Ordine Equestre del  Santo Sepolcro di Gerusalemme

 

LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA


  CULTURA E SPIRITUALITA' :  Le Crociate , del prof. Giuseppe Ligato a cura di Vittorino Profera

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LE CROCIATE

 

del prof. Giuseppe Ligato , a cura di Vittorino Profera.


 

LE CROCIATE

del prof. Giuseppe Ligato

 

 

E

sattamente novecento anni fa, nei grandi concili di Piacenza e Clermont papa Urbano II bandiva la crociata.

La produzione letteraria e storiografica dedicata all’argomento si potrebbe misurare in metri cubi; noi ci limiteremo a ricordare le tappe principali dell’avvenimento e a presentare alcune considerazioni dell’avvenimento che l’anniversario ci ispira.

Alla fine del secolo XI l’Europa occidentale era una società fortemente militarizzata: il feudalesimo più tipico misurava la distribuzione della ricchezza e l’ordinamento delle gerarchie sociali secondo parametri che lasciavano larghi spazi e privilegi alle capacità belliche; la guerra era raramente contestata come sistema per la soluzione delle controversie e c’era già un plurisecolare contrasto fra il mondo cristiano e l’Islam per il controllo dei mercati e rotte commerciali in vari settori del Mediterraneo, o anche per il puro e semplice possesso di territori costituenti oggetto di rivendicazioni – come avveniva nella Reconquista spagnola. Inoltre, nelle terre che avevano visto (o ancora vedevano) le conseguenze dell’anarchia provocata da cavalieri e avventurieri estranei a qualunque forma di controllo statale, l’auspicata partenza di tanti fuorilegge per un’impresa di conquista benedetta dalla Chiesa pareva un valido incentivo per il progresso e l’ordine, e pure i diretti interessati avrebbero trovato nella crociata un modo per conciliare  le proprie attitudini belliche e la sete di guadagno.

Ad un occidente pronto a trasformare il nuovo sviluppo interno in espansione verso l’esterno, si contrapponeva un mondo musulmano in transizione: i dominatori arabi avevano parzialmente perduto lo spirito di conquista degli avi, mentre le dinastie turche destinate ad assumere la guida dell’Islam in Medio Oriente erano ancora in formazione.

L’ansia di riscatto morale, perdono e salvezza che permeava la religiosità delle masse europee, la disponibilità di tanti professionisti della guerra a un’impresa che si annunciava lucrosa  e nobilitante (in senso materiale e spirituale), il disgusto per la presenza di un controllo non cristiano su quei Luoghi Santi che pareva ovvio e legittimo affidare alla tutela della Chiesa e dei principi da essa benedetti, la convinzione che la presenza di stati musulmani non fosse tollerabile in terre precedentemente cristianizzate in diversi settori del Mediterraneo: questi elementi assicurarono all’appello di Urbano II  una risposta che forse nemmeno il pontefice aveva previsto. Del resto, erano decenni che  cristiani e musulmani si affrontavano nel Mediterraneo, fra offensive e armistizi, scambi culturali e scorrerie più o meno piratesche, relazioni commerciali e massacri. Come ha giustamente osservato l’arabista Francesco Gabrieli, Cristianesimo e Islam si basavano “su un atteggiamento spirituale e categorie mentali sostanzialmente uguali”; e forse proprio questo favorì non solo il contrasto ma anche il dialogo.

Dopo l’insuccesso della crociata di Pietro l’Eremita, effettuata da una moltitudine disorganizzata e indisciplinata, la spedizione vera e propria conquistò Gerusalemme dopo una marcia di tre anni attraverso i Balcani e l’Anatolia, affrontando intemperie, battaglie, privazioni e digiuni non sempre penitenziali in territori dei quali solo i cristiani più colti avevano una conoscenza libresca. Dopo l’immane strage di abitanti musulmani ed ebrei della Città Santa, i crociati fondarono un regno che, con alterne vicende, sarebbe sopravvissuto fino al termine del secolo XIII.

 

Il dibattito sulle motivazioni di quegli uomini è di vecchia data: fu fede o sete di guadagno? In realtà tutte le motivazioni appaiono rappresentate in questa migrazione che si presenta allo storico come un fenomeno corale e collettivo, “trasversale” – come si direbbe oggi – in quanto relativo a tutte le classi sociali. Indubbiamente ci fu chi fiutò buoni affari, come le repubbliche marinare che si adoperarono per controllare porti, mercati, rotte e trasporti, talvolta influenzando in maniera esplicita l’orientamento strategico delle spedizioni; né si può negare che parecchi avventurieri avessero pensato di costituire feudi e principati in Oriente. Così scrisse il cronista Fulcherio di Chartres: “Noi che eravamo occidentali, adesso siamo diventati orientali. Chi era romano e francese, in questa terra  è diventato galileo o palestinese. Chi veniva da Reims o da Chartres, ora è un cittadino di Tiro o di Antiochia. Ormai abbiamo dimenticato i nostri luoghi di nascita, che alla maggior parte di noi sono ignoti e dei quali, addirittura, parecchi non conoscono neppure il nome. C’è chi ha, qui, case e famiglie proprie a pieno diritto, a titolo di eredità paterna; e c’è chi si è già sposato, e non con una compatriota bensì con una donna siriana, armena o addirittura saracena, dopo che quest’ultima è pervenuta alla grazia del battesimo…Né manca chi ha già nipoti o pronipoti; questo dispone di vigne, quello di altre coltivazioni…Chi era povero nel paese d’origine, qui è stato fatto ricco da Dio; chi aveva pochi spiccioli, qui possiede una quantità di monete d’oro; e chi non aveva una casa con un podere, per grazia di Dio qui è signore di una città. Perché dovrebbe tornare in Occidente, chi ha trovato un Oriente così?”. D’altra parte parecchi combattenti e pellegrini tornarono in Europa dopo la fondazione del nuovo stato: segno inequivocabile che per loro non c’era altro da fare in Oriente, dopo aver compiuto l’incarico indicato dal papa e aver effettuato le pratiche penitenziali e devozionali presso i Luoghi Santi.

