Ordine Equestre del  Santo Sepolcro di Gerusalemme

 

LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA


  CULTURA E SPIRITUALITA' :  I Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme , considerazioni storico teologiche , di Francesco Russo

prima pagina  

 

I Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme

Considerazioni storico teologiche

 

di Francesco Russo

 

 

 

 

 

 

Deus lo vult (Dio lo vuole)
È lo storico grido che risuonò improvviso ed unanime per tutta l’assemblea, nel momento in cui venne accolto l’appello di Urbano II, lanciato nel Concilio, prima di Piacenza, poi di Clermont (1095) a tutti i cristiani, perché venissero in aiuto agli oppressi fratelli d’Oriente. Quindi, Pietro d’Amiens, detto “L’Eremita”, un monaco francese, al grido di “Dio lo vuole” eccitava le folle alla liberazione della Terra Santa. È un motto che non è invecchiato. Cavalieri e Dame del nostro tempo devono accoglierlo, seguirlo, conservarlo sempre giovane e sempre fecondo.

 

 

 

PREGHIERA DEL CAVALIERE
Signore per le tue cinque piaghe che portiamo sulle nostre insegne noi ti preghiamo.
Donaci la forza di amare tutti gli esseri del mondo che il Padre tuo ha creato e, più degli altri, i nostri nemici.
Libera la nostra mente ed il nostro cuore dal peccato, dalla parzialità, dall’egoismo e dalla viltà per essere degni del tuo sacrificio.
Fa’ scendere su di noi Cavalieri del Santo Sepolcro, il tuo Spirito

affinché ci renda convinti e sinceri ambasciatori di Pace e di Amore fra i nostri fratelli

e particolarmente fra coloro che pensano di non credere in Te.
Donaci la Fede per affrontare tutti i dolori della vita quotidiana e per meritare un giorno di giungere umilmente ma senza timore al tuo cospetto.
Amen.

 

 

I Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme

Considerazioni storico teologiche

 

di Francesco Russo

 

(stampato nell'ottobre 2006)

 

 

 

A mia moglie Nunzia e alle mie figlie
Federica, Ludovica e Francesca
per il tempo che ho loro sottratto;
a mio padre Bartolomeo
per il tempo che mi ha regalato.

 

 

 

PRESENTAZIONE


Caro Francesco,
grazie del Tuo testo. L’ho scorso rapidamente, fermandomi di più sulle parti teologico-esegetiche a me più vicine. Nell’insieme mi sembra una buona e intelligente informazione, e un tentativo di fondare le motivazioni anche spirituali dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Complimenti, comunque, per la serietà dell’impegno. Ti porto nella preghiera con stima e amicizia. Tu me.

d. BRUNO FORTE

 

 

 

 

CONSIDERAZIONE PREVIA


Credo che la scelta e l’impegno di tutti i Cavalieri debba conformarsi a quanto l’Episcopato italiano ricorda: «Abbiamo bisogno di cristiani con una fede adulta, costantemente impegnati nella conversione, infiammati dalla chiamata alla santità, capaci di testimoniare con assoluta dedizione, con piena adesione e con grande umiltà e mitezza il vangelo». Ed ancora: «Desideriamo a questo proposito sottolineare che la creazione di occasioni per approfondire tematiche cruciali alla luce della fede non è una scelta elitaria, così come non è affatto elitario chiedere alle comunità cristiane uno sforzo di pensiero a partire dal vangelo e dalla storia. Avere una vita interiore, custodire nella memoria le cose, riflettere dentro di sé e nel confronto comunitario è quanto di più umano ci sia dato, e non è certo appannaggio di pochi, perché la fede è sempre ragionevole» (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia - Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del Duemila, Roma 29-6-2001. 45, 50).
L’AUTORE

 

 

 

 

INTRODUZIONE


Dopo la presa della città nel luglio del 1099 uno dei primi e dei più gravi problemi che gli euro-occidentali (i «crociati» li chiamiamo noi) si trovarono a dover affrontare, fu quello del consolidamento delle loro posizioni e della difesa delle loro conquiste.
A uno stabile insediamento dei pellegrini guerrieri in Terra Santa, i componenti della bizzarra spedizione che siamo ormai abituati a chiamare «prima crociata» non avevano in realtà pensato: e non si capisce nemmeno bene quando cominciarono a pensarci. All’indomani della presa della Città Santa, quindi, molti dei pellegrini (armati o no che fossero) ritennero sciolto il loro voto e, dopo aver pregato sulla pietra del Santo Sepolcro, si accinsero a tornare a casa. Ma c’era chi voleva restare e chi riteneva di non poter fare ormai altrimenti. Il circostante mondo islamico, riavutosi dalla sorpresa, si andava riorganizzando: le notizie relative alla sanguinosa ferocia che aveva accompagnato la conquista di quella che per i musulmani era (ed è) al-Quds, «la Santa», facevano prevedere una controffensiva molto dura. D’altro canto, i principi che avevano guidato la spedizione europea non avevano alcuna intenzione di cedere le loro conquiste all’imperatore bizantino, il solo che dal punto di vista cristiano avrebbe avuto legittimità di governarle; avevano provato a offrirne la sovranità eminente al Papa, magari per farsela poi ritrasferire a titolo vassallatico (così era accaduto ad esempio nell’Italia meridionale coi Normanni). Ma il Pontefice non aveva alcuna intenzione di usurpare un palese diritto del sovrano di Costantinopoli, cosa che avrebbe aggravato e reso irreversibile lo scisma allora in corso (e mai, fino ad oggi, sanato). Infine, c’era il problema che alcuni grandi principi (Goffredo duca della Bassa Lorena, Raimondo marchese di Provenza, Boemondo d’Altavilla) e un numero forse notevole di cavalieri e di gente di minor conto si erano bruciati, per così dire, i ponti dietro le spalle: l’Oltremare doveva ormai essere la loro nuova patria, la base per nuove conquiste o comunque per una vita nuova.

 

 

 

 

CAPITOLO PRIMO


GLI INIZI

 


1. LA NASCITA DEL CAVALIERE CROCIATO (1)


In questo variegato insieme di personaggi e di condizioni, un gruppo di particolare interesse doveva essere costituito da gente d’arme di varia posizione, ma accomunata da un forte disagio socio-economico oppure (e magari, al tempo stesso) da una vocazione al servizio dei pellegrini che si era rivelata in viaggio. Le fonti chiamano questi guerrieri dotati di pochi mezzi – o che, affascinati dall’ideale della conversio al servizio della Chiesa e dei deboli, si erano disfatti volontariamente dei loro beni – con l’espressione paradossale, quasi ossimorica, di pauperes milites. Ora che la Terra Santa era conquistata, bisognava difenderla: i pellegrini erano minacciati dalla guerriglia musulmana che arrivava alle porte di Gerusalemme; il nuovo regno – fondato unilateralmente per volontà di alcuni capi crociati nel 1100, dopo un anno d’incerto governo di Goffredo di Lorena come Advocatus Sancti Sepulchri, «procuratore laico» della Chiesa latina della Città Santa – era insicuro; molti arrivati di fresco dall’Europa si ammalavano e bisognava ospitarli e curarli. Nacquero così sodalizi fraternitates, di cavalieri che si votavano per un certo periodo o per sempre a una vita comune – sul modello dei canonici regolari o addirittura dei monaci – e all’assistenza dei poveri, dei pellegrini, degli ammalati. La Chiesa guardò a questo fenomeno, in un primo tempo, con una certa inquietudine e non poche riserve; ma di lì a poco si lasciò persuadere a legittimare e ad accogliere come vere e proprie Religiones dotate di relativa Regula questi sodalizi. Nacquero così ordini religiosi nuovi, nei quali il gruppo qualificante era costituito da laici che, per fatto di avere abbracciato una regola, non deponevano le armi, ma facevano del loro esercizio in difesa dei cristiani parte integrante della loro esperienza di conversio.
La stessa condizione dei fratres delle Militiae sotto il profilo canonico non appare chiara, né mai del tutto chiarita: a proposito della consuetudine secondo la quale – partendo già da San Bernardo – siamo abituati a definirli «monaci-cavalieri», il Luttrell commenta che più preciso sarebbe «parlare di religiosi che non di monaci, perché l’ordine militare fu piuttosto una religio o ordo di laici religiosi con l’obbligo di combattere per la fede contro gli infedeli» (2). È in effetti improprio, per quanto purtroppo comune tra gli stessi specialisti, il trattare le espressioni «ordine monastico» e «ordine religioso» come sinonimiche: quelli monastici sono un tipo specifico di ordine religioso, ma il concetto di «ordine religioso» è di per sé più ampio, comprendendo anche altri tipi di esso, ad esempio gli «ordini mendicanti». Più preciso sarebbe parlare degli «ordini militari» come di «ordini religiosi» regolari, in quanto caratterizzati da una regola.
Sappiamo che, nel caso dei Cavalieri del Santo Sepolcro, Templari e Ospitalieri, le rispettive regole furono influenzate, anzitutto e soprattutto, prima da quella canonicale di Agostino-Crodegango, quindi da quella monastica di Benedetto attinta tuttavia attraverso la rilettura cistercense. Analoghe imprecisioni si registrano abitualmente a proposito dei rapporti tra fratres e movimento crociato: quella che noi moderni siamo abituati a definire «crociata» – e la sistemazione canonica della quale non data prima del XIII secolo corrispose sempre a un «evento straordinario proclamato dal papa»3 che poteva esser diretto anche contro i cristiani, mentre i membri delle Militiate potevano combattere solo contro gli infedeli ed era loro proibito prendere voti specifici – come quello appunto di cruce signatus – senza il permesso dei loro superiori.
In seguito si ebbe un imprevisto ed imprevedibile successo delle Militiae, che raccolsero lasciti e donazioni, privilegi ed esenzioni nell’Occidente latino. Era un successo pericoloso, come sempre è il successo: il rischio ad esso sotteso era un più o meno rapido e intenso snaturamento dei compiti delle Militiae.
Tuttavia, i vantaggi di esso erano tali e tanti da suggerire una cura speciale anzi un costante sforzo teso a incentivare gli insediamenti cismarini di ordini nati con una precisa vocazione oltremarina. Si trattava difatti di rafforzare una presenza attraverso la quale i rapporti diplomatici e politici con le gerarchie ecclesiastiche e laiche d’Occidente sarebbero stati più forti e più stretti; di diffondere nella società civile europea la conoscenza e l’apprezzamento degli ordini in modo da favorire ulteriormente elemosine, donazioni, lasciti; di preparare i pellegrini che transitavano per le strade europee diretti in Terra Santa a fruire della carità, dell’assistenza, della protezione guerriera e dei servizi che gli ordini mettevano a loro disposizione e a promuovere la loro gratitudine che – di ritorno dal viaggio – si sarebbe tradotta in gesti concreti; di produrre ricchezze e di ammassare uomini e denaro da utilizzare in Terra Santa. Ne consegue che il ruolo e l’attività militare degli insediamenti degli Ordini in Europa – a eccezione ovviamente della penisola iberica, dove lo stato di guerra contro i musulmani permase fin alla fine del XV secolo – erano assenti; le case non erano fortificate – non più di quanto, almeno, non lo fossero di solito nel Basso Medioevo gli insediamenti produttivi rurali o quelli urbani, del resto meno frequenti salvo che nei centri portuali – e i milites presenti erano pochi, non portavano armi ed erano spesso anziani o mutilati che avevano raggiunto l’Europa provenienti dalla Terra Santa mandati nelle «case» cismarine come in una specie di riposo, alla fine del loro servizio e negli ultimi anni della loro esperienza su questa terra.
Ma tutto questo va detto – ed è necessario dirlo per chiarire il carattere dell’esperienza religioso-militare – senza peraltro dimenticare di chiarire l’origine dei «cavalieri», le difficoltà da essi incontrate nel farsi accettare e legittimare dalla Chiesa, la primitiva Weltanschauung che all’interno e attorno al nuovo Ordine si andò sviluppando e che era destinata a segnare profondamente tanto la storia istituzionale quanto la spiritualità del mondo cristiano latino. L’idea che tra coloro che accettavano la conversio e intendevano con ciò far vita di preghiera e di penitenza soggetti a una regola vi fossero degli armati che non rinunziavano all’esercizio della forza era in se non solo estremamente pericolosa,
ma addirittura contraddittoria: le armi facevano parte proprio di quel saeculum che chi voleva convertirsi a vita religiosa respingeva da sé. Abbiamo visto per quali ragioni essa poteva esser salutata con entusiasmo in Terra Santa: il che non toglie che dovesse per forza venir considerata con attenzione e preoccupazione sotto altre latitudini. Si trattava per la Chiesa latina, che nella vita del suo clero rimaneva rigorosamente abhorrens a sanguine, di accettare nel suo seno alcuni monaci che contemplavano la guerra come parte del loro voto. Ugo di Payens, che veniva spesso in Europa alla ricerca di volontari per la sua fondazione, dovette rendersi conto di urtare contro un muro di dubbi e di riserve peraltro più che giustificati. Ma la sua fortuna fu di trovare un apologista d’eccezione in San Bernardo di Clairvaux, per opera del quale il papa Onorio II, al concilio di Troyes del 1128, riconobbe la Militia Christi et Templi Salomonici, che noi chiamiamo di solito Ordine del Tempio. Non sappiamo con certezza quale sia stata la reale influenza di Bernardo nel fissare concretamente la regola templare: sembra non improbabile che egli abbia contribuito in parte ad ispirarla e che le due fondamentali caratteristiche di essa – a parte i voti consueti di castità, obbedienza e povertà personale – cioè l’obbedienza assoluta al Papa e al capo dell’Ordine, al «Maestro», e la guerra senza quartiere e senza compromesso contro l’infedele, corrispondano alle sue aspirazioni. Il suo trattato De laude novae Militiae, scritto nei primissimi anni Trenta del secolo su richiesta di Ugo di Payens, offre al nuovo Ordine una serie di giustificazioni estremamente significative assegnandogli un ruolo davvero innovatore nella società del suo secolo.

 

1.1. San Bernardo di Chiaravalle e l’ideale di cavalleria cristiana (4)
Anche nei confronti della cavalleria, Bernardo appare continuatore e al tempo stesso superatore degli ideali cluniacensi (posizione che giustifica ampiamente anche l’atteggiamento polemico che egli talora assunse nei suoi rapporti col celebre ordine). Cluny si era accontentato di cristianizzare la forma, la superficie della cavalleria patrocinandone l’ordinazione sacra e indicando nella lotta contro gli infedeli un santo scopo. Ma la sostanza spirituale del cavaliere rimaneva, nonostantetutto, barbara e acristiana. Il cavaliere delle guerre spagnole e della prima crociata, uscito dalla manipolazione ideale di Cluny, somiglia nella descrizione della Chanson de Roland – scudi ben dipinti a fiorami, armi rilucenti, pennoncelli dorati – alla chiesa cluniacense, al suo trionfo di colori e d’arredi, alla sua liturgia solenne. Contro questo sfarzo denunziante l’amore mondano della guerra per la guerra si erge Bernardo. Il suo cavaliere combatte una battaglia su due piani paralleli, lo spirituale e il temporale. Le sue armi di ferro puro, senza ornamenti, sono il simbolo dell’arma vera con cui egli lotta, la fede. I suoi nemici sono i pagani e il peccato: lottando contro i primi e vincendo conquista la gloria, cadendo martire e guadagnandosi la vita eterna sconfigge il secondo. Vittorioso sul peccato, il cavaliere è sicuro della salvezza oltremondana e non ha perciò paura della morte: ciò lo rende invincibile ai pagani. Il miles Christi combatte e muore quindi con giustizia, dispensando da parte di Dio la punizione ai malvagi e la protezione ai buoni. Il pagano non merita la morte in quanto pagano, ma perché non c’è altro mezzo per liberarsi e liberare la Terra Santa dalla sua minaccia. Il rapporto instaurato fra vecchia e nuova cavalleria fa da contrappunto a tutto il trattato.
La vecchia cavalleria era malvagia: “non militia, sed malitia” esclama Bernardo riprendendo un’espressione di Sant’Anselmo di Aosta. I cavalieri mondani, vestiti d’oro e di seta – eccoli come li ritraggono Turoldo e Bertran de Born –, dediti ai piaceri ed amanti del lusso, combattono le loro guerre ingiuste fra cristiani per cupidigia di denaro, per collera, per vanagloria, come nei tornei. Al contrario i milites Christi armati et non ornati combattono contro i pagani e soprattutto contro il peccato una guerra giusta. È sintomatico che Bernardo usi il termine milites Christi, altrove da lui e prima di lui usato per designare i monaci. Ecco che la guerra cavalleresca diviene così, in fondo antiguerra, perché mira alla pace ed alla sicurezza della cristianità come alla salvezza dell’anima. Il cavaliere con l’abito bianco come il cistercense e le armi di schietto ferro senza smalti né dorature, somiglia alla chiesa voluta dalla riforma architettonica e liturgica di Citeaux, che trae i suoi unici ornamenti dalla pietra spoglia e dalla luce filtrante pura dalle finestre che non conoscono vetrate policrome. Spogliamoci delle opere delle tenebre e indossiamo l’armatura della luce, diceva San Paolo ai Romani (Rm 13,12).
«Ma qual è dunque il fine e il frutto di questa non dirò milizia, ma piuttosto malizia mondana, se l’uccisore pecca mortalmente e l’ucciso muore eternamente?
Invero, a dirla con l’Apostolo, “chi ara deve arare con speranza, e chi trebbia con speranza di avere pane al frutto” (1 Cor 9,10). Che cos’è dunque, o cavalieri, questa incredibile passione, questa intollerabile pazzia di guerreggiare con tante spese e tante fatiche senza alcun altro guiderdone che la morte o il peccato? Coprite di seta i cavalli e rivestite di non so che genere di straccetti colorati le corazze; dipingete lance, scudi e selle; ornate d’oro, d’argento e di gemme le briglie e gli sproni; e in tanta pompa correte, con vergognoso furore e impudente stupidità, alla morte.
Sono insegne militari, queste, o femminei ornamenti? Forse che il ferro del nemico avrà paura dell’oro, rispetterà le gemme, non potrà attraversare la seta?
In fondo, e voi stessi lo sperimentate di continuo, al combattente sono soprattutto necessarie tre cose: che sia abile, alacre e circospetto nel guardarsi, rapido nel cavalcare, pronto nel ferire. Voi al contrario vi curate come donne i capelli fino a disgustare chi vi vede, vi coprite con sopravvesti lunghe e drappeggiate che vi impacciano i movimenti, seppellite le tenere e delicate mani in ampi e comodi guanti... Né tra voi sorge quasi mai guerra o contesa che non sia originata da un moto irrazionale d’ira o da un vuoto desiderio di gloria o dall’avidità di ricchezze terrene. Certamente, uccidere o morire per motivi del genere non è cosa da fare con tranquillità. I cavalieri di Cristo combattono invece le battaglie del loro Signore e non temono né di peccare uccidendo i nemici né di dannarsi se sono essi a morire: poiché la morte, quando è data o ricevuta nel nome di Cristo, non comporta alcun peccato e fa guadagnare molta gloria. Nel primo caso infatti si vince per Cristo, nell’altro si vince Cristo stesso: il quale Cristo accoglie volentieri la morte del nemico come atto di giustizia e più volentieri ancora offre se stesso come consolazione al cavaliere caduto. Il cavaliere poi, posso affermarlo, uccide sicuro è muore più sicuro ancora: giova a se stesso quando muore, a Cristo quando uccide. Non è infatti senza ragione che porta la spada: egli è ministro di Dio in punizione dei malvagi e in lode dei buoni. Quando uccide il malvagio egli non è omicida ma – per così dire – malicida, ed è stimato senza dubbio vindice di Cristo su quelli che fanno il male e difensore dei cristiani. E quando muore, si sa che egli non è perito, ma è – piuttosto – giunto alla meta.
La morte ch’egli dispensa è infatti un guadagno per Cristo: quella che egli riceve è il guadagno suo personale. Nella morte del pagano il cristiano si gloria, perché Cristo è glorificato. Nella morte del cristiano si dimostra quanto magnanimo sia stato il re che ha ingaggiato il cavaliere» (5).
Nella parte del De laude riguardante le funzioni specifiche del cavaliere come crociato e il panegirico dei Luoghi Santi il doctor mellifluus ha modo di scrivere alcune pagine di un’armonia biblica degna del suo celebre commento al Cantico dei Cantici; essa fu considerata fondamentale dai contemporanei perché espressione di un desiderio comune, di un comune amore ai luoghi segnati e benedetti dalle storie dei Patriarchi e dei Profeti e soprattutto dalla vita e dalla missione di Gesù. È peraltro lo stesso San Bernardo, a farci comprendere quale sia questo comune desiderio e amore. Egli (6), che aveva conosciuto i Cavalieri del Tempio al Concilio di Troyes (1128), quando, pare col suo determinante aiuto, venne abbozzata la loro Regola, scrive il Liber con lo scopo di presentare la spiritualità del “cavaliere di Cristo”, centrata sull’amore al Signore Gesù e al Suo Santo Sepolcro e sul servizio di protezione dei pellegrini ad esso diretti: al monastico “da poveri seguire il Cristo povero” (“nudus nudum Christum sequi”), Bernardo ispira l’ideale del cavaliere: “da soldati seguire il Cristo che ci conduce” (“Christum ducem militum sequi”).
La “sequela Christi” è dunque la vera ragione della visita e della custodia del Santo Sepolcro! Di conseguenza la contrapposizione con la milizia pagana è netta, anzitutto sul piano dei costumi: l’andata ai Luoghi Santi è simbolo dell’intera vita cristiana intesa come vita penitenziale, spesa nel continuo ritorno nella fede e nell’amore a Dio, al Suo primato e alla signoria del Suo Cristo. In questa luce, Bernardo disegna l’ideale itinerario ai Luoghi Santi, rivisitando i punti nodali della storia della salvezza: Betlemme (cap. VI) invita a meditare sul mistero dell’Incarnazione; Nazaret (cap. VII) sull’attesa messianica; il monte degli Ulivi e la valle di Giosafat (cap. VIII) sulla misericordia e la giustizia divine; il Giordano (cap. IX) sul battesimo; il Calvario e il Sepolcro (capp. X e XI) sul mistero pasquale; Betfage (cap. XII) sulla penitenza; Betania (cap. XIII) sull’obbedienza.
La missione dei cavalieri e dei pellegrini si presenta dunque agli occhi di Bernardo come un “itinerarium mentis et cordis” alla ricerca della Gerusalemme interiore, dove incontrare il Risorto e farne l’unica vera ragione di vita.
Scrive dunque il grande Testimone della teologia monastica: “È apparso di recente sulla terra un nuovo genere di cavalieri e proprio in quella regione che una volta con la Sua incarnazione l’Oriente visitò dall’alto, affinché dove allora con la potenza della sua mano scacciò i principi delle tenebre, così ora possa con la schiera dei suoi prodi sterminare i loro accoliti, la progenie dei senza fede, realizzando ancora nel presente la redenzione del suo popolo e suscitando per noi un Salvatore nella casa di Davide, suo servo. Intendo alludere al nuovo genere di cavalieri, assolutamente sconosciuto; hanno veduto la magnificenza della tua gloria e raccontano le meraviglie che in te si compiono” (457-459). Sono i sentimenti che i pellegrini possono sperimentare anche oggi, quando al culmine della
salita dalla valle del Giordano a Gerusalemme, accompagnati dalla meditazione e dal canto dei Salmi delle ascensioni (120-136), la Città Santa si offre ai loro occhi in tutto lo splendore della spianata del Tempio e delle cupole della Città Vecchia contemplate dal Monte degli Ulivi.
Certo, Bernardo aggiunge anche riflessioni che nessuno di noi farebbe sue oggi, e di cui anzi l’invito di Giovanni Paolo II alla “purificazione della memoria” ci spinge a chiedere perdono per le conseguenze che hanno potuto produrre: “I soldati di Cristo combattono sicuri le battaglie del loro Signore, non temendo affatto di peccare quando uccidono i nemici né di perdere la vita, in quanti, la morte inferta o subita per Cristo non ha nulla di delittuoso, anzi rende più meritevoli di gloria... Il soldato di Cristo uccide sicuro e muore ancor più sicuro.
Giova a se stesso se muore, a Cristo se uccide. Non è, infatti, senza ragione che cinge la spada: egli è ministro di Dio per la vendetta sui cattivi e per la lode dei buoni. Peraltro, quando uccide il malfattore, non deve essere reputato un omicida, ma, per così dire, un malicida, e cioè vindice di Cristo nei confronti di coloro che compiono il male e difensore dei cristiani. E quando viene ucciso si deve affermare che egli non è morto, ma ha conseguito il suo scopo.
La morte, che commina, è un guadagno per Cristo; quella che subisce, è un guadagno per lui. In occasione della morte di un pagano, il cristiano si gloria in quanto Cristo viene glorificato; in occasione della morte di un cristiano, si rende manifesta la liberalità del Sovrano, poiché chiama il soldato per offrirgli la ricompensa...
È pur vero che non si dovrebbero uccidere neppure i pagani qualora ci fosse una maniera diversa per impedire loro di infestare ed opprimere i fedeli. Tuttavia, almeno per ora, è meglio ucciderli piuttosto che la verga dei peccatori si abbatta sul destino dei giusti” (445-447). La più forte smentita di questi sentimenti è la continua preghiera per la pace che si leva dai pellegrini, specialmente di fronte alla realtà dolorosissima del conflitto israelo-palestinese e da quanto si invoca nella Preghiera del Cavaliere. È tuttavia lo stesso Bernardo ad aiutarci a comprendere in altro modo le sue espressioni bellicose, lì dove vede nella lotta fisica la metafora della lotta spirituale e nel raggiungimento della meta l’immagine della santità raggiunta, da perseguire sempre nuovamente: veri cavalieri sono quelli che “si dedicano nella casa di Dio giorno e notte ad uffici non meno onesti che utili. Essi rendono onore al Tempio di Dio..., immolandovi senza interruzione e con animo devoto non più carni di animali secondo il rito antico, ma pacifiche offerte, quali sono la carità fraterna, l’obbedienza devota, la povertà volontaria. Queste cose accadono a Gerusalemme e il mondo intero ne rimane colpito” (455).
Queste cose restano come dono, inizio e promessa per ciascuno dei pellegrini che va nella terra dove – secondo la tradizione rabbinica – “di dieci misure di bellezza e di sapienza, Dio ne ha riversate nove, di dieci misure di dolore, ugualmente nove ne ha riversate l’Eterno”! Una terra che perciò ogni cristiano dovrebbe desiderare di visitare almeno una volta nella vita!
A questo punto appare chiaro che, nonostante quanto abitualmente si dice e si ripete, non era la crociata ad interessare direttamente Bernardo, la Gerusalemme terrestre lo riguardava principalmente come simbolo di quella celeste e alla crociata come avvenimento storico egli pensava come ad un amoroso e caritatevole «artificio» di Dio per salvare le anime di tanti fedeli. Differentemente dal suo amico Ugo di Payens, che aveva dei problemi contingenti da risolvere, per Bernardo i cavalieri erano importanti non tanto perché difendevano i pellegrini sulla via del Sepolcro quanto piuttosto perché offrivano alla Chiesa la possibilità di ricondurre integralmente l’ideale cavalleresco nell’ambito degli ideali cristiani e di sistemarlo nell’ordine monastico facendone, oltretutto, un efficace strumento della teocrazia.
Ma l’influenza di Bernardo sulla crociata e sulle modificazioni della civiltà cristiana che ne scaturirono andò addirittura oltre la sua volontà: se è vero per esempio – e la cosa, pur discussa a lungo è se non altro verosimile – che il culto bernardiano della Vergine espresso nei termini feudali di «Nostra Signora» ha favorito al loro nascere quegli ideali di poesia cortese che erano d’altro canto proprio espressione della cavalleria mondana che il santo condannava, è vero altresì che il culto patrocinato da Bernardo al Cristo Bambino, al Cristo Crocifisso e al Cristo Re è stato, su tre diverse dimensioni incentivo al culto stesso della Terra Santa dove Gesù era nato, era stato più volte salutato re, aveva versato il Suo sangue e da dove sarebbe tornato a regnare, secondo la tradizione apocalittica circostanziata dai numerosi testi escatologici noti a quei tempi.

 

 

 


CAPITOLO SECONDO


I CAVALIERI DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME (1)

 


1. ORIGINE STORICA (2)


Le sfolgoranti vittorie, i gravi sacrifici, le sofferenze, le inimicizie fra i crociati e le dure battaglie, che caratterizzano la storia delle crociate, si identificano nella storia degli ordini cavallereschi che sorgono in Terra Santa ed il primo fra gli ordini religiosi, militari sorti a Gerusalemme dopo la costituzione del Regno Latino è l’Ordine del S. Sepolcro.
Fin dalla prima crociata (1096), l’accorrere di pellegrini verso la Terra Santa fece sentire il bisogno di costituire associazioni di cavalieri a carattere religioso militare, i cui membri, stretti da voti religiosi, potessero assicurare la protezione dei cristiani che colà affluivano o dimoravano e contemporaneamente si dedicassero alla guerra per la difesa del S. Sepolcro e dei Luoghi Santi.
Tali associazioni venivano riconosciute e confermate dai pontefici alla cui giurisdizione erano sottoposte. Esse costituivano delle religioni, cioè, associazioni approvate dall’autorità ecclesiastica i cui membri pronunciavano voti pubblici, perpetui o temporanei e tendevano alla perfezione evangelica. Furono chiamate Sacre Milizie o Religioni Militari, quelle sorte in Gerusalemme anche Gerosolimitane. Ordine è la religione in cui i membri pronunciano i voti. Ben presto gli ordini divennero istituzioni potenti e i loro membri acquistarono onori, prestigio e fama. I compiti delle confraternite Gerosolimitane, specificamente, furono: il servizio per la custodia e la difesa del S. Sepolcro cui tutti i più nobili crociati aspiravano di adempiere affidato all’Ordine del S. Sepolcro, la cura degli infermi ad opera dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni; il mantenimento della sicurezza delle strade, infestate dai predoni, per la protezione di pellegrini affidato all’Ordine dei Templari.
Per la custodia e la difesa del S. Sepolcro, quindi nel 1099, si costituisce, la milizia del S. Sepolcro. Questa associazione sorge subito dopo la liberazione di Gerusalemme da parte di Goffredo di Buglione, duca di Lorena, condottiero della prima Crociata e primo re di Gerusalemme.

Di Buglione affidò ad alcuni cavalieri crociati – secondo la tradizione, nominò Cavalieri del S. Sepolcro cinquanta tra i più nobili gentiluomini, ed il Tasso fa riferimento a questi Cavalieri nella Gerusalemme liberata «Son cinquanta guerrier che in puro argento spiegan la trionfal purpurea Croce» (canto IX, ott. 92) – costituirsi in corpo, l’onore della custodia armata del S. Sepolcro, con dovere di obbedienza al Patriarca di Gerusalemme e li aggrega ai canonici della Chiesa del S. Sepolcro. Questa aggregazione divenne ben presto, una fusione talmente intima tra l’elemento militare e quello religioso, che più volte l’ecclesiastico si sostituì al militare fino ad impugnare la spada per la difesa del S. Sepolcro. Tale corpo di cavalieri, per distinguersi da altri crociati ed anche per ricordare la loro devozione al Duca che li aveva destinati alla difesa del S. Sepolcro, assunse l’emblema della cinque Croci, poiché questo era lo stemma della casata di Goffredo di Buglione e della Provenza, le cinque croci rosse in campo argento, furono adottate, più tardi dalla Custodia Francescana del Santo Sepolcro che, fu dal secolo XVI la sola autorizzata dalla S. Sede a concedere investiture di cavalieri sul Santo Sepolcro.
L’istituzione dell’Ordine del S. Sepolcro attribuita dalla tradizione a Goffredo di Buglione è avvalorata anche dalla autorevole costante opinione della Chiesa, che, espressa ancora da Celestino I nel 1144, fu ripetuta sino ai tempi più vicino a noi. Basti, ad esempio, quanto scrive il Pontefice Benedetto XIV (1740-1757): «Il Duca Goffredo, nell’anno del parto della Vergine 1099, nell’espugnazionedella Città Santa, messi insieme un numeroso esercito di trecentomila croci segnati, sotto gli auspici di Urbano II Pont. