Ordine Equestre del  Santo Sepolcro di Gerusalemme

 

LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA


  CULTURA E SPIRITUALITA' : Il Cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme rispettoso fratello dei fedeli di altre religioni , di Mons. Vincenzo Taiani

prima pagina  

 

 

IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME

RISPETTOSO FRATELLO DEI FEDELI DI ALTRE RELIGIONI

relazione del

Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani

 

 

Luogotenenza Italia Meridionale Tirrenica

Sezione di Salerno

 

 

Incontro spirituale di preghiera, di ascolto della Parola e di meditazione

 

 

relatore il Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani

 

IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME

RISPETTOSO FRATELLO DEI FEDELI DI ALTRE RELIGIONI

CAVA DE’ TIRRENI - Curia Vescovile – VENERDI 18 MAGGIO 2012

 

DICHIARAZIONE CONCILIARE ‘NOSTRA AETATE

SULLE RELAZIONI DELLA CHIESA CON LE RELIGIONI NON-CRISTIANE (28 ottobre 1965)

  

 

 

            A. – IL PROBLEMA

 

            Viviamo in una società non solo plurietnica, ma anche, e, proprio perché plurietnica, conseguentemenete plurireligiosa. Nell’ottica delle plurireligiosità due sono i problemi più emergenti:

 

·        1.- quello di una lotta e di un integralismo, che, spesso, non solo non lasciano spazio al dialogo pacifico e alla riflessione pacata per un confronto innanzitutto lineare, intellettuale, scientifico e storico, ma sfociano addirittura in una lotta senza quartiere, in uno scontro mortale e in una giustizia sommaria senza processo, che termina, alcune volte, con l’eliminazione fisica di chi professa una religione diversa, impedendo un possibile approccio ecumenico, che potrebbe unire le diversità senzo confondere e annullare le identità specifiche; in questi ultimi tempi sta esplodendo l’odio interreligioso;      

·        2.- quello di una confusione mentale enorme, indice di un analfabetismo religioso, che spaventa in un mondo culturalmente globalizzato in internet, denotando un’approssimazione di informazione per sentito dire, senza che si sia fatto carico di un approfondimento sia pure incompleto  e superficiale.

Si potrebbe ritenere che le guerre di religione siano solo un ricordo del passato, delle crociate?
Eccone un rapido elenco, giusto per ricordarne alcune degli ultimi 20 anni, non causate solo dalla religione, ma tutte tenute in vita in gran parte con argomenti da guerra santa:

- La questione israelo-palestinese
- La lotta tra cristiani e protestanti in Nord Irlanda
- La guerra tra India e Pakistan
- Gli attentati dell’11 settembre e la conseguente guerra globale all’Islam estremista
- La guerra in ex-Yugoslavia
- La lotta intestina tra sciiti e sunniti in Iraq (e non solo)
- L’attuale insurrezione islamica nel Maghreb (Algeria, Mauritania, Marocco)
- Le innumerevoli guerre civili africane.

            E’ ovvio che i motivi alla base di una guerra non sono mai solo ed esclusivamente religiosi; tra le grandi cause di conflitto si trovano anche la continua ricerca di potere economico, il razzismo e il nazionalismo; ma le differenze religiose troppo spesso sono quelle che danno convinzione e forza alla popolazione durante una guerra, proprio perchè invocano il soprannaturale e chiamano al sacrificio.
Senza la promessa di un premio nella vita successiva o in Paradiso cadrebbero gran parte delle motivazioni, che spingono al terrorismo, alla guerra santa e alla violenza contro gli altri ritenuti  “infedeli”. L’educazione all’irrazionalità e alla fede incondizionata ha portato alla creazione di schieramenti di tifoserie rivali, che sono pronte a tutto pur di difendere il proprio Dio. Ma la religione non è irrazionalità o sentimento, come non lo è la fede.

            Spesso si sente dire, specie tra i giovani: ‘ma che differenza c’è tra Allah dei Musulmanni e il Dio dei cattolici? Non è sempre lo stesso Dio? Non è la stessa fede?’. Ciò crea e denota confusione intellettuale, approssimazione culturale, incomprensione fideistica e teologica.

            La Dichiarazione Conciliare ‘Nostra Aetate’ può offrire delle risposte valide in merito e avviarne altre possibili in un mondo e in una societa, che stanno cambiando vertiginosamente da tutti i punti di vista.

 

 

            B. – SINTESI DEL DOCUMENTO

 

            Il documeno ‘Nostra Aetate’ (NA) è  una DICHIARAZIONE del Concilio Vaticano II SULLE RELAZIONI DELLA CHIESA CON LE RELIGIONI NON-CRISTIANE, che porta la data del 28 ottobre 1965. Narrano, gli storici del Concilio, che la Dichiarazione Nostra Aetate ha conosciuto un iter arduo e spesso difficile. Qualcuno dice che dopo un anno di lavoro preparatorio il testo si componeva di poche pagine. Nel 1963 il testo lungo poco più di una facciata, venne distribuito in aula come IV capitolo dello Schema sull’Ecumenismo. All’inizio era stato concepito per eseguire il desiderio di Papa Giovanni XXIII di una dichiarazione sugli Ebrei. Poiché questo non sarebbe però ricaduto in senso stretto sotto il tema dell’ecumenismo prevalse presto l’idea di fare un documento a parte. Anche i contenuti vennero estesi. Mentre i Padri conciliari dell’Europa e degli Stati Uniti pensavano alle relazioni con gli Ebrei, quelli del mondo arabo avvertivano una diversa reazione dai Musulmani, per cui difesero l’idea che almeno si discutessero nello stesso documento le relazioni tanto con gli Ebrei che con i Musulmani. Per di più, i Padri del Concilio, specie dall’Asia e dall’Africa, pensavano alle altre religioni del mondo. Quello che ne risultò alla fine fu un breve documento articolato in cinque paragrafi. I paragrafi 1 e 5 si applicano a tutte le religioni. Il paragrafo 2 è sull’Induismo, il Buddismo e altre religioni. I musulmani sono ricordati nel paragrafo 3 e gli Ebrei nel paragrafo 4.

            1.- introduzione

            Nel primo paragrafo, Nostra Aetate sviluppa una delle idee care a Giovanni XXIII, cominciando da ciò che gli uomini hanno in comune: lo stesso Dio Creatore, la stessa origine, la stessa natura umana, la stessa fine in Dio, la stessa Divina Provvidenza. Per di più, gli uomini cercano nelle diverse religioni risposte ai profondi misteri che riguardano l’esistenza umana: origine, scopo della vita, peccato, male, sofferenza, Dio, fine dell’uomo.

            2.- le diverse religioni

            Il paragrafo due inizia col notare che una certa percezione della verità religiosa, e qualche volta di una Divinità suprema o Padre, si trova tra i popoli dei tempi antichi. Alcune delle maggiori caratteristiche dell’Induismo, del Buddismo o di altre religioni sono citate. Tra le cose più importanti NA dice che la Chiesa Cattolica, mentre proclama sempre Cristo come "via, verità e vita" (Gv 14,6), non respinge niente di ciò che è vero e santo in queste religioni. Perciò la Chiesa esorta i cattolici ad entrare con prudenza e con amore in dialogo attivo con gli altri credenti.

