Ordine Equestre del  Santo Sepolcro di Gerusalemme

 

LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA


  CULTURA E SPIRITUALITA' : Il Cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme icona vivente della Santissima Trinità , di Mons. Vincenzo Taiani

prima pagina  

 

 

IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME

ICONA VIVENTE DELLA SANTISSIMA TRINITA'

relazione del

Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani

 

 

Cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme  ( Knight  of the Holy Sepulchre of Jerusalem  )

 

Luogotenenza Italia Meridionale Tirrenica

Sezione de' Principati

Delegazioni O.E.S.S.G. Cava de' Tirreni - Amalfi , Nocera - Sarno , Salerno

 

Incontro spirituale di preghiera, di ascolto della Parola e di meditazione

 

Cava de' Tirreni, Venerdi 12 Ottobre 2007

 

presieduto dal Preside della Sezione de' Principati Cav. Gr. Croce Gen. Prof. Avv. Giovanni Napolitano,

e dal Delegato Gr. Uff. Dir.Gen. Giuseppe Raimondi di Cava de' Tirreni - Amalfi

 

 

 

relatore il Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani

 

IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME

ICONA VIVENTE DELLA SANTISSIMA TRINITA'

 

 

1.  1. PREMESSA

 

Il mistero della Ss.ma Trinità (un unico Dio in tre persone) non è ancora stato spiegato da nessuno. E' una rivelazione da accettare così come Dio l'ha presentata nella Bibbia, senza ‘ma’ né ‘perché’. Un Padre della Chiesa come Sant'Agostino ha rinunciato a spiegarlo perché non arrivava alla conclusione, rimaneva sempre un perché. A questo proposito si rammenta un episodio capitato a Sant'Agostino, il quale, mentre stava passeggiando lungo il mare lambiccandosi il cervello sul come sia possibile che Dio fosse uno e trino, vide un bambino, che stava facendo un buco nella sabbia; gli chiese cosa facesse e il bambino rispose che in quel buco voleva mettere il mare. Sant'Agostino gli disse che era impossibile e il bambino, che era un angelo, gli rispose che, in maniera uguale, era impossibile per lui comprendere il mistero della Santissima Trinità.

Non si vuole, qui, in un’ora, approfondire quello che in Teologia, viene chiamato il Trattato della Trinità, e che i candidati al sacerdozio studiano ed approfondiscono durante l’iter della loro formazione culturale. Il presente incontro non intende essere per nulla un’esposizione o una trattazione sistematica del dogma trinitario. Si spera solo di offrire qualche spunto per capire e penetrare a fondo questo dogma alla luce della ragione, sempre sottomessa alla fede e guidata da essa. E, in premessa, due cose sembrano essere fondamentali a riguardo: 1) che il mistero trinitario non è in contrasto con la ragione umana, e 2) che, se Dio-fatto-uomo lo ha rivelato, ci sarà pure una ragione per cui l’abbia rivelato e questa pare sia individuabile nel fatto che il mistero trinitario in un certo modo ci appartiene e ci identifica.

E prima di tutto occorre sgombrare la ragione da tutti i pregiudizi filosofici che l’assalgono, allorquando essa si trova di fronte al Mistero trinitario. E’ il grande problema della ragione e della fede, del loro rapporto e delle loro verità. A dire di S. Tommaso non c’è una doppia verità, quella di ragione e quella di fede, ma una sola è la verità, che si apprende inizialmente con lo strumento della ragione e terminalmente con la fede. E’ come quando si intende prendere un oggetto posto in alto: con le proprie mani si arriva ad un certo punto, per andare oltre occorre prendere un altro strumento, che è quello dello scaletto. ‘Philosophia est ancilla teologiae’ dicevano gli scolastici. Le verità di fede, come quella della Trinità, non è ‘contra rationem’ o irrazionale o arazionale, ma semplicemente ‘super rationem’.

