame, con Miriam e Carla Benelli, storica dell’arte allieva del grande padre Michele Piccirillo e responsabile di alcuni progetti di scavo e conservazione della Custodia francescana. Tra un piatto e un bicchiere ascoltiamo le anticipazioni di quanto ci mostrerà l’indomani sul monte degli Ulivi.
Siamo venuti
L’indomani la sveglia suona presto; in fretta torniamo al Sepolcro per la messa solenne; finalmente posso immergermi nella riflessione sugli eventi di cui è sovraccarico questo luogo; cerco di richiamare a mente tutti quelli, devoti e scettici, che mi hanno detto: “quando sarai lì, pensami”. E’ sentire comune che da queste parti l’orecchio del Signore sia più sensibile. In modo speciale penso a un amico che desiderava tornare presto a Gerusalemme e che da poco ci ha lasciati.
Pellegrino etiope al Santo Sepolcro
Dopo la messa accostandomi a un angolino posso rimanere qualche minuto in più nella tomba vuota; non ci sono sagrestani che invitano, o costringono, a uscire ma dopo un po’ occorre comunque lasciare il posto agli Armeni.
L'Eucarestia dei Siro-Giacobiti
Rapida colazione, poi torniamo in basilica per una visita approfondita: fra Giuseppe ci conduce nelle gallerie superiori, alla cappella dei Franchi fresca di restauro e nel conventino francescano. Intorno Armeni, Copti e Siro-Giacobiti celebrano la loro Eucarestia domenicale, in un mescolarsi di suoni, colori di paramenti e profumi di incenso. L’incenso, sì, ricordo che l’odore ci ha accolti già mentre ci avvicinavamo alla piccola piazza, uno dei profumi indimenticabili della città.
A sinistra la parete della cava di pietra, a destra uno dei muri nord della Basilica
Chiedo di entrare nello spazio
dedicato a san Vartan, dietro la porticina eternamente chiusa a sinistra
dell’altare della cappella di sant’Elena. Fra Giuseppe ottiene un cenno
d’assenso dal sacerdote armeno e interpella il sagrestano, che lo rimanda al
sacerdote e così via, per tre volte. Infine appare la chiave ed entriamo nello
spazio tra la parete della basilica e la roccia dell’antica cava in cui un
tempo si aprivano le tombe, compresa quella “nuova, in cui nessuno era stato
posto”. Sotto i nostri occhi sono resti delle costruzioni dell’imperatore
Adriano, dove un pellegrino del II secolo, prima che sotto Costantino si
portassero alla luce le memorie antiche
e si costruisse la prima basilica, disegnò col carbone la nave con cui era
arrivato, con la vela ormai ammainata e scrisse il celebre “Signore, siamo
venuti”. Accanto a questa vecchia pietra, lontano dal via vai dei visitatori
possiamo sciogliere il voto: anche noi siamo venuti.
Assaggiato il migliore hummus della città vecchia in un modestissimo locale arabo completiamo il pranzo con i dolci e il buon caffè dell’Ospizio Austriaco, angolo inatteso di mitteleuropa nel cuore delle mura, per poi uscire dalla porta dei Leoni e salire al monte degli Ulivi. La dottoressa Benelli ci illustra i restauri dei mosaici della basilica delle Nazioni e il progetto di solidarietà che ha portato un gruppo di giovani palestinesi ad apprendere questa tecnica, che dà loro una prospettiva di lavoro; è un’attività di nicchia, ma che qui è necessaria. Questi ragazzi diventeranno consapevoli del proprio passato e ne garantiranno la conservazione.
"Nell'attesa" : cimiteri ebraici della Valle di Giosafat
Saliamo fino al Dominus Flevit dove il prossimo obbiettivo della Custodia è il recupero dei pavimenti bizantini o almeno di quanto è sopravvissuto al tempo e al succedersi delle costruzioni. Davanti a noi è il panorama più bello e celebre di Gerusalemme; dopo averlo ammirato scendiamo lungo la strada della domenica delle Palme. In vista degli immensi sepolcreti della valle di Giosafat individuo un posto che mi sembra adatto e secondo un’antica usanza poso la mia pietra quale segnaposto per l’ultimo giorno. Si domina tutta la valle e la spianata del Tempio; per di più, prudentemente, il luogo si troverà “in parte dextera” rispetto al seggio del Giudice. Invito mia moglie a sistemare una pietra accanto alla mia, per poterci ritrovare più facilmente nella prevedibile confusione del momento.
Raccolta della lavanda al Romitorio del Getsemani
Il tramonto ci coglie mentre camminiamo nel romitaggio del Getsemani. Il sole sta calando dietro le moschee e la brezza attenua la precoce estate della terra di Giudea; il giardino è pieno di spiritualità e di pace, turbata appena dai rumori delle auto che passano sulla strada di Gerico, amplificati dalla topografia della valle. Rientriamo in albergo percorrendo la via Dolorosa semivuota, illuminata da suggestive luci giallastre.