            3.- la religione musulmana

            Nel paragrafo 3°, NA rivolge l’attenzione ai musulmani. Essi credono in Dio, Creatore, ricco di misericordia e giudice. Hanno riverenza per Gesù come profeta, ma non come Dio. Onorano la Beata Vergine Maria come madre del profeta Gesù. Sono attenti alla preghiera, al digiuno, alle elemosine e alla vita morale. La Chiesa guarda a loro con stima e richiama cristiani e musulmani all’urgenza di dimenticare le ingiurie del passato e di lavorare insieme d’ora in avanti per promuovere la giustizia, la pace, la libertà ed i valori morali.

            4.- la religione ebraica

            Nel paragrafo 4°, NA considera le relazioni con gli Ebrei. Un tema che ha, forse, reso difficile l’iter della Dichiarazione. La Chiesa non può dimenticare che ha ricevuto l’Antico Testamento dagli Ebrei e che Gesù, la Vergine Maria e gli Apostoli erano Ebrei. Perciò il Concilio ha voluto rafforzare la comprensione e il rispetto cristiano-ebraico, che è frutto soprattutto di studi teologici e del dialogo. Benché gli ebrei non accettino il Vangelo di Cristo, essi rimangono molto cari a Dio. È vero che le autorità giudaiche fecero pressione per la morte di Cristo, ma ciò non può essere portato a biasimo di tutti gli ebrei di allora o di oggi. La Chiesa respinge l’antisemitismo in tutte le sue forme. Tuttavia, la Chiesa continua a proclamare Cristo e in particolare la Croce di Cristo come segno dell’amore di Dio che abbraccia tutti gli uomini.        

            5.- fraternità universale

            NA conclude al paragrafo 5° col dire che l’invocazione a Dio, Padre di tutti, deve essere genuina per aprire i cuori ad accogliere e amare ogni essere umano e a respingere ogni forma di discriminazione basata sulla razza, sul colore, sulla condizione di vita o religione

 

 

            C. – COMMENTO SUL DOCUMENTO

 

            La "Nostra Aetate" è il primo documento ufficiale della Chiesa Cattolica, che parla in modo amichevole e non polemico dell’Ebraismo con il quale instaura un dialogo

            Storicamente l'antisemitismo, nella forma in cui si è espresso e si esprime, è il prodotto dell'ostilità religiosa (antigiudaismo) alimentata dai cristiani contro gli Ebrei, che sono stati accusati di essere tutti insieme, come popolo, i responsabili dell'uccisione di Gesù, ovvero del deicidio. Gli Ebrei sono stati considerati colpevoli non solo di non aver voluto riconoscere la divinità di Gesù, ma addirittura di averlo messo a morte. In ragione di questa accusa gli Ebrei nel corso dei secoli vennero emarginati dalla società, privati di molti diritti e costantemente guardati con diffidenza. E' appunto l'accusa di deicidio il marchio di infamia che nel mondo cristiano accompagnerà gli Ebrei fino al Concilio Vaticano II (ottobre 1965), il quale con  la "Nostra Aetate"  limita tale accusa al Sinedrio e agli abitanti di  Gerusalemme (i mandanti), mentre assolve tutti gli Ebrei dell’epoca e delle  generazioni successive Ciò è importante nel dialogo interreligioso fra Cristiani ed Ebrei dopo 20 secoli di antigiudaismo e antisemitismo cristiano.

            Ma una lettura critica del Nuovo Testamento evidenzia che Gesù stesso si è volontariamente consegnato al Sinedrio con il preciso scopo di farsi uccidere per poi risorgere. Infatti Gesù, se voleva salvare l'Umanità dall'autodistruzione  (Genesi 2:16), non poteva morire suicida, doveva per forza morire assassinato! Perciò Gesù aveva bisogno di qualcuno che lo uccidesse, altrimenti, se ciò non fosse avvenuto, Egli non sarebbe risorto e così non avrebbe potuto salvare l'Umanità dall'autodistruzione.

NA strategicamente comincia con ciò che i cristiani hanno in comune con i credenti delle altre religioni. Mostra sincero apprezzamento per ciò che è buono, vero, nobile e santo nelle loro religioni. Urge la collaborazione tra loro e i cristiani. Questa strategia ha avuto positivo impatto in questi trent’anni, tanto all’interno che fuori dei confini visibili della Chiesa.

            Il contesto storico in cui NA è apparsa era un momento di notevoli cambiamenti, un tempo di speranze e di paure. Nel 1965 erano trascorsi poco più di vent’anni dalla terribile persecuzione inflitta agli ebrei dal nazismo. L’olocausto è stato l’orrendo evento che invitò a riflettere i credenti di ogni religione. Obbligava a un esame di coscienza sulla questione dell’anti-semitismo. Sulla scena politica, il riconoscimento dello Stato d’Israele e la sofferenza dei Palestinesi costretti a diventare profughi, gettavano come un’ombra sulle relazioni tra credenti, specie Ebrei, Cristiani e Musulmani. In aggiunta al fatto della profonda influenza dei blocchi delle due super potenze, molti dei nuovi Paesi indipendenti negli anni sessanta formarono un terzo blocco (il cosiddetto terzo mondo) dei Paesi non allineati. Molti di questi Paesi erano islamici. La religione dell’Islam ha fatto allora la sua comparsa sulla scena internazionale nei tempi moderni. Il potere dei petrodollari si è sviluppato molto negli anni settanta.

Il risveglio islamico cominciava ad essere affetto dalla violenza soprattutto a causa della non risolta questione palestinese. Le grandi religioni dell’Asia, Induismo e Buddismo, hanno soltanto cominciato a essere meglio conosciute nell’Europa Occidentale nel 1965. I viaggi internazionali per motivi differenti erano appena al loro inizio. Il benessere economico non aveva ancora raggiunto il livello degli anni ottanta e novanta, quando tanti turisti hanno iniziato a riempire i grossi jets nei viaggi dall’est all’ovest e dall’ovest verso l’est.

            Nel 1965 molti Paesi africani, a sud del Sahara, avevano ottenuto la loro indipendenza politica soltanto nell’ultimo decennio. Molti di loro cercavano di creare un sentimento di nazione in Paesi in cui molti gruppi etnici erano stati messi insieme a discrezione dei colonizzatori. Non si conosceva molto della religione tradizionale africana nelle università europee, nonostante alcuni giovani studiosi africani avessero cominciato a esprimere le credenze tradizionali e le pratiche dei loro antenati interrogandosi su che cosa il Vangelo avrebbe dovuto dire agli africani, tenendo conto della loro eredità religiosa e culturale.