Come valutare il fenomeno delle crociate? I musulmani, comprensibilmente, ne hanno una visione del tutto negativa. Pure la memoria storica del popolo ebraico condanna quelle spedizioni armate cristiane: gli ebrei pagarono anch’essi ad altissimo prezzo l’intolleranza crociata, poco dopo la proclamazione della stessa e durante l’orrendo massacro scatenato a Gerusalemme il 15 luglio 1099, benché il risentimento anticrociato appaia assai più vivo nel mondo musulmano dove il clima di “guerra santa viene ancora oggi alimentato presso alcuni ambienti come se nove secoli non fossero trascorsi.

 

Vari ambienti culturali orientali sono stati spesso concordi nel giudicare le crociate come una manifestazione precoce del colonialismo europeo. L’accusa non è infondata, considerato il tipo di adesione fornito dalle repubbliche marinare: ma anche in tempi più recenti non è mancato chi come il Grousset, pose le crociate come precedente giustificatore della presenza coloniale e mandamentale della Francia in Siria, arrivando alla manipolazione dei documenti per accreditare la leggenda di un “felice” connubio fra occupanti latini e occupati musulmani e di una sintesi delle due civiltà; e lo storico succitato non fu il solo a vedere nelle crociate l’annuncio dell’avvento della civiltà francese come superiore civilizzatrice delle terre da essa occupate.

Ma opere come quella del Grousset furono scritte in un periodo nel quale l’impero coloniale francese esisteva ancora, al pari della cultura nazionalista su cui si sorreggeva e che non poteva non creare nella crociata un elemento propagandistico da sfruttare. Il mondo occidentale ha progressivamente abbandonato l’idea di crociata, anche per la sperimentazione diretta e ripetuta di ciò a cui può condurre l’adesione intransigente a un’idea che escluda violentemente tutto ciò che non si integra con essa, senza il dovuto rispetto per chi si è schierato diversamente; tant’è vero che dopo varie prese di posizione contro la guerra comunque e da chiunque combattuta (esemplare al riguardo la Pacem in terris di Giovanni XXIII), la motivazione della guerra legittima è stata recentemente riformulata dalla Chiesa proprio a riguardo del diritto alla difesa di un popolo musulmano – e senza parlare di guerra santa o di conquiste benedette; il desiderio di porre fine alle contrapposizioni plurisecolari non avrebbe potuto trovare più esplicita manifestazione.

 

Persiste tuttavia nel mondo arabo la tendenza a considerare la crociata come un retaggio dal quale l’Occidente rilutterebbe a liberarsi, e questo si nota anche in certi ambienti vicini a entrambe le religioni, i quali propongono una pacificazione fra i discendenti dei crociati e quelli dei musulmani che ad essi si opposero; in realtà, proporre iniziative del genere è come caldeggiare una riconciliazione fra Atene e Sparta o tra Roma e Cartagine, in quanto la crociata è definitivamente uscita dalla cultura europea e nessuna delle iniziative successivamente prese nelle nazioni occidentali può essere accostata ad essa, se non a scopo propagandistico o polemico. La crociata, quando non si tratta di quella “storica” che nessuno intende rifare, è diventata in Occidente un luogo comune per definire un’impresa dalla forte connotazione ideologica; non è pertanto il caso di allarmarsi ogni volta che il termine viene usato per definire campagne contro il fumo o contro l’evasione fiscale.

Nessuno più degli storici cristiani desidera tendere la mano ai discendenti dei nemici di ieri; ma non per chiudere una contrapposizione ormai terminata, bensì per studiare insieme un fatto storico che nessuno in Occidente pensa di commemorare in maniera celebrativa e ancor meno di rinnovare. Tante persone perbéne studiano la storia di Roma antica senza per questo voler ripristinare la tratta degli schiavi o le lotte fra gladiatori, né chi si dedica allo studio dell’espansione islamica deve essere per questo accusato di sognare una ripetizione della strage di Otranto del 1480; invece, chi studia le crociate viene facilmente accusato di voler tornare ai massacri e all’intolleranza scatenate nel 1095. Quei fatti oggi sono e devono restare oggetto di studio scientifico, e sbaglia chi ritiene che gli storici occidentali vogliano farne altro uso.