Secondo Tommaso l'uomo è destinato a un fine soprannaturale, ma tale fine non può essere conosciuto dalla ragione umana, perché consiste nella visione di Dio, la cui comprensione eccede i poteri della ragione umana; si rende dunque necessaria una rivelazione da parte di Dio, che sola può condurre tutti gli uomini alla salvezza. La rivelazione fornisce i princìpi, a partire dai quali si può costruire la teologia come scienza sacra. Ogni scienza infatti, come aveva mostrato Aristotele, possiede princìpi, dai quali deduce conseguenze, ma nel caso della scienza sacra questi princìpi non sono noti di per sé, ma sono rivelati direttamente da Dio. La teologia è dunque scienza, come lo sono le altre scienze, ma ha anche una destinazione pratica, essendo finalizzata alla salvezza degli uomini: per quest'ultimo aspetto essa è appunto detta "sacra". Nell'uomo questa scienza non può raggiungere la perfezione, che essa ha in Dio e nei beati, i quali vedono direttamente le verità, che gli uomini devono invece accettare per fede. Tommaso riprende da Agostino la definizione di "credere" come "pensiero con assenso". L'adesione della ragione alla verità è determinata dalla visione o conoscenza diretta dell'oggetto; nel caso della fede invece manca tale visione e quindi l'assenso è prodotto non direttamente dall'oggetto a cui si riferisce, bensì da una scelta volontaria, che inclina in una direzione piuttosto che in un'altra. La fede dunque non si fonda sull'evidenza propria della conoscenza razionale, ma possiede una certezza e saldezza superiori, in quanto fondata sulla volontà. Per chi ha fede le verità rivelate sono superiori, in quanto esse appaiono evidenti grazie alla rivelazione, che proviene direttamente da Dio. La rivelazione e la fede in essa rendono allora inutile la ragione? Certo la ragione da sola non è in grado di comprendere le verità soprannaturali, ma essa possiede princìpi propri che, in quanto infusi nell' uomo da Dio, non possono non essere veri. Perciò le verità alle quali la ragione non può pervenire non possono mai essere in contrasto con le verità rivelate: entrambe hanno un'unica origine, che è Dio stesso. In questo senso la verità non può essere che unica: quando appare un contrasto tra verità di ragione e verità rivelate, è segno che le prime non sono verità razionali vere e proprie, ma conclusioni false o non necessarie di un ragionamento. In questi casi di contrasto apparente vale pertanto la cosiddetta ‘regula fidei’: è la fede che controlla la correttezza dei procedimenti della ragione, la quale pertanto deve subordinarsi alla fede. Ma al di là di questi casi, la fede non interferisce nel dominio proprio della ragione: come la filosofia non può sostituirsi alla teologia, così è per la teologia nei confronti della filosofia. Si tratta di due campi autonomi, che hanno oggetti propri e procedono da princìpi propri; tuttavia la ragione e, quindi, la filosofia possono essere poste al servizio della fede. La ragione, infatti, può aiutare a chiarire, mediante similitudini, le verità della fede e combattere le obiezioni mosse dai non credenti contro queste verità, mostrando la falsità o la debolezza di tali obiezioni. Ma soprattutto essa può dimostrare i cosiddetti preambula fidei, ossia quelle verità preliminari, la cui dimostrazione predispone alla fede: non è possibile, infatti, credere a ciò che Dio ha rivelato, se non si sa o non si crede che Dio esiste. La ragione è appunto in grado di dimostrare che Dio esiste ed è uno, anche se non è in grado di conoscere pienamente che cosa sia Dio. In particolare, essa non può arrivare a dimostrare le verità concernenti la Trinità e l' Incarnazione di Cristo, ma può contribuire a chiarirle.

La ragione deve solo stare attenta a che non ci sia contraddizione tra la verità di ragione e la verità di fede. E nell’enunciato trinitario non si evince contraddizione, proprio in base al principio di non contraddizione di Aristotele: ‘Una cosa non può essere, nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto, se stessa e il contrario di se stessa’. E l’enunciato dogmatico trinitario obbedisce a questo principio, nel senso che Dio è detto ‘uno’ come sostanza e ‘trino’ come persona. I due termini sono considerati né ‘nello stesso tempo’, né ‘sotto lo stesso aspetto’.

Da quanto sopra espresso è necessario stabilire già in partenza quali siano esattamente le possibilità della ragione di fronte al mistero trinitario. La ragione, da sola, non può conoscere il mistero trinitario: lo afferma Gesù stesso nel Vangelo: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27). E s. Paolo afferma a sua volta: “I segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere, se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato” (1 Cor 2,11-12).

E’ stata necessaria la Rivelazione per sapere qualcosa del ‘quid sit Deus’. E anche dopo la rivelazione, il mistero trinitario rimane indimostrabile per la ragione umana. Se ciò non fosse vero, se cioè la ragione umana avesse la capacità naturale di dimostrare razionalmente il mistero trinitario, quest’ultimo non sarebbe, appunto, un mistero. Invece è troppo grande questo mistero. Supera le possibilità della ragione, la quale, illuminata dalla fede, può lambire solo il mistero, ed esprimerlo con delle analogie. Perciò il Magistero della Chiesa ha sempre protestato contro le pretese razionalistiche tendenti a sopprimere il mistero. Già il Concilio Vaticano I definisce che certi misteri non possono essere conosciuti se non per rivelazione.

In merito così si esprime il Catechismo della Chiesa Cattolica:

234 Il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana. È il mistero di Dio in se stesso. È quindi la sorgente di tutti gli altri misteri della fede; è la luce che li illumina. È l'insegnamento fondamentale ed essenziale nella «gerarchia delle verità» di fede. «Tutta la storia della salvezza è la storia del rivelarsi del Dio vero e unico: Padre, Figlio e Spirito Santo, il quale riconcilia e unisce a sé coloro che sono separati dal peccato».

237 La Trinità è un mistero della fede in senso stretto, uno dei «misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati». Indubbiamente Dio ha lasciato tracce del suo essere trinitario nell'opera della creazione e nella sua rivelazione lungo il corso dell'Antico Testamento. Ma l'intimità del suo Essere come Trinità Santa costituisce un mistero inaccessibile alla sola ragione, come pure alla fede d'Israele, prima dell'incarnazione del Figlio di Dio e dell'invio dello Spirito Santo.

 

I credenti sono convinti di conoscere in parte e che la conoscenza di questo mistero è troppo alta per loro, come dice la Scrittura: "Puoi tu scandagliare le profondità di Dio? arrivare a conoscere appieno l’Onnipotente? Si tratta di cose più alte del cielo...e tu che faresti? di cose più profonde del soggiorno de’ morti...come le conosceresti? La lor misura è più lunga della terra, più larga del mare" (Giob. 11:7-9). Si è in grado, per ora, solo di esaminare le Scritture che parlano del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ma non in grado di spiegare come i tre siano una stessa cosa.