            NA era stata un buon inizio per costruire amichevolmente relazioni ed una più stretta collaborazione tra Cattolici ed Ebrei, Musulmani e credenti di altre religioni. Sebbene sia il più breve dei sedici documenti del Vaticano II, esso è molto dinamico, come hanno dimostrato gli ultimi 30 anni. Papa Paolo VI aveva preparato la Chiesa ed il mondo alla promulgazione di NA istituendo un Segretariato per i Non-Cristiani come dicastero indipendente della Curia Romana nella Pentecoste del 1964. Dieci anni dopo fu istituita la Commissione per le relazioni religiose con gli Ebrei all’interno del Segretariato per la promozione dell’unità dei Cristiani e una Commissione per le relazioni religiose con i Musulmani all’interno del Segretariato per i Non-Cristiani. Già nell’ultimo anno del Vaticano II, il Cardinale Marella, Presidente del Segretariato per i Non-Cristiani, insieme agli officiali del suo dicastero, cominciò a incontrarsi con i consultori e con i Vescovi che partecipavano al Concilio. Lo sforzo dei primi anni fu sul modo come far pervenire il messaggio del Concilio ai cattolici di tutto il mondo, su come superare i pregiudizi e incoraggiare un atteggiamento di rispetto. Un esempio del desiderio di raggiungere gli altri credenti, è il messaggio annuale ai Musulmani all’inizio del loro mese di digiuno a partire dal 1967 e, senza interruzioni, fino ad oggi. Al tempo del Cardinale Pignedoli quale Presidente del Segretariato (1973-1980), furono promossi - con determinazione - incontri al Cairo, Lussemburgo, Bongkok, Abidjan, Kampala, Niamey, Tripoli, Yaoundé, Kyoto, Vienna, Praglia e Nemi. Furono eventi degni di rilievo come la visita del Cardinale al Re Feisal dell’Arabia Saudita nel 1974, che venne restituita l’anno successivo con la visita di un gruppo di studiosi dell’Arabia Saudita al Segretariato.

            La Conferenze Episcopali di tutto il mondo cominciavano a porre grande attenzione al dialogo con le altre religioni. La Federazione delle Conferenze dei Vescovi dell’Asia era attiva, come a tutt’oggi, con l’organizzazione degli Istituti per i Vescovi (studio, contatti pratici e visite). Ordini religiosi, quali i Gesuiti, i Francescani, i Domenicani ed i Missionari dell’Africa dedicavano sempre più personale, tempo e finanze al dialogo. La collaborazione tra il Segretariato per i Non Cristiani ed l’ufficio corrispondente nel Consiglio Mondiale del Segretariato delle Chiese a Ginevra divenne normale. La Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei sviluppava sempre più contatti nella promozione della reciproca comprensione dei Giudeo-Cristiani con la pubblicazione di NA; nessuno a livello individuale, di associazione o di governo avrebbe potuto d’ora innanzi implorare che vi fosse stata una ratifica cristiana per ogni qualsiasi discriminazione contro gli Ebrei.

            Si vide la necessità di direttive che potessero aiutare i cristiani ad incontrarsi con gli altri credenti e rendere infine le direttive del Vaticano II realmente operative. La qualità e la quantità dei documenti che sono stati emanati negli ultimi trenta anni dal Segretariato per i Non Cristiani e dalla Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei è veramente impressionante. Il Segretariato per i Non cristiani ha iniziato col dare indicazioni generali: La speranza che è in noi: una breve presentazione della fede cattolica, 1967. Questo fu seguito da Verso l’incontro delle religioni: suggerimenti per il dialogo, 1967; una raccolta di testi di Papa Paolo VI sulle relazioni con le religioni non cristiane, 1965 e 1967; e diverse monografie su Uomo e religione, 1968, Alla ricerca della salvezza, 1970; Dio o l’Assoluto nelle religioni, 1970; Il bene e il male nelle religioni, 1970; Temi fondamentali per una comprensione dialogica, 1970; e Religioni del mondo, 1977. Una seconda serie di pubblicazioni ha fornito indicazioni sul modo come incontrare seguaci di ognuna delle maggiori religioni: Musulmani nel 1971, reintrodotta nel 1988, Religioni Africane nel 1971, Buddisti nel 1971 e Indu nel 1973. L’Assemblea plenaria del Dicastero ha pubblicato nel 1984 L’atteggiamento della Chiesa verso i seguaci di altre religioni: Riflessioni ed orientamenti su dialogo e missione. Ciò puntava a dare una risposta al problema circa il posto del dialogo nella missione evangelizzatrice della Chiesa. Questo documento è stato grandemente apprezzato per le direttive chiare e per la sua riflessione teologica e lo sviluppo di quanto aveva detto sul dialogo il Vaticano II. Nel 1986 il Segretariato collaborò con i Dicasteri per l’Unità dei Cristiani, dei Non Credenti e della Cultura per addivenire ad un documento pastorale: Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: una sfida pastorale. Questo documento ha aiutato le Chiese locali in tutto il mondo ad assumere un corretto atteggiamento verso le sette. In seguito, una raccolta di testi desunti dagli insegnamenti di Paolo VI e vari vescovi sul problema fu pubblicata nel 1995. Due lettere furono inviate dal Dicastero sulle religioni tradizionali: nel 1988 a tutti i Vescovi dell’Africa e nel 1993 ai Vescovi delle altre parti del mondo dove si possono trovare le religioni tradizionali. Nel 1991 il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, cosi è stato denominato il Segretariato dal 1988, insieme con la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha pubblicato Dialogo e Annuncio. È questo un documento autorevole che insegna come entrambi questi elementi, anche se non allo stesso livello, fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. Questo documento utilizza ciò che c’è di meglio del recente insegnamento teologico sul dialogo ed incoraggia un’ulteriore riflessione teologica in linea con il Vaticano II ed il magistero papale di Giovanni Paolo II. Colloqui tra il Pontificio Consiglio e diversi organismi islamici tra il 1989 ed il 1994 hanno dato origine alle seguenti pubblicazioni di indirizzo e riflessione: Educazione religiosa e società moderna del 1989, Coesistenza e religioni del 1990, Diritti ed educazione dei bambini nell’Islam e nel mondo cristiano del 1990, Donne nella società del 1992, e Nazionalismo oggi: problemi e sfide del 1994. Ancora, il dialogo con i musulmani ha avuto ulteriore attenzione in Studi sulle correnti e sui movimenti nell’Islam contemporaneo del 1993, e in un album Riconoscere i legami spirituali che ci uniscono: 16 anni di dialogo cristiano-musulmano del 1994. Nel 1994 il Pontificio Consiglio ha pubblicato una raccolta di documenti del Magistero pontificio dal 1963 al 1993, di 879 pagine. Nel 1995 un Direttorio del Dialogo interreligioso è stato pubblicato per dare informazioni sulle Commissioni per il Dialogo specialmente delle Conferenze episcopali. Un colloquio teologico su Gesù Cristo, Signore e Salvatore, e le religioni è stato organizzato dal Pontificio Consiglio nel 1994 a Pune, in India, per i teologi cattolici di tutto il mondo. Gli atti sono stati pubblicati in Pro Dialogo nel 1994. Similmente gli atti del colloquio internazionale Cristiano-Buddista tenuto a Taiwan nel 1995 sono stati pubblicati in un numero speciale di Pro Dialogo nel 1995. Nell’anno internazionale della famiglia, 1994, il Pontificio Consiglio, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha organizzato un colloquio con i rappresentanti di otto religioni ed ha pubblicato gli atti in un libro: Matrimonio e famiglia nel mondo di oggi, 1995. La Commissione per le relazioni religiose con gli Ebrei ha pubblicato due documenti maggiori: Istruzioni e suggerimenti per realizzare la Dichiarazione conciliare Nostra Aetate (n.4), nel 1974, Note sul modo corretto di presentare Ebrei ed Ebraismo nella predicazione e nella catechesi nella Chiesa Cattolica Romana, nel 1985. Insieme con il suo partner officiale nel dialogo, il Comitato internazionale giudaico sulle consultazioni interreligiose, la Commissione ha pubblicato nel 1994 una Dichiarazione comune sulla famiglia.