La Via Dolorosa semideserta a sera
I Tesori della Custodia e Betlemme
L’indomani ci addentriamo in quel piccolo Vaticano, secondo la definizione di mia moglie, che è la Custodia. Il parroco di San Salvatore apre i cassetti della sagrestia dove, finalmente catalogati con ogni cura, si conservano capolavori dell’arte liturgica: preziosi paramenti, dono dei sovrani di tutta Europa nel corso dei secoli, talvolta un unicum, come nel caso di quelli francesi, scomparsi in madrepatria con la rivoluzione. In alcuni armadi paliotti d’argento, calici, croci e ogni sorta di tesoro.
Il piviale del "parato di Genova", nella sagrestia dei Francescani
Nell’archivio, in corso di
riordino e catalogazione mi viene mostrato il registro originale delle
investiture dei cavalieri del Santo Sepolcro che si chiude col nome di Giuseppe
Valerga, primo patriarca residente dai tempi delle crociate, al quale passò il
diritto di collazione. Appare poi la celebre spada detta di Goffredo di
Buglione, fino a pochi anni fa nella sagrestia del Sepolcro, con la quale per
cinque secoli furono officiate le investiture. Avvicino la mano all’elsa e una
foto soddisfa la mia comprensibile vanità.
Fra Sergio Galdi, segretario
custodiale, ci parla a lungo dell’impegno dei Francescani, della tragedia
siriana e dei timori per la stabilità della Giordania invasa dai profughi,
della difficile preparazione alla visita del Papa e del progetto del Museo di
Terrasanta, al cui sostegno è legato il nostro viaggio. Con l’orgoglio di un
figlio della nostra terra ci mostra il presepe tradizionale napoletano che ha
voluto qui; prometto qualche animale da aggiungere alla scena.
Via in macchina verso sud, a
Betlemme; la basilica è occupata per intero dalle impalcature dei restauri.
Scendiamo alla stella d’argento attraverso il passaggio dei Francescani, poi ci
inoltriamo nella città. L’animazione nel suk è moderata: i pellegrini in questa
strada non vengono e forse quest’anno ce ne sono meno. Ci concediamo mezz’ora
di pace e il ristoro dei succhi di frutta offerti nel convento delle Brigidine;
queste suore anche qui hanno una terrazza panoramica, ma a Napoli è tutt’altra
cosa; poi Vincenzo, che dirige la Caritas di Betlemme ci porta in periferia,
alla casa per anziane.
Vincenzo ormai è più palestinese
che siciliano e in città lo conoscono tutti. Ci presenta a suor Immacolata, la
minuta e anziana superiora dell’ospizio, giordana dall’italiano impeccabile,
venato da un accento veneto: ci racconta storie di Provvidenza: l’inatteso
arrivo di rifornimenti di cibo quando sembrava venisse a mancare ma anche il
complesso intervento subito a Roma dieci anni fa per un tumore che l’ha
risparmiata e restituita alla sua opera, evidentemente non ancora compiuta. Le
donne ospiti, non sempre di età avanzata -alcune sono più giovani ma mostrano
evidenti sofferenze psichiche - vivono qui in modo semplice ma decoroso, grazie
ai Francescani, in un edificio che l’Ordine del Santo Sepolcro contribuì ad
ampliare.
L’auto coi contrassegni dell’Associazione
pro Terra Sancta supera il famigerato muro senza particolari controlli: siamo di
nuovo a Gerusalemme, per trascorrere la sera in un pub della città nuova.
La pietra di fondazione
Appuntamento alle 9,30 con l’ accompagnatore musulmano che ci condurrà alla spianata delle Moschee; con lui raggiungiamo la porta della Remissione, uno degli ingressi settentrionali, normalmente riservati all’accesso per la preghiera, ed entriamo tra le aiuole e i cipressi.
La spianata delle Moschee attraverso la "Porta delle Tenebre"
L’amica Miriam con anticipo di oltre un mese aveva chiesto per noi le autorizzazioni dell’autorità islamica e della sicurezza israeliana per l’ingresso nelle moschee, riservate al culto e chiuse ai turisti ormai da molti anni. Percorsa la spianata raggiungiamo il portale di Al-Aqsa ed entriamo nel terzo luogo santo dell’Islam, inondato dalla luce del mattino e percorso dal volo di alcune rondini che lanciano i loro richiami nelle sette navate.
Nella Moschea di al-Aqsa con Miriam e il nostro accompagnatore musulmano
“Chiedete pace per Gerusalemme” recita il salmo 122: non posso fare a meno, mentre cammino sui tappeti, tra marmi e mosaici, di ritornare col pensiero a questo auspicio, inappagato dalla storia, ma atteso un giorno per gli uomini di buona volontà. Sì, concedi pace alla città diletta, o unico Signore dell’oriente e dell’occidente.