     

 

2.  2. LA DOTTRINA DELLA CHIESA

La Santissima Trinità nella dottrina della fede - La formazione del dogma della Santissima Trinità

 

Il Magistero della Chiesa ha definito il Dogma trinitario nel Concilio di Nicea del 325 e in quello di Costantinopoli del 381. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) così viene illustrato:

249 La verità rivelata della Santissima Trinità è stata, fin dalle origini, alla radice della fede vivente della Chiesa, principalmente per mezzo del Battesimo. Trova la sua espressione nella regola della fede battesimale, formulata nella predicazione, nella catechesi e nella preghiera della Chiesa. Simili formulazioni compaiono già negli scritti apostolici, come ad esempio questo saluto, ripreso nella liturgia eucaristica: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13,13).

250 Nel corso dei primi secoli, la Chiesa ha cercato di formulare in maniera più esplicita la sua fede trinitaria, sia per approfondire la propria intelligenza della fede, sia per difenderla contro errori che la alteravano. Fu questa l'opera degli antichi Concili, aiutati dalla ricerca teologica dei Padri della Chiesa e sostenuti dal senso della fede del popolo cristiano.

251 Per la formulazione del dogma della Trinità, la Chiesa ha dovuto sviluppare una terminologia propria ricorrendo a nozioni di origine filosofica: «sostanza», «persona» o «ipostasi», «relazione», ecc. Così facendo, non ha sottoposto la fede ad una sapienza umana, ma ha dato un significato nuovo, insolito a questi termini assunti ora a significare anche un mistero inesprimibile, «infinitamente al di là di tutto ciò che possiamo concepire a misura d'uomo».

252 La Chiesa adopera il termine «sostanza» (reso talvolta anche con «essenza» o «natura») per designare l'Essere divino nella sua unità, il termine «persona» o «ipostasi» per designare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nella loro reale distinzione reciproca, il termine «relazione» per designare il fatto che la distinzione tra le Persone divine sta nel riferimento delle une alle altre.

253 La Trinità è Una. Noi non confessiamo tre dèi, ma un Dio solo in tre Persone: «la Trinità consostanziale». Le Persone divine non si dividono l'unica divinità, ma ciascuna di esse è Dio tutto intero: «Il Padre è tutto ciò che è il Figlio, il Figlio tutto ciò che è il Padre, lo Spirito Santo tutto ciò che è il Padre e il Figlio, cioè un unico Dio quanto alla natura». «Ognuna delle tre Persone è quella realtà, cioè la sostanza, l'essenza o la natura divina».

254 Le Persone divine sono realmente distinte tra loro. «Dio è unico ma non solitario». «Padre», «Figlio» e «Spirito Santo» non sono semplicemente nomi che indicano modalità dell'Essere divino; essi infatti sono realmente distinti tra loro: «Il Figlio non è il Padre, il Padre non è il Figlio, e lo Spirito Santo non è il Padre o il Figlio». Sono distinti tra loro per le loro relazioni di origine: «È il Padre che genera, il Figlio che è generato, lo Spirito Santo che procede». L'Unità divina è Trina.

255 Le Persone divine sono relative le une alle altre. La distinzione reale delle Persone divine tra loro, poiché non divide l'unità divina, risiede esclusivamente nelle relazioni che le mettono in riferimento le une alle altre: «Nei nomi relativi delle Persone, il Padre è riferito al Figlio, il Figlio al Padre, lo Spirito Santo all'uno e all'altro; quando si parla di queste tre Persone considerandone le relazioni, si crede tuttavia in una sola natura o sostanza». Infatti «tutto è una cosa sola in loro, dove non si opponga la relazione». «Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito Santo; il Figlio tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo; lo Spirito Santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio».

Il Dogma Trinitario non è un’invenzione della chiesa o una elucubrazione filosofico-teologica di menti eccelse. Esso è fondato sulla Sacra Scrittura, sulla Parola di Dio, espressa nell’A. e nel N. T. E’ chiaro che non si trovano nella Bibbia quei concetti tecnici, che sono frutto di una elaborazione posteriore, né un trattato trinitario propriamente detto.

 

3.  3. IL MESSAGGIO DELL’A.T.

 

Israele non ha conosciuto il mistero delle tre Persone divine. Però nella rivelazione del Dio unico, alcuni eventi salvifici o linguaggi biblici veterotestamentari fanno propendere al convincimento che esso sia stato in un certo senso rivelato, anche se in misura velata e in modo oscuro. In particolare la rivelazione del Dio unico sotto l’immagine del Padre prepara la rivelazione di Dio Padre, come Persona del Padre. Poi le categorie di Messia, Sapienza, Parola, favoriscono la rivelazione di Dio Figlio. Infine le espressioni ‘ruàh Jahvè’, che si trova in Genesi, nei Salmi, in Giobbe, in Ezechiele, in Isaia, in Gioele, richiamano la terza Persona, lo Spirito Santo.

Anzi sono riscontrati addirittura dei passi, nei quali l’allusione trinitaria sembra molto convincente.