            Da queste pubblicazioni si può ben vedere che le indicazioni ufficiali per attuare le direttive di NA non sono mancate da parte della Santa Sede. Le Conferenze episcopali e gli istituti religiosi hanno svolto anch’essi la loro attività, ma non si possono qui elencare tutte le indicazioni date da loro. È sufficiente dire che NA ha sprigionato molte energie ed ispirato molte iniziative. Nella storia degli uomini e della Chiesa le situazioni evolvono. La pubblicazione di NA, dando origine a nuovi stili, sforzi ed iniziative, ha anche influenzato l’emergere di nuovi interrogativi, sfide e problemi.

            NA è un’espressione dell’avvicinamento a braccia aperte che Papa Giovanni XXIII desiderava per il Concilio Vaticano Secondo. Passeranno decenni prima che la Chiesa esaurisca il potenziale che ha suscitato NA in campo pastorale, teologico, religioso, sociale, educativo e culturale.         

 

  

            D. – RIFLESSIONI TEOLOGICHE E PASTORALI

           

            1.- Dialogo interreligioso

 

            Alcuni si sono sorpresi del posto che il dialogo ha trovato nella missione universale della Chiesa. Deve ciò essere considerato come pre-evangelizzazione o come evangelizzazione indiretta? O è indirizzato alla conversione al cristianesimo? Risposte autorevoli sono state date dal documento Dialogo e missione, del 1984, a conclusione dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, e specialmente dal Papa Giovanni Paolo II nella sua Lettera Enciclica Redemptoris Missio. "Il dialogo interreligioso è parte della missione evangelizzatrice della Chiesa" (RM 55). E’ uno dei suoi elementi.

            Vi sono alcuni nella Chiesa che hanno paura che l’impegno nel dialogo interreligioso possa indebolire la percezione della differenza tra cristianesimo e le altre religioni e portare ad un’indifferenza religiosa e all’errore di guardare una religione come uguale a qualunque altra. Insieme a questo pericolo bisogna considerare l’errore di credere che la Chiesa non è necessaria per la salvezza e che quindi i missionari non hanno bisogno di enfatizzare la conversione, ma piuttosto di impegnarsi in opere sociali, mantenere buone relazioni con gli altri credenti, e astenersi dal disturbare uomini che hanno già una loro religione. In ciò è insito l’errore che tutte le religioni sono diverse vie di salvezza.

            Elementi per una risposta erano già disponibili nel Vaticano II, specialmente nei documenti Lumen Gentium, 14-17, Ad Gentes, 9, Gaudium et Spes, 22, e perfino Nostra Aetate, 2. Documenti pubblicati dopo il Concilio hanno approfondito questa dottrina. Evangelii Nuntiandi, 53, dà il necessario orientamento. Redemptoris Missio, 4,5,11 risponde molto chiaramente a queste domande. Così come Dialogo e Annuncio, 18, 30. 31. 66. Essenzialmente, la risposta è che una persona che non appartiene alla struttura visibile della Chiesa potrebbe essere salvata ad alcune condizioni che solo Dio può alla fine giudicare. Infatti soltanto nella Chiesa si può trovare la pienezza dei mezzi di salvezza. Rimane perciò l’urgenza di predicare Gesù Cristo e invitare gli uomini a credere liberamente in Lui (cfr. anche Evangelii Nuntiandi, 22). Le altre religioni sono ‘via’, ‘strumenti idonei’ per il Cristianesimo.

            I teologi cattolici hanno molto lavorato per rispondere alle domande se i fondatori di alcune religione del mondo possono essere chiamati profeti; se possiamo parlare di una qualche rivelazione in queste religioni; se in ogni caso queste religioni possono essere chiamate mezzi di salvezza; e su come spiegare la unicità di Cristo e della Chiesa ai credenti senza voler apparire arroganti. E’ vero che non tutti quelli che hanno avuto un ruolo di rilievo nel promuovere il dialogo interreligioso siano sempre riusciti a conservare la dottrina cattolica nella sua integrità. Vi sono alcuni teologi cattolici, ad esempio, che nel loro desiderio di presentare il cristianesimo a uomini di culture influenzate da altre religioni, sono venuti pericolosamente vicini al mettere in dubbio alcuni dei fondamenti della fede cattolica, senza di fatto arrivare a negarli. Alcuni presi dall’entusiasmo hanno suggerito che una selezione dei libri sacri di altre religioni fossero letti nella liturgia cattolica. Ciò è inaccettabile.

            Una sfida emergente è il desiderio degli uomini di religioni diverse di pregare insieme specialmente durante gli incontri o in occasione di celebrazioni nazionali. Il desiderio, buono in se stesso, non è scevro da problemi teologici. La preghiera si basa sulla fede. Gli uomini possono avere la stessa preghiera soltanto se credono nella stessa cosa. Questo problema è allo studio. I matrimoni interreligiosi, mentre rimangono occasioni eccezionali per buon intendimento oltre frontiere religiose, sollevano problemi riguardo alla preghiera, all’educazione religiosa dei figli e alla libertà di religione per gli interessati. 

            Il principio della libertà religiosa per ogni individuo o gruppo, e l’importanza per tutti i Paesi ad accettare e mettere ciò in pratica, non dovrebbe essere dimenticato nei contatti e discussioni con gli altri credenti. La Chiesa cattolica ai vari livelli, universale, nazionale, diocesano e parrocchiale, deve chiedersi in quale modo può collaborare con gli altri cristiani, altri credenti e organizzazioni, associazioni e movimenti non religiosi.

            Papa Giovanni Paolo II ha mostrato con grande responsabilità il desiderio del Vaticano II al dialogo interreligioso. Nella sua prima lettera enciclica, Redemptor Hominis, 6, parla dello "Spirito di Verità che opera fuori dei confini visibili del Corpo mistico". Il Papa ha non soltanto parlato e scritto sul dialogo interreligioso, ma ne ha fatto una delle pietre miliari del suo pontificato. Si potrebbero considerare il Papa quando cita in Giappone le parole riferite a Saicho, l’antico fondatore del Buddismo Tendai, che "l’essenza dell’amore è dimenticare se stesso nel servizio agli altri" (1981), o nel rendere visita al Patriarca Buddista di Tailandia (1984), o rivolgendosi agli 80.000 giovani musulmani a Casablanca, in Marocco (1985), o pregando sulla tomba del Mahatma Gandhi in India (1986), o visitando la sinagoga ebraica di Roma (1986). Il Papa ha dato un esempio ai cristiani dell’impegno della Chiesa Cattolica nel dialogo interreligioso.

            La più prominente tra tutte le eloquenti e significative iniziative prese dal Papa Giovanni Paolo II nel suo apostolato è stata nel 1986 la Giornata mondiale di preghiera per la Pace. Il Papa ha invitato i rappresentanti di molte delle religioni del mondo ad Assisi a far digiuno e a pregare per la pace. Questa iniziativa senza precedenti ne ha ispirate molte altre in varie parti del mondo, specialmente il summit delle religioni organizzato dalle religioni giapponesi a Kioto fin dal 1987 e l’annuale raduno "Popoli e religioni" organizzato dall’associazione denominata Comunità S. Egidio.