 

In occasione del recente congresso di Piacenza, organizzato per ricordare il concilio nel quale si parlò per la prima volta di spedizioni armate cristiane in Oriente, papa Giovanni Paolo II ha inviato un messaggio nel quale si ricordano gli atti deliberati in quell’assemblea nel contesto del diritto canonico e della riforma della Chiesa, e viene omesso qualsiasi riferimento alla proclamazione di crociata; nella stessa occasione il cardinale Agostino Casaroli ha tenuto un’omelia nella quale è stato ancora più esplicito, dichiarando che l’idea di crociata “appare superata nella coscienza della stessa Chiesa dei nostri giorni”. Chi osserva in maniera non superficiale l’evoluzione della cultura occidentale e cristiana comprende facilmente che queste affermazioni sono il punto di arrivo di una riflessione vasta e autentica, un risultato culturale acquisito definitivamente. Le stesse iniziative che stanno prendendo corpo per ricordare le crociate novecento anni dopo, evitano le celebrazioni e le esaltazioni (e non per una questione di prudenza diplomatica); chi assume atteggiamenti polemici nei riguardi del dialogo con l’Islam riceve assai meno consensi che critiche, ed opera in condizioni di sostanziale isolamento. Semmai è nello stesso Islam mediorientale a pesare ancora fortemente il ricordo della crociata e della controffensiva anticrociata: quando fu commemorata nel 1987 la vittoria di Saladino presso il lago di Tiberiade (4 luglio 1187), che fu la premessa per la riconquista musulmana di Gerusalemme, il mondo arabo glorificò la ricorrenza con grandissimo clamore – coerentemente con l’estrema popolarità di cui gode ancora oggi la figura del condottiero curdo. Ma è significativo che tale ondata di commemorazione non abbia provocato alcun risentimento negli ambienti occidentali, da quelli della cultura accademica a quelli più popolari; anche l’anniversario della terza crociata, bandita per respingere Saladino, è stato degnato d’attenzione solo dagli specialisti. Quanto al tentativo di restituire attualità ai protagonisti di certe guerre, l’opinione pubblica occidentale considera pericolosi fanatici i propri antenati che predicarono ed effettuarono le crociate e da qualche secolo ha voltato decisamente le spalle a tutti i tentativi di giustificazione delle spedizioni armate verso Gerusalemme; anzi, se proprio volesse pronunciarsi su un argomento che non la stimola più da tante generazioni, darebbe ragione alla resistenza musulmana invece che all’aggressione militare cristiana. Da parte occidentale, il raggiungimento del necessario distacco nell’osservazione del problema è un fatto decisamente compiuto; auguriamoci che tale presa di distanze dal fenomeno di quelle guerre sia presto imitato in quelle nazioni islamiche nelle quali si sono tentate identificazioni di certi capi politici con Saladino (cosa accadrebbe se un capo di stato europeo si qualificasse come nuovo Goffredo di Buglione? In Occidente tutti riderebbero, proprio perché è già stato effettuato un preciso cambiamento culturale).

Piuttosto, ciò che una parte della cultura occidentale tende a recuperare della cultura della crociata è una certa sua dimensione “romantica”; quella del viaggio e del pellegrinaggio, del cambiamento di orizzonte a cui la fede dà una particolare sanzione, ma che è anche una ricerca di avventura, benessere, conoscenze e mutamento di un’esistenza sedentaria. Moltissimi pellegrini erano disarmati, e si univano ai contingenti crociati veri e propri in grandi moltitudini inermi e inoffensive, mosse non da desideri di conquista ma da fede e curiosità: è di questi uomini che i cristiani operanti in Terra Santa oggi possono ritenersi discendenti.

Stiano dunque tranquilli gli osservatori musulmani: le crociate non si faranno mai più perché sono finite la società e la cultura che le resero possibili; la revisione del fenomeno iniziò in Occidente vari secoli fa, e con il trascorrere del tempo ha conosciuto le fasi della contestazione, della critica scientifica e persino della caricatura. Voltaire, uno dei padri della cultura europea contemporanea, le considerava un’allucinazione collettiva e il suo parere è largamente condiviso in occidente; Jacques Le Goff, uno dei più affermati storici francesi di oggi, ha sostenuto che sono servite unicamente a fare conoscere all’Europa l’albicocca. Il fenomeno della guerra è diventato oggetto di giudizi più sfumati, ma la guerra non sarà più chiamata “santa” da un cristiano coerente.-

     

 

(Ringrazio la Custodia di Terra Santa – Fonte di Informazione)

 

A Vittorino Profera - Miles Ordo Equestris Sancti Sepulchri Hierosolymitani rescriptum est.-

 

Datum Veronæ 15 III 1996 A.D.

 

 


Fonte: si ringrazia l'Autore il Comm. Vittorino Profera che ha cortesemente inviato il testo da lui curato alla Redazione.

 

 

 

 


 

 

 

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