Difatti già nella creazione dell’uomo è rilevabile un riferimento trinitario, quando è detto: “E Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza… Dio creò l’uomo a sua immagine. A immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò” (Gn 1,26-27). Non sembra essere del tutto un pluralis maiestatis quel ‘noi’, ma un’anticipazione trinitaria.

E più avanti in un altro passo del Genesi, sempre nell’A.T.: “Poi il Signore apparve a lui (ad Abramo) alle querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: "Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po' di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo". Quelli dissero: "Fa' pure come hai detto". Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: "Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce". All'armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme al vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr'egli stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: "Dov'è Sara, tua moglie?" Rispose: "È là nella tenda". Il Signore riprese: "Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio". Intanto Sara stava ad ascoltare all'ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che viene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: "Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!" Ma il Signore disse ad Abramo: "Poiché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C'è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio". Allora Sara negò: "Non ho riso!", perché aveva paura; ma quegli disse: Sì, hai proprio riso" (allusione al nome di Isacco) Gen 18, 1-15.

Tuttavia, solo dopo la rivelazione piena, portata da Gesù Cristo, i credenti potranno, rileggendo l’A.T., scoprirvi le prime tracce del mistero trinitario e cogliere quale ne sia stata la preparazione. S. Agostino diceva: ‘Nell’A.T. è nascosto il Nuovo, e nel Nuovo si rende palese l’Antico’.

 

 

4.  4. IL MESSAGGIO DEL NUOVO TESTAMENTO

 

Il tempo e limiti della presente riflessione non consentono di analizzare tutto quanto, nel N.T., si riferisce alla Trinità. La restrizione è obbligatoria, come pure la selezione. Sembra opportuno in questo contesto fermare l’attenzione sulle formule tripartite e trinitarie, ivi contenute. Le prime sono quelle ‘trinitarie in senso largo’ e che non fanno altro che menzionare solo Dio (il Padre), il Signore (Gesù Cristo) e lo Spirito Santo. Le seconde esprimono, invece, più chiaramente la divinità dei Tre e, nello stesso tempo, la loro distinzione.

Le prime predicazioni apostoliche, riportate negli Atti degli Apostoli, presentano l’opera della salvezza secondo uno schema spesso tripartito: Dio (il Padre) ha risuscitato Gesù Cristo e dà lo Spirito ai credenti. In S. Paolo si trovano molti testi tripartiti e trinitari.

Ai primi appartiene, ad esempio, Rom 1, 1-4: “Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore”.

Al secondo gruppo appartiene, per esempio, 1 Cor 12,4-6: “Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune”. S. Paolo parla della distribuzione delle grazie divine tra gli uomini, ma le considera sotto tre aspetti per collegarle con il Padre, con il Signore e con lo Spirito. Essendo il Padre il principio di ogni operazione, di ogni attività, in quanto opera in tutti, i doni spirituali sono considerati in riferimento a lui come operazioni. Essendo il Figlio il Signore di cui tutti, nella Chiesa, sono i ministri (diàkonoi), i doni spirituali sono considerati come dei servizi (ministeri, diakonìai). Essendo lo Spirito il Dono supremo, il principio di ogni favore gratuito, di ogni carisma, i doni sono dei karìsmata, al servizio del bene spirituale comune. In questo modo di presentare le cose, S. Paolo afferma ad un tempo la stretta unità dell’opera carismatica, che viene dal Padre, per il Signore, nello Spirito, e, d’altra parte, la distinzione personale dei Tre all’interno di questa unità. Ancora in Tt 3,4-7: “Quando però si sono manifestati la  bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci  ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per  sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui su di noi abbondantemente  per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla  sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna”.  Questo testo può essere accostato a Mt. 29,19: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”, formula in cui i Padri e i Dottori della Chiesa hanno ravvisato una prova scritturistica della trinità delle persone e dell’unità della natura in Dio. Nell’opera divinamente una del Battesimo, i Tre agiscono non semplicemente sul piano della ordinazione (come in Mt), ma anche con una certa gerarchia: il Padre è la fonte prima della salvezza, è Colui che prende l’iniziativa, è Lui il soggetto di tutta la frase, il Figlio interviene come mediatore, lo Spirito, mandato dal Padre e dal Figlio, è il principio di questa rigenerazione.

Da queste e da tutte le altre formule (cfr. Ts 2,13-14; 2 Cor1,22-22; 2 Cor 13,13; Gal 4,4-7; Rm 8,14-17 ecc.) emerge che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non soltanto sono costantemente nominati insieme, senza che in tale enumerazione vi sia alcun ordine fisso, ma sono altresì distinti da qualsiasi creatura e messi nella categoria dell’essere divino.

 

 

5.  5. LA RIFLESSIONE TEOLOGICA

 

Il N.T. afferma con vigore il monoteismo tradizionale: un solo Dio. Questo Dio è onorato e invocato da Gesù Cristo come il Padre suo: il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe è, ormai, il Padre di Nostro Signore Gesù Cristo. Pur mantenendo lo stretto monoteismo, il N.T. rivela paradossalmente l’esistenza di tre persone divine. Nella storia della salvezza, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo si manifestano come tre attori, ognuno con compiti diversi. Si rivelano, quindi, come Persone distinte. D’altra parte, vivono una vita di comunione così intensa che la Trinità delle Persone divine fa intravedere la loro unità di natura. Queste tre Persone non sono presentate come sovrapposte, né a sé stanti. Collaborano tutti e tre all’unica opera di salvezza. In questo agire, appaiono strettamente unite, all’interno di una certa gerarchia: il Padre è la fonte prima: genera un Figlio, al quale comunica tutti i sui beni; il Figlio è recezione totale: riceve tutti dal Padre, lo stesso suo essere e la sua stessa missione, non ha niente di suo; lo Spirito è lo Spirito del Padre e del Figlio, totalmente riferito ad essi: riceve tutto dal Padre e dal Figlio, ed è mandato da essi. Tutta la teologia speculativa delle ‘processioni’, delle ‘relazioni’ e delle ‘missioni’ divine trova qui il suo fondamento scritturistico.