            Papa Giovanni Paolo II ha ricevuto i rappresentanti di altre religioni a Roma e durante i suoi viaggi apostolici più che ogni altro pontefice nella storia.

            Nella sua lettera enciclica Redemptoris Missio afferma che il dialogo a volte è l’unica strada su cui i missionari possono testimoniare Cristo (cfr. RM 55-57). Di certo, egli vede religioni e culture in una visione cristologica: "Tutto ciò che lo Spirito compie nel cuore dell’uomo e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni serve di preparazione al Vangelo e può essere compreso soltanto in riferimento a Cristo" (RM, 29).

 

            2. – Il senso dell’affermazione ‘Extra Ecclesiam nulla salus’.

 

            Extra Ecclesiam nulla salus è una celebre frase latina, attribuita impropriamente a San Cipriano. La sua traduzione è "Al di fuori della Chiesa non vi è salvezza". Conosciuta anche come Nulla salus extra ecclesiam, la frase definisce la necessità del fedele, che voglia guadagnare la salvezza nella vita eterna, di restare in seno alla Chiesa cristiana. La sentenza è sempre stata discussa in modo controverso.

            a. - Se vuole dire che tutti coloro che non fanno parte della Una Sancta Catholica et Apostolica Ecclesia (Simbolo niceno-costantinopolitano)  per mezzo del battesimo e della fede - i pagani - siano automaticamente esclusi dalla salute eterna e dal regno di Dio, essa non è mai stata adottata dal magistero ecclesiastico; anzi la dottrina delle numerose vie speciali e nascoste verso la salvezza è rimasta in vigore. b. - La convinzione invece che la salvezza degli uomini sia il senso e la meta delle opere e del sacrificio di Cristo e la ragione di esistenza della Chiesa è gran consenso della teologia cattolica e non-cattolica. In questa prospettiva, lo stato "normale" di ogni uomo dopo il primo peccato è la mancanza di salute, cioè la separazione irreparabile da Dio, fonte di ogni bene, e la dominanza del male la cui forza distruttiva si fa vedere ogni giorno e conduce alle morte temporale ed eterna. Riconciliazione e salvezza per ogni individuo e per l'intera umanità, secondo la fede cristiana, risalgono esclusivamente dall' atto di amore di Cristo, la cui somma è la croce. Questo atto di sacrificio si continua fino alla fine dei tempi nella parola e nei sacramenti della Chiesa. La realtà efficace del Vangelo e dei sacramenti, la presenza plenaria di Cristo risorto, secondo la dottrina cattolica, si trova solo dentro la Chiesa, che è basata senza rottura sulla fede ed i sacramenti ricevuti dagli apostoli - cioè dentro la Chiesa cattolica. In modo oggettivo vale dunque: Solo nella Chiesa viene offerta la salvezza completa. Sul lato soggettivo invece, sul campo delle biografie religiose e della vita cristiana ed umana, c'è la possibilità di "perdizione" in mezzo alla Chiesa nonché di salvezza fuori. Nondimeno, nella misura in cui qualcuno ha riconosciuto Cristo da mediatore universale della salute, egli è obbligato ad ubbidire alla propria coscienza anche nelle sue relazioni alla Chiesa; altrimenti si escluderebbe per propria decisione dalla salvezza.

            Si comprende così l'antichissima formula "extra Ecclesiam nulla salus" (fuori della Chiesa non c'è salvezza). Questa formula non significa che chi non appartiene visibilmente alla Chiesa storica e visibile non può salvarsi (ciò vale solo per coloro che, convinti che la Chiesa cattolica è la vera Chiesa di Cristo e che l'appartenenza ad essa è condizione necessaria per la salvezza, o l'abbandonano, o rifiutano coscientemente e volontariamente di farne parte). Per chi invece non conosce la Chiesa o non ha la coscienza della necessità di appartenervi e quindi non sente il dovere morale di entrarvi a farne parte, la formula "extra Ecclesiam nulla salus" va capita nel senso che tutti coloro che si salvano appartengono alla Chiesa, ma tale appartenenza non è di ordine storico e visibile, bensì di ordine spirituale e quindi, invisibile. Tutti coloro che si salvano entrano a far parte di quell'immenso Popolo di Dio di cui la Chiesa visibile è piccola e povera parte, però segno e strumento dell'unità in Cristo di tutti i salvati.

 

            3. - La salvezza universale: Deus vult omnes homines salvos fieri.Universalità della volontà salvifica di Dio

 

            "Dio (...) vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti" (1 Tm 2,4-6). (Lc 3,6, cfr Isaia 40, 3-5): "Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio".

             La questione di fondo è se questa pretesa di universalità (tutti) e di unicità (Gesù Cristo unico mediatore) è ancora sostenibile considerati i progressi nella comprensione teologica che la Chiesa ha fatto soprattutto dal Concilio Vaticano II in poi del rapporto tra cristianesimo e religioni. La salvezza di cui si parla è la partecipazione - per pura grazia e in virtù di una elevazione della natura umana a uno stato soprannaturale (non dovuto alla natura umana in quanto tale) - alla vita e alla felicità infinita di Dio in modo eterno. Dopo il peccato, tale salvezza comporta la restaurazione dell'uomo per mezzo della grazia sanante, in modo che egli possa essere elevato da Dio alla dignità di figlio suo. Tale volontà di salvezza è "universale" nel senso che tutti - uomini, donne di tutti i tempi - sono destinati da Dio alla salvezza e chiamati da Lui ad accettare liberamente questo dono. La salvezza non è un fatto automatico perché impegna sempre la libera volontà dell'uomo, che può accettare o rifiutare tale dono. L'uomo può anche dire no all'azione interiore dello Spirito, può ripiegarsi su se stesso fino a subordinare la religione al proprio egoismo (cfr. Gen 3).

 

            4. -  Dio ha costituito Gesù di Nazareth Salvatore unico e universale degli uomini.

 

            (Atti 4,12): "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati". (Gv 3,16-17): "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui". (Rm 5,10): "Se infatti quando eravamo nemici siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita".

            Dio realizza il suo disegno di salvezza per mezzo del suo Figlio, Gesù di Nazareth, incarnato, morto e risorto per comunicare agli uomini lo Spirito Santo, cioè renderli partecipi di Dio stesso e della sua vita divina. Perciò Dio ha costituito Gesù di Nazareth salvatore unico e universale degli uomini (cfr At 4,12).

            Questo disegno di salvezza si è realizzato mediante interventi salvifici di Dio nella storia, storia che chiamiamo infatti "storia della salvezza" fatta di diverse tappe. La "storia della salvezza" interpretata dai profeti, culmina in Gesù di Nazareth che realizza in modo perfetto e definitivo l'"alleanza" di Dio con gli uomini, perché in Gesù il Verbo di Dio diviene uomo. In tal modo, per il fatto che Gesù di Nazareth è il Figlio di Dio fatto uomo, egli è Dio nella pienezza della divinità e uomo nella perfezione dell'umanità, quindi unico mediatore della salvezza. Egli è perciò l'unica "via" per la quale gli uomini possono entrare in comunione con Dio e ottenere la salvezza.

            Oltre che ad essere salvatore "unico" degli uomini, Gesù è anche salvatore "universale". Questo significa che Gesù è il salvatore non soltanto dei cristiani, ma di tutti gli uomini, nessuno si può salvare senza di lui e tutti i "salvati" sono tali in virtù della morte e della resurrezione di Gesù di Nazareth. Paolo afferma che Cristo "è morto per tutti" (2 Cor 5,15), perché tutti gli uomini sono peccatori e schiavi del peccato. "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù" (Rm 3,23-24).

 

            5.- La salvezza, nella sua pienezza e perfezione si compie nella Chiesa (Chiesa sacramento universale di salvezza).  

 

            La salvezza, nella sua pienezza, si compie nella Chiesa, che Gesù ha voluto, ponendone le basi durante la sua vita terrena. Non è la Chiesa che salva gli uomini, ma è Gesù che li salva essendo presente in essa e la santifica con il suo Spirito. La Chiesa è in questo modo, "universale sacramento di salvezza" (Lumen Gentium, 48), cosicché "la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (ivi, n.1).

            Questo vuol dire che la salvezza comporta un'aggregazione a Gesù Cristo e alla Chiesa, suo corpo mistico (di qui la necessità di appartenere alla Chiesa, qualunque possa essere il modo di tale appartenenza).  

            La Chiesa dunque - in quanto è sacramento di Cristo e lo comunica esteriormente nei sacramenti, nella predicazione e nella testimonianza dei credenti, e interiormente con la sua preghiera e la sua intercessione presso Dio - entra quindi nel compimento della salvezza degli uomini. Nella preghiera liturgica la Chiesa prega e intercede per tutta l'umanità, offre al Padre il sacrificio del Figlio (vita data "per molti" (tutti) Mt 26,27). A Dio non manca la possibilità di salvare tutti gli uomini non appartenenti alla Chiesa cattolica. Si può appartenere alla chiesa cattolica col battesimo di acqua, col battesimo di sangue e in voto (desiderio): nel caso di un'ignoranza invincibile, basta il desiderio implicito di appartenere alla chiesa, e questo desiderio è sempre presente quando un uomo aspira a conformare la sua volontà a quella di Dio (Denzinger n. 3870). Il Concilio Vaticano II rinuncia a parlare di 'votum implicitum' e applica il concetto di 'votum' soltanto al desiderio esplicito dei catecumeni di appartenere alla chiesa ('Lumen Gentium', n. 14). Dei non cristiani si dice che, in modo diverso, sono ordinati al popolo di Dio. Secondo i vari modi in cui la volontà salvifica di Dio abbraccia i non cristiani, il Concilio distingue quattro gruppi: in primo luogo gli ebrei; in secondo luogo i musulmani; in terzo luogo quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e non conoscono la chiesa, ma cercano Dio con cuore sincero e si sforzano di compiere la sua volontà conosciuta attraverso la coscienza; in quarto luogo quelli che, senza colpa, non sono ancora giunti a conoscere espressamente Dio, ma ciò nonostante si sforzano di condurre una vita retta ('Lumen gentium', n. 16).

            La costituzione pastorale 'Gaudium et spes' apre un’ampia prospettiva cristologica, pneumatologica e soteriologica. Quello che si dice dei cristiani vale anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cuore dei quali opera in modo invisibile la grazia. Anche costoro, mediante lo Spirito Santo, possono essere associati al mistero pasquale e quindi possono essere assimilati alla morte di Cristo e andare incontro alla risurrezione ('Gaudium et spes', n. 22). Quando i non cristiani, giustificati mediante la grazia di Dio, sono associati al mistero pasquale di Gesù Cristo, lo sono pure al mistero del suo corpo, che è la chiesa. Il mistero della chiesa di Cristo è una realtà dinamica nello Spirito Santo. Anche se a questa unione spirituale manca l'espressione visibile dell'appartenenza alla chiesa, i non cristiani giustificati sono inclusi nella chiesa "corpo mistico di Cristo" e "comunità spirituale" ('Lumen gentium', n. 8). In questo senso i padri della chiesa possono dire che i non cristiani giustificati appartengono alla 'ecclesia ab Abel' ('Lumen gentium', n. 14). Perciò si può parlare non soltanto di un "ordinamento" alla chiesa dei non cristiani giustificati, ma anche di un loro vincolo col mistero di Cristo e del suo corpo, la chiesa. Non si dovrebbe però parlare di appartenenza e neppure di graduale appartenenza alla chiesa, o di una comunione imperfetta con la chiesa, riservata ai cristiani non cattolici ('Unitatis redintegratio', n. 3; 'Lumen gentium', n. 15); la chiesa infatti per sua essenza è una realtà complessa, costituita dall'unione visibile e dalla comunione spirituale. Ciò non toglie che i non cristiani che non sono colpevoli di non appartenere alla chiesa entrino nella comunione dei chiamati al regno di Dio praticando l'amore per Dio e per il prossimo; questa comunione si rivelerà come 'Ecclesia universalis' nel compimento del regno di Dio e di Cristo.

            Sorgono domande come: "È possibile che si realizzi concretamente la salvezza "in Cristo" per tanta gente che non lo conosce? Ammesso che questa gente si salvi perché segue in buona fede il dettame della propria coscienza, ci si domanda se tale salvezza avviene nonostante o mediante l'appartenenza alla propria religione". Se la salvezza avviene mediante l'appartenenza alla propria religione, sorge subito un'altra questione: che significato ha la missione della Chiesa? la Chiesa a cosa serve ancora?            Non si può sviluppare una teologia delle religioni senza tener conto della missione salvifica universale della chiesa, attestata dalla Sacra Scrittura e dalla tradizione di fede della chiesa. La questione principale non è oggi se gli uomini possano raggiungere la salvezza anche se non appartengono alla chiesa cattolica visibile: questa possibilità è considerata come teologicamente certa. La pluralità delle religioni, di cui i cristiani sono sempre più coscienti, una migliore conoscenza di queste religioni e il necessario dialogo con esse, senza tralasciare in ultimo luogo una più chiara coscienza delle frontiere spaziali e temporali della chiesa, pongono la questione se si possa ancora parlare della necessità della chiesa per la salvezza. Gesù ha unito l'annuncio del regno di Dio con la sua chiesa.

            Si parla della necessità della chiesa per la salvezza in due sensi: la necessità dell'appartenenza alla chiesa per quelli che credono in Gesù, e la necessità, per la salvezza, del ministero della chiesa che, per incarico di Dio, dev'essere al servizio della venuta del regno di Dio. Nell'enciclica 'Mystici corporis' Pio XII affronta la questione della relazione con la chiesa di quelli che raggiungono la salvezza fuori della comunione visibile con essa, e dice che questi sono ordinati al corpo mistico di Cristo attraverso un non consapevole anelito e desiderio (Denzinger n. 3821).

            La Chiesa ha ricevuto da Cristo il mandato della missione: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt. 28,19-20). “Quando si partiva dal presupposto che tutti gli uomini venivano a contatto con la chiesa, la necessità di questa per la salvezza era intesa soprattutto come necessità di appartenere a essa. Da quando la chiesa ha preso coscienza della sua condizione di minoranza, sia diacronicamente sia sincronicamente, è venuta in primo piano la necessità della funzione salvifica universale della chiesa. Questa missione universale e questa efficacia sacramentale in ordine alla salvezza hanno trovato espressione teologica nella qualifica della chiesa come sacramento universale di salvezza. Come tale la chiesa è al servizio della venuta del regno di Dio, nell'unione di tutti gli uomini con Dio e nell'unità degli uomini tra loro (Lumen gentium, n. 1)” (Commissione teologica internazionale , Il Cristianesimo e le religioni, 1997, n. 74). La chiesa non è soltanto segno, ma anche strumento del regno di Dio, che irrompe con forza e compie la sua missione come sacramento universale di salvezza. La chiesa annuncia a tutti gli uomini il mistero pasquale di salvezza, che viene offerto loro e del quale già vivono senza saperlo. Come sacramento universale di salvezza, la chiesa è essenzialmente una chiesa missionaria. La chiesa compie la sua missione di servizio sacerdotale in rappresentanza di tutta l'umanità. Questa rappresentanza, secondo la volontà di Dio, è efficace per tutti gli uomini e rende presente Cristo, che "Dio trattò da peccato in nostro favore" (2Cor 5,21) e che al nostro posto fu appeso al legno (Gal 3,13) per liberarci dal peccato (Lumen gentium, n. 10). Alla missione della chiesa come sacramento universale di salvezza appartiene pure "che ogni germe di bene che si trova nel cuore e nella mente degli uomini, o nei riti e culture propri dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e perfezionato" (Lumen gentium, n. 17). Infatti l'azione dello Spirito precede, a volte anche visibilmente, l'attività apostolica della chiesa (Ad gentes, n. 4), e la sua azione si può manifestare pure nella ricerca e nell'inquietudine religiosa degli uomini. Il mistero pasquale, nel quale tutti gli uomini possono essere incorporati nel modo che Dio conosce, è la realtà salvifica che abbraccia tutta l'umanità, che unisce preventivamente la chiesa con i non cristiani a cui si rivolge e ai quali ha sempre il dovere di trasmettere la rivelazione. Nella misura in cui la chiesa riconosce, discerne e fa proprio quanto di vero e di buono lo Spirito Santo ha operato nelle parole e nelle azioni dei non cristiani, diventa sempre più la vera chiesa cattolica, "che parla tutte le lingue e tutte le lingue nell'amore intende e comprende, superando così la dispersione babelica" (Ad gentes, n. 4). "Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo di fatto tutti gli uomini e apparendo talora come piccolo gregge, costituisce per tutta l'umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui preso per essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo" (Lumen gentium, n. 9).

 

            6. - Per essere salvati è necessaria la fede soprannaturale.

 

            "Senza la fede è impossibile essere graditi a Dio" afferma la lettera agli Ebrei (11,6). Si tratta di fede viva, cioè di adesione dello spirito e del cuore a Dio che si rivela agli uomini nella vita, nella parola e nell'opera, nella morte e resurrezione di Gesù Cristo. Questa fede può essere oscura o poco elaborata, forse neppure in grado di esplicitarsi sul piano della conoscenza intellettuale, ma tuttavia può essere viva e reale sul piano esistenziale, nella misura in cui comporta un sì interiore a Dio. La fede può anche essere solo "implicita", cioè non espressa con un atto esplicito di fede in Dio e in Cristo, ma vissuta nell'adesione alla volontà di Dio espressa nella voce della coscienza. La fede è "implicita" nel senso che una persona compie quello che essa ritiene in coscienza di essere il bene che ha il dovere di compiere. Per essere salvati è necessaria la fede soprannaturale che Dio concede per pura grazia e alla quale l'uomo può solo predisporsi, aiutato dalla stessa grazia, col compiere il bene.

                       

            7. – Valore salvifico delle religioni

            Oggi non è in discussione la possibilità di salvezza fuori della chiesa di quelli che vivono secondo coscienza. Questa salvezza non si produce indipendentemente da Cristo e dalla sua chiesa: essa si fonda sulla presenza universale dello Spirito, che non si può separare dal mistero pasquale di Gesù (Gaudium et spes, n. 22; Redemptoris missio, n. 10).  Si riconosce che nelle diverse religioni si trovano raggi della verità che illumina ogni uomo ('Nostra aetate', n. 2), semi del Verbo (Ad gentes, n. 11); che per disposizione di Dio si trovano in esse cose buone e vere (Optatam totius, n. 16); che si trovano elementi di verità, di grazia e di bene non soltanto nei cuori degli uomini, ma anche nei riti e nei costumi dei popoli, anche se tutto dev'essere "sanato, elevato e completato" (Vaticano II, decr. Ad gentes sull'attività missionaria della chiesa, n. 9; Lumen gentium, n. 17).

            Rimane aperto invece l'interrogativo se le religioni come tali possano avere valore in ordine alla salvezza.  L'enciclica Redemptoris missio, seguendo e sviluppando la linea del concilio Vaticano II, ha sottolineato più chiaramente la presenza dello Spirito Santo non soltanto negli uomini di buona volontà presi individualmente, ma anche nella società, nella storia, nei popoli, nelle culture, nelle religioni, sempre con riferimento a Cristo (Redemptoris missio, nn. 28 e 29). Esiste un'azione 'universale' dello Spirito, che non può essere separata né tanto meno confusa con l'azione 'particolare' che lo Spirito svolge nel corpo di Cristo che è la chiesa ('ivi').  Si parla di nuovo della presenza dello Spirito e dell'azione di Dio nelle religioni nei numeri 55 e 56 dell'enciclica Redemptoris missio, nel contesto del dialogo con i fratelli di altre religioni. Queste costituiscono una sfida per la chiesa, perché la stimolano a riconoscere i segni della presenza di Cristo e dell'azione dello Spirito. "Dio chiama a sé tutte le genti in Cristo, volendo loro comunicare la pienezza della sua rivelazione e del suo amore; né manca di rendersi presente in tanti modi non solo ai singoli individui, ma anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo lacune, insufficienze ed errori" (Redemptoris missio, n. 55). A motivo di tale esplicito riconoscimento della presenza dello Spirito di Cristo nelle religioni, non si può escludere la possibilità che queste, come tali, esercitino una certa funzione salvifica, aiutino cioè gli uomini a raggiungere il fine ultimo nonostante la loro ambiguità.

            Nelle religioni viene messo in rilievo esplicitamente il rapporto dell'uomo con l'Assoluto, la sua dimensione trascendente. Sarebbe difficile pensare che abbia valore salvifico quanto lo Spirito Santo opera nel cuore degli uomini presi come individui e non lo abbia quanto lo stesso Spirito opera nelle religioni e nelle culture: il recente magistero non sembra autorizzare una differenza così drastica.  Nelle religioni agisce lo stesso Spirito che guida la chiesa; tuttavia la presenza universale dello Spirito non si può equiparare alla sua presenza particolare nella chiesa di Cristo. Anche se non si può escludere il valore salvifico delle religioni, non è detto che in esse 'tutto' sia salvifico: non si può dimenticare la presenza dello spirito del male, l'eredità del peccato, l'imperfezione della risposta umana all'azione di Dio, ecc. (cf. Dialogo e annuncio, nn. 30 e 31). Soltanto la chiesa è il corpo di Cristo, e soltanto in essa è data con tutta la sua intensità la presenza dello Spirito: perciò non può essere affatto indifferente l'appartenenza alla chiesa di Cristo e la piena partecipazione ai doni salvifici che si trovano soltanto in essa (Redemptoris missio, n. 55).

            Le religioni possono esercitare la funzione di 'praeparatio evangelica', possono preparare i popoli e le culture ad accogliere l'evento salvifico che è già avvenuto; ma la loro funzione non si può paragonare a quella dell'Antico Testamento, che fu la preparazione allo stesso evento di Cristo. In ogni modo la salvezza si ottiene grazie al dono di Dio in Cristo, ma non senza la risposta e l'accettazione umana. Le religioni possono anche aiutare la risposta umana, in quanto spingono l'uomo alla ricerca di Dio, a operare secondo coscienza, a condurre una vita retta (cf. Lumen gentium, n. 16; cf. anche Giovanni Paolo II, lettera enc. Veritatis splendor, n. 94: il senso morale dei popoli e le tradizioni religiose mettono in rilievo l'azione dello Spirito di Dio).

            La ricerca del bene è, in ultima analisi, un atteggiamento religioso (Veritatis splendor, nn. 9 e 12).  Le religioni possono essere un mezzo che aiuta alla salvezza dei propri seguaci, ma non si possono equiparare alla funzione che la chiesa realizza per la salvezza dei cristiani e di quelli che non lo sono. L'affermazione che possono esistere elementi salvifici nelle religioni non implica, per sé, un giudizio sulla presenza di tali elementi in ognuna delle religioni concrete. D'altra parte, l'amore di Dio e del prossimo, reso possibile in ultima istanza da Gesù unico mediatore, è la sola via per giungere a Dio stesso. Le religioni possono essere portatrici di verità salvifica solo in quanto conducono gli uomini al vero amore.  

 

 

             E. - IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO DI GERUSALEMME E LE ALTRE RELIGIONI

 

            Tutti i cattolici, e, in modo particolare, coloro che nella Chiesa rivestono e svolgono un ruolo specifico di spiritualità e intendono offrire al mondo una testimonianza credibile della propria fede, come i Cavalieri del S. Sepolcro di Gerusalemme, devono deporre, accogliendo l’invito del Signore Gesù sull’amore fraterno, ogni pregiudizio, ogni acredine, ogni riluttanza, ogni fondamentalismo religiono nei confronti delle altre religioni e fedi emergenti nel nostro tempo, frutto di una globalizzazione etnica, che porta con sé, indiscutibilmente, una presenza plurireligiosa.

            Non si chiede ai cattolici di cedere dogmi, di ammorbidire leggi, di mutare costumi, di cambiare morale, o di non ritenere più che la propria fede cattolica ed ecclesiale non sia la vera, perché: “In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto” (Mt 5,18). Si chiede solo di cogliere, trattenere, valutare ciò che è buono, come soleva dire S. Paolo: “Fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Filippesi 4,8).  Questo, in definitiva è ‘atteggiamento che la Chiesa oggi chiede ai propri membri. Una veduta universale e una accoglieza fraterna nei riguardi dei fedeli di altre religioni e di altre fedi.

            Il Documento Nostra Aetate, a n. 5, allorquando parla della fraternità universale, così termina: “Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. L'atteggiamento dell'uomo verso Dio Padre e quello dell'uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono talmente connessi che la Scrittura dice: «Chi non ama, non conosce Dio» (1 Gv 4,8). Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano. In conseguenza la Chiesa esecra, come contraria alla volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione tra gli uomini e persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione. E quindi il sacro Concilio, seguendo le tracce dei santi apostoli Pietro e Paolo, ardentemente scongiura i cristiani che, «mantenendo tra le genti una condotta impeccabile» (1 Pt 2,12), se è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in pace con tutti gli uomini, affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli”. E, a proposito delle diverse religoni, dice che la Chiesa “…esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi” (N.Ae. n. 2). E, a proposito della religione musulmana, così recita: “Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà”.

            Anche chi vive in un Paese di tradizione cristiana, come ad esempio in Italia, non può ignorare le altre religioni, anzi deve nutrire verso di esse un’attenzione nuova con uno spirito di amore fraterno. Conoscerle, oltre che una esigenza culturale, è una preziosa occasione per un arricchimento della propria esperienza religiosa. In altri tempi, l'atteggiamento dei cristiani nei confronti delle altre religioni era caratterizzato dal disinteresse. Ora invece l'atteggiamento è di stima e di attenzione. Per i cattolici è stato soprattutto il Concilio Vaticano II a orientare verso un dialogo leale, aperto, disponibile con le religioni non cristiane. In esse si devono ricercare anzitutto i valori di cui sono portatrici. Questi valori, oltre a essere importanti in se stessi, sono per i cristiani come un "presentimento" e una "preparazione" alla pienezza di Cristo; in Cristo essi trovano il loro fondamento ultimo e la loro giustificazione. (Cf Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, n.1).

            I cattolici, approfondendo le altre religioni e fedi, sono invitati a cogliere in ciascuna di esse particolari valori e aspetti positivi. La Nostra Aetate pedagogicamente offre un esempio di ricerca nel n. 2: “Così, nell'induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia; cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza. Nel buddismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema per mezzo dei propri sforzi o con l'aiuto venuto dall'alto. Ugualmente anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l'inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri. La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”.

            Quindi nell'induismo si riscontra un senso vivo della presenza di Dio in tutte le cose e della spiritualità dell'uomo. L' uomo raggiunge la pace interiore e la perfezione nella ricerca di Dio attraverso la meditazione e la progressiva purificazione, a cui partecipa tutta la persona, anima e corpo.
Il buddismo ha un senso profondo delle esigenze morali; è animato da spirito di pace e di perdono, non di vendetta. L'uomo è grande non per il possesso, ma per il distacco dalle cose; per i valori spirituali, non per quelli materiali. Il confucianesimo esalta la pacifica convivenza sociale e, a questo scopo, indirizza l'osservanza delle leggi morali. Nell'esperienza religiosa ebraica domina il senso della grandezza e unicità di Dio, della sua presenza attiva nella vita e nella storia del popolo. La fede è il centro dell'uomo religioso ebreo. La fede islamica afferma con forza l'unicità di Dio e la sua grandezza infinita. E' ammirevole nell'Islam il senso profondo dell'adorazione a Dio e della sottomissione alla sua volontà.

            Ricerca comune della verità, convivenza pacifica, valorizzazione delle ricchezze spirituali, ricerca dei valori umani comuni, non confusione, rispetto delle diversità e delle differenze: ecco le parole chiave  di un dialogo ecumenico possibile e costruttivo quale sfida religiosa per il terzo millennio ed ecco le motivazioni culturali e fideistiche, che devono orientare l’atteggiamento di chi, senza suo merito, ha ricevuto il dono della fede in Gesù Cristo, con un atto di libera ed insindacabile scelta da parte di Dio .

 

 

 

 

 

 


 

Fonte :  testo cortesemente inviato alla redazione dal Relatore dell'incontro spirituale il Confratello Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani  OESSG.

 

 

 

 

 

 


 

 

 

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