Gi "archi delle bilance"
All'interno della Cupola della Roccia
Uscendo verso la Cupola della
Roccia, passiamo sotto gli archi dove un giorno si appenderanno le bilance per
pesare meriti e colpe degli uomini ed entriamo in questo gioiello millenario,
gloria dell’arte islamica e bizantina. Sotto lo splendore dei mosaici, tra le
impalcature dei restauri e i teli di protezione è la “pietra di fondazione del mondo”, quella
che secondo gli Ebrei sigilla l’abisso del caos primordiale di cui parla l’inizio
della Genesi. Sta davanti ai nostri occhi, carica di antiche tradizioni: dalla
polvere di questa roccia fu impastato il corpo di Adamo e qui salì Abramo per
il sacrificio di Isacco; Salomone la racchiuse nel Tempio e la Buraq, la mula
alata, si alzò da essa per il volo notturno di Maometto al Paradiso; qui si
riuniscono le preghiere degli uomini per salire al cielo e su di essa
l’arcangelo Raffaele annunzierà la fine del mondo.
Reduci da un’esperienza privilegiata usciamo sulla Via Dolorosa. Padre Eugenio Alliata ci mostra i reperti del Museo Archeologico Francescano, sistemati secondo i criteri espositivi di un tempo e che saranno parte del costituendo Terra Sancta Museum, oltre agli innumerevoli contenitori , classificati per campagne di scavo e provenienza, in attesa di scelta e valorizzazione.
Urna di Joseph bar Caiaphas, sommo sacerdote dal 26 al 36 d.C. (il Caifa del Vangelo) nell'Israel Museum
Nel pomeriggio ci fa da guida
alla sezione archeologica dell’Israel Museum. Il suo modo di commentare, naturale
e quasi dimesso, non può celare la sua profonda conoscenza del passato e degli
oggetti esposti. Qualche volta critica o corregge una didascalia, altre volte
aggiunge le sue considerazioni ai pannelli descrittivi, spesso deplora che
vengano esposte opere scavate nei territori occupati dopo la guerra del ’67; anche
questa visita è un’esperienza speciale. Ci saluta alla Porta Nuova: “penso che
ci vedremo di nuovo, visto che vi ha preso la malattia di Gerusalemme”.
Le case dei cristiani
Alle spalle del Santo Sepolcro si
stende una parte del quartiere cristiano poco o nulla conosciuta dai visitatori.
Qui le stradine sembrano più larghe ed ariose, ma è la mancanza dei banchi dei
venditori e dei teli stesi a fare ombra a dare questa sensazione.
Le case sono semplici, spesso povere, di solito trattate con decoro. Dove vi è un po’ di spazio e c’è passione per il verde si vedono vasi con piantine curate, quasi giardini pensili in miniatura. Tra i fiori abbondano le immagini sacre: Gesù, la Madonna, San Giorgio. Accomuna tutte le abitazioni la Croce, quel segno che in Occidente pare per molti qualcosa di importuno: chi poteva permetterselo l’ha fatta scolpire nella pietra, altri l’hanno realizzata in legno, chi è più povero l’ha dipinta sul muro; sull’intonaco di una casa uno spray ha disegnato il simbolo della croce quintuplice; difficilmente nell’indossare la mia decorazione smaltata potrò fare a meno di ricordare quel povero segno di appartenenza.
Casa di Cristiani restaurata dai Francescani
La Custodia dove può, e con le
offerte che vengono da tutto il mondo, ripara i pavimenti, apre lucernari, sistema gli impianti elettrici, ammoderna i
servizi igienici. Un’anziana ci offre caramelle e accetta con ritrosia una foto
ricordo; di una giovane ci raccontano che non vuole lasciare i disagi della
città vecchia perché al mattino, aprendo la finestra, vede le cupole del Santo
Sepolcro.
Il viaggio volge al termine,
anche se ci sarà una breve appendice a Tel Aviv; pranziamo in vista della porta
di Damasco con Tommaso, direttore dell’Associazione pro Terra Sancta e Miriam. Poi i saluti: L'shana Haba'ah B'Yerushalayim,
“l’anno prossimo a Gerusalemme”.
L’auto punta verso Tel Aviv;
Samer, seduto al volante impreca ai
furbi della strada, si divincola dal traffico della città nuova cambiando più
volte rotta, poi guadagna la superstrada e infine ci lascia a destinazione. Ciao,
amico, alla prossima, speriamo. “Insciallah” risponde Samer, arabo, autista di
fiducia dei Francescani.
Queste note sono il ricordo di alcuni giorni trascorsi con mia moglie a
Gerusalemme, nell’ambito di una visita personale e “speciale”, organizzata in
supporto al costituendo Terra Sancta Museum, che raccoglierà i tesori
archeologici, storici e artistici della Custodia di Terra Santa e delle opere
dei Francescani.
Fonte: si ringrazia l'Autore Grand'Uff. Prof. Dott. Giovanni Battista Rossi che ha cortesemente inviato le sue impressioni in Terra Santa alla Redazione del Portale OESSG - Luogotenenza per l'Italia Meridionale Tirrenica.
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