Ecco quanto dice il CCC in merito:

258 Tutta l'Economia divina è l'opera comune delle tre Persone divine. Infatti, la Trinità, come ha una sola e medesima natura, così ha una sola e medesima operazione. «Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre principi della creazione, ma un solo principio». Tuttavia, ogni Persona divina compie l'operazione comune secondo la sua personale proprietà. Così la Chiesa rifacendosi al Nuovo Testamento  professa: «Uno infatti è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose; uno il Signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose». Le missioni divine dell'incarnazione del Figlio e del dono dello Spirito Santo sono quelle che particolarmente manifestano le proprietà delle Persone divine.

259 Tutta l'economia divina, opera comune e insieme personale, fa conoscere tanto la proprietà delle Persone divine, quanto la loro unica natura. Parimenti, tutta la vita cristiana è comunione con ognuna delle Persone divine, senza in alcun modo separarle. Chi rende gloria al Padre lo fa per il Figlio nello Spirito Santo; chi segue Cristo, lo fa perché il Padre lo attira e perché lo Spirito lo guida.

Cosa sono le processioni divine?

Non certamente quelle che comunemente si intendono con questo nome. Sono le azioni ‘ad intra’ della Ss.ma Trinità. Il temine ‘processione’ è usato per indicare l’origine del Figlio dal Padre (si dice, infatti, che il Figlio procede dal Padre) e l’origine dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio (si dice, infatti, che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio). Il termine ‘processione’ è di ispirazione biblica: Cristo dichiara di essere ‘uscito’ da Padre’ (Gv 18,27-30), parla dello Spirito Santo, che procede dal Padre (Gv 15,26).  Nelle processioni divine occorre eliminare ogni idea di cambiamento, di passaggio da potenza ad atto, di accidentalità, di inferiorità, di subordinazione. Esse devono essere concepite come pura relazione di origine: le tre persone, essendo consostanziali, si distinguono solo per il fatto che l’uno è originante e l’altro è originato.

La prima processione (o origine) è una generazione. Il Padre è Padre in quanto è Principio unico e totale di un’altra persona divina, il Figlio, che procede da Lui per via di generazione eterna. Questa è verità di fede. La seconda processione (o origine) è anch’essa una generazione, che può anche essere chiamata ‘ispirazione’. Il Padre e il Figlio possiedono, ciascuno a titolo proprio, l’unica stessa sostanza divina. Incontrandosi in questa comunione totale di Padre-Figlio, essi costituiscono il loro Santo Spirito, comunicandogli, come per un gesto unico ed originale, la loro comune sostanza: lo Spirito Santo sgorga dall’intimità della loro comunione. Lo Spirito Santo è il testimone della generazione del Figlio da parte del Padre; è l’espressione perfetta del loro legame e della loro presenza reciproca, il loro eterno abbraccio.

Cosa sono le relazioni divine?

Si intende per relazione il rapporto di una cosa con un’altra. Se il rapporto è reale, e non di ragione tantum, si ha una relazione reale. Le relazioni derivano dalle processioni. Se queste sono reali, anche le relazioni sono reali. Tutto ciò che è in Dio è reale e non fittizio, tutto è sussistente.

Cosa sono le missioni divine?

Sono le ‘res gestae’ di Dio, le azioni, gli interventi salvifici di Dio nella storia dell’umanità, nella storia della salvezza. Sono le azioni ‘ad extra’ della Ss.ma Trinità, nelle quali si individua una persona che manda, un’altra che è mandata e il termine dell’invio. Dio ‘manda’ il suo Figlio (cfr. Gv 5,37). Dopo il Figlio, è lo Spirito che viene mandato dal Padre e dal Figlio (cfr. Gv 8,42; 14,26 ecc.). Le Persone divine sono tra loro intimamente unite e la missione dell’una include necessariamente la presenza delle altre due (cfr. la creazione, l’incarnazione…). Secondo S. Tommaso le missioni non sono altro che le continuazioni libere delle processioni intratrinitarie, aggiungendo a queste un effetto temporale. Il concetto di missione contiene, ad un tempo, un aspetto eterno ed un aspetto temporale; collega il tempo con l’eternità, collega la storia della salvezza umana con le origini intratrinitarie.

 

 

6. IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO: ICONA VIVENTE DELLA SS.MA TRINITÀ GIÀ COME CREDENTE

 

La SS. Trinità non è tanto una verità da conoscere quanto una grande realtà da godere e da gustare nell’esperienza di vita cristiana, simile a quella di Cristo quando era in terra. Ci viene donato Dio stesso nella sua vita intima:  ci viene donato Dio in quanto Padre pieno di tenerezza, Dio Figlio come fratello e collega di vita e lo Spirito Santo come anima e amore, sentimento, vita e gioia.

Il cristiano cattolico e, nel nostro specifico, un cavaliere del Santo Sepolcro deve essere un credente  inserito con la mente e con la persona nel mistero della Trinità divina, resogli accessibile dal Signore Gesù mediante il dono dello Spirito. «Avendo, fratelli, piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso i1 velo, cioè la sua carne... accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso. Cerchiamo anche di stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb 10,19-24). Fede, speranza e carità sono le tre virtù teologali precisamente in quanto manifestano nel più profondo del cuore umano la presenza e l'azione delle TRE Persone divine, nel cui nome il battezzato è nato a vita nuova. Di esse, la carità rivela in noi l'opera del Padre, il Dio che è amore sorgivo e irradiante (1 Gv 4, 8.16); la fede manifesta l'unione col Figlio, l'Amato che tutto riceve in obbedienza d'amore e tutto dona; la speranza rivela la presenza dello Spirito, che anima il cuore del credente verso le sorprese del Regno di Dio.

C'è una creatura, in cui questa vita nuova nella Trinità si è resa manifesta in maniera densa ed esemplare: è Maria, la donna icona del Mistero Trinitario. Guardando a lei, Vergine, Madre, Sposa, i cristiani riconoscono la loro vocazione ad accogliere, vivere e donare l'amore della Trinità divina. In quanto Vergine Maria è la creatura che vive totalmente nella notte della fede, in ascolto umile e obbediente a Dio. In quanto Madre Maria è la testimone della carità, donna in cui il silenzio è divenuto parola, la gratitudine si è fatta gratuità, la verginità è diventata maternità. In quanto Sposa, infine, Maria è colei, in cui il futuro della promessa di Dio è tirato nel presente degli uomini, come segno di sicura speranza e di consolazione.

 Come Lei ogni cristiano, soprattutto se inserito in un ordine spirituale come quello del Santo Sepolcro, è immesso, per effetto del suo battesimo e della scelta spirituale della sua vita di fede, nel mistero trinitario.

Anzi ogni uomo, per il fatto di essere nato, è ‘naturaliter christianus’, anzi, ‘naturaliter trinitarius’, come fa capire  uno dei grandi padri della Chiesa, il filosofo e il teologo Agostino. Difatti un argomento dei tanti circa l’esistenza di Dio, quello che dimostra insieme sia l"an sit' sia il 'quid sit' Dio pare sia ricavabile dall'iter che l'uomo Agostino, simbolo dell'uomo in quanto tale, traccia per giungere alla verità, alla coscienza, anzi all'autocoscienza. Quando l'uomo, dopo aver dubitato di tutto, (SI FALLOR), e dopo essere pervenuto alla prima verità indubitabile della propria esistenza, all'autocoscienza, (SUM), si domanda di che cosa abbia veramente coscienza, egli riscopre se stesso come uno che ha conoscenza e coscienza di essere, di conoscere, di volere. Ma nello stesso tempo è consapevole della limitatezza e imperfezione di questi dati di coscienza; sa di essere un’essenza finita, sa di conoscere imperfettamente, sa di volere limitatamente. In questa coscienza della limitazione egli sente che fuori del suo 'esse', del suo 'nosse', del suo 'velle' ci deve essere UNA REALTÀ che trascende il limite, UNA SAPIENZA, che trascende l'ignoranza, una VOLONTÀ PERFETTA. Un essere infinito, una sapienza assoluta, una volontà onnipotente, ecco ciò che l'uomo è condotto a porre naturalmente col semplice pensiero, con lo strumento della sua sola razionalità e intelligenza: l'uomo sente nella sua esistenza limitata e finita l'esistenza di DIO, ma non di un Dio Impersonale, di un’Entità astratta e indifferente, di un Ente assoluto, di un Dio, come si dice, dei filosofi, ma di un DIO, che è ESSERE-SAPIENZA-AMORE INFINITO, un Dio, cioè, PERSONA, o, meglio, un DIO UNO e TRINO: il Padre, realtà infinita, il Figlio sapienza infinita, lo Spirito volontà e amore infinito. Insomma: dall'analisi sull'uomo, Agostino arriva all'esistenza del DIO BIBLICO, del DIO EVANGELICO, del DIO CRISTIANO, del DIO TRINO.

La Ss.ma Trinità, pur restando mistero, come altri concernenti la nostra vita e la nostra esistenza, ci riguarda da vicino, da vicinissimo, in quanto esso non è solo una realtà al di fuori di me, ma è dentro di me, come dice ancora Agostino: in interiore homine habitat Veritas (nel profondo dell’uomo abita la Verità, cioè Dio); e ancora: Deus intimior me ipso (Dio è più intimo a me di quanto non lo sia io a me stesso).

E qui, peraltro, nel nostro territorio cavense, abbiamo il Santuario della Santissima Trinità, che è tra i luoghi sacri più Santi della cristianità. Presso la Badia Benedettina della SS. Trinità di Cava de' Tirreni si trova, infatti, la "Santa Roccia della Santissima Trinità", dove è apparsa più volte a Sant'Alferio nel 1011 la Santissima Trinità sotto l'aspetto di "Tre Raggi Luminosi", che si dipartivano da un unico Punto Luminoso della Roccia. Meta di pellegrinaggio millenario a partire dall'epoca delle Crociate continua ad essere anche oggi una sorgente luminosa di santità e spiritualità trinitaria per il mondo intero.

Il mistero trinitario non è un mistero lontano, relegato ad una distanza infinita: è un mistero che abita nel cuore del cristiano. Il paragrafo sulle missioni divine vuole esporre la vicinanza delle tre Persone divine nella storia, grazie al prolungamento temporale delle loro processioni (origini) eterne.

Don Tonino Bello, nel suo scritto ‘In principio, la Trinità”, dice: “Una delle cose più belle e più pratiche messe in luce dalla teologia in questi ultimi anni è che la SS. Trinità non è solo il mistero principale della nostra fede, ma è anche il principio architettonico supremo della nostra morale. Quella trinitaria, cioè, non è solo una dottrina da contemplare, ma un'etica da vivere. Non solo una verità tesa ad alimentare il bisogno di trascendenza, ma una fonte normativa cui attingere per le nostre scelte quotidiane. Gesù, pertanto, ci ha rivelato questo segreto di casa sua non certo per accontentare le nostre curiosità intellettuali, quanto per coinvolgerci nella stessa logica di comunione che lega le tre persone divine”.

Così recita il CCC:

260 Il fine ultimo dell'intera economia divina è che tutte le creature entrino nell'unità perfetta della Beatissima Trinità. Ma fin d'ora siamo chiamati ad essere abitati dalla Santissima Trinità. Dice infatti il Signore: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).

257 «O lux, beata Trinitas et principalis Unitas – O luce, Trinità beata e originaria Unità!». Dio è eterna beatitudine, vita immortale, luce senza tramonto. Dio è amore: Padre, Figlio e Spirito Santo. Dio liberamente vuole comunicare la gloria della sua vita beata. Tale è il disegno della «sua benevolenza» (Ef 1,9), disegno che ha concepito prima della creazione del mondo nel suo Figlio diletto, «predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo» (Ef 1,5), cioè «ad essere conformi all'immagine del Figlio suo» (Rm 8,29), in forza dello «Spirito da figli adottivi» (Rm 8,15). Questo progetto è una «grazia che ci è stata data... fin dall'eternità» (2 Tm 1,9) e che ha come sorgente l'amore trinitario. Si dispiega nell'opera della creazione, in tutta la storia della salvezza dopo la caduta, nella missione del Figlio e in quella dello Spirito, che si prolunga nella missione della Chiesa.

232 I cristiani vengono battezzati «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Prima rispondono: «Credo» alla triplice domanda con cui ad essi si chiede di confessare la loro fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito: «Fides omnium christianorum in Trinitate consistit – La fede di tutti i cristiani si fonda sulla Trinità».

233 I cristiani sono battezzati «nel nome» – e non «nei nomi» – del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; infatti non vi è che un solo Dio, il Padre onnipotente e il Figlio suo unigenito e lo Spirito Santo: la Santissima Trinità.

234 Il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana. È il mistero di Dio in se stesso. È quindi la sorgente di tutti gli altri misteri della fede; è la luce che li illumina. È l'insegnamento fondamentale ed essenziale nella «gerarchia delle verità» di fede. «Tutta la storia della salvezza è la storia del rivelarsi del Dio vero e unico: Padre, Figlio e Spirito Santo, il quale riconcilia e unisce a sé coloro che sono separati dal peccato».

Il paragrafo sulle missioni divine della Ss.ma Trinità si chiude in una prospettiva straordinariamente ricca. Il mistero della vita divina, il massimo di tutti, quello che speculazioni austere rischiano di presentare come immensamente distante, è, invece, il mistero a noi più intimo.

Questa riflessione sulla Trinità non può, infatti, terminare se non con il riflettere sull’incidenza di questo mistero sulla vita cristiana, e, per quanto ci riguarda, sulla vita e sulla spiritualità del cavalieri del S. Sepolcro. I Tre, ormai, sono legati alla storia umana, a quella dell’essere e a quella della salvezza. Ci Si dovrebbe chiedere: perché il Signore Gesù ci ha rivelato il mistero della Ss.ma Trinità, se non fosse servito per la nostra vita spirituale? Ha ritenuto l’uomo talmente amico da potersi fidare di lui e rivelargli la sua vita intima: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Ma non solo per questo. Anche perché l’amico uomo, diventato credente e seguace, possa riconoscere se stesso e la propria vita all’interno della vita trinitaria. Il cristiano, infatti, è interiorizzato alla vita trinitaria: “Quanto alla nostra comunione, essa è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1 Gv 1,3). “Ed io ho dato loro la gloria che tu mi hai dato, affinché essi siano una sola cosa come noi siamo uno: io in loro e tu in me” (Gv 17,22). “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). L’umanità intera fa parte della Famiglia Divina. E non solo perché Cristo, risorto, è asceso nel seno della Trinità con la sua umanità, la quale è già così entrata nel circolo vitale e divino della Trinità, ma anche perché la santità cristiana è il mistero dell’assimilazione del credente alla vita intratrinitaria, non solo come singolo, ma anche come comunità di popolo di Dio. “Siate voi, dunque, perfetti come è perfetto il padre vostro celeste” (Mt 5,48). Se l’uomo è immagine di Dio, come insegna la Bibbia, vuol dire che egli dovrà costruire se stesso sul modello di Dio. Ora, il Dio rivelato è il Dio uno e trino. E allora l’uomo, il credente, deve crescere innanzitutto in se stesso trinitariamente, nella sua vita privata, vivendo l’inabitazione dei Tre mediante la vita di grazia e quella sacramentale. Tutti i sacramenti, infatti, donano la grazia, e hanno una dimensione trinitaria: sono i momenti più importanti dell’incontro degli uomini credenti con Cristo, nella sua chiesa visibile, per accogliere il dono del Padre, e viverlo secondo lo Spirito. Essi mettono il credente a contatto con il Padre onnipotente e misericordioso, con il Figlio incarnato e mediatore, con lo Spirito santificatore: si pensi alla dossologia finale della preghiera eucaristica: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria nei secoli dei secoli”. Ma proprio nella dimensione trinitaria il credente deve crescere, poi, anche comunitariamente, nella carità divina, realizzando l’unità invocata dal Figlio incarnato, attraverso il dialogo, il rispetto, l’amore fraterno. Il mistero trinitario è, quindi, il fondamento e contiene le linee fondamentali per una antropologia teologica e per una considerazione pluralistica e dialogica della realtà dell’uomo.

Don Tonino Bello dice ancora, nel suo testo sulla Trinità: “…il genere umano è chiamato a vivere sulla terra ciò che le tre persone divine vivono nel cielo: la convivialità delle differenze. Che significa? Nel cielo, più persone mettono così tutto in comunione sul tavolo della stessa divinità, che a loro rimane intrasferibile solo l'identikit personale di ciascuna, che è rispettivamente l'essere Padre, l'essere Figlio, l'essere Spirito Santo. Sulla terra, gli uomini sono chiamati a vivere secondo questo archetipo trinitario: a mettere, cioè, tutto in comunione sul tavolo della stessa umanità, trattenendo per sé solo ciò che fa parte del proprio identikit personale. Questa, in ultima analisi, è la pace: la convivialità delle differenze. Definizione più bella non possiamo dare. Perché siamo andati a cercarla proprio nel cuore della SS. Trinità. Le stesse parole che servono a definire il mistero principale della nostra fede, ci servono a definire l'anelito supremo del nostro impegno umano. Pace non è la semplice distruzione delle armi. Ma non è neppure l'equa distribuzione dei pani a tutti i commensali della terra. Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli… Ma c'è di più: la vita trinitaria del cielo non è solo un modulo da rovesciare sulla terra perché gli uomini ne vivano le esigenze radicali con uno sforzo di imitazione fine a se stessa. La Trinità, cioè, non è solo un archetipo da riprodurre, ma è una tavola promessa alla quale un giorno avremo la sorte dì sederci, all'unica condizione che anche sulla terra ci si alleni a stare insieme con gli altri attorno alla stessa mensa della vita. Dopo che sulla terra ci saremo impegnati a essere una sola cosa nel Cristo, divenuti "Figli nel Figlio", prenderemo posto "per ipsum, cum ipso et in ipso" al tavolo della Santissima Trinità. Come è dato vedere, il Signore Gesù se ci ha rivelato questo mistero, non l'ha fatto certo per complicarci le idee. Ma l'ha fatto per offrirci un principio permanente di critica cui sottoporre tutta la nostra vita nelle sue espressioni personali e comunitarie, e per indicarci, nel contempo, il porto al quale attraccheremo finalmente la nostra barca. Sicché la Trinità non è una specie di teorema celeste buono per le esercitazioni accademiche dei teologi. Ma è la sorgente da cui devono scaturire l'etica del contadino e il codice deontologico del medico, i doveri dei singoli e gli obblighi delle istituzioni, le leggi del mercato e le linee ispiratrici dell'economia, le ragioni che fondano l'impegno per la pace e gli orientamenti di fondo del diritto internazionale. La Trinità, dunque, è una storia che ci riguarda. Ed è a partire da essa che va pensata tutta l'esistenza cristiana”.

 

 

7. IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO: ICONA VIVENTE DELLA SS.MA TRINITÀ IN PIÚ COME CAVALIERE.

 

Il cavaliere, già come semplice credente, è icona della Ss.ma Trinità, conforme a quanto si è appena detto, ma lo è anche come Cavaliere. E non lo è pro forma, ma come contenuto di vita. Nel momento dell’investitura, infatti, il Celebrante, tenendo la spada verticalmente ha detto: “In virtù del mandato ricevuto io ti costituisco e proclamo Cavaliere del Santo Sepolcro di Nostro Signore Gesù Cristo”. E, toccando con la spada la spalla del neo cavaliere ha pronunziato le seguenti parole: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Non sono solo parole di rito, formule di cerimonia, sono impegni e doveri di vita. Il cavaliere, per la sua appartenenza all’Ordine, deve poter esprimere nella sua vita e nei rapporti con gli altri la comunione con Dio e con i fratelli, ispirata a quella comunione che vige in Dio Uno e Trino. Deve diventare anche lui ‘uno’ e ‘trino’, singolo e moltitudine.

 

 

 


 

Fonte :  testo cortesemente inviato alla redazione dal Relatore dell'incontro spirituale il Confratello Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani  OESSG.

 

 

 

 

 

 


 

 

 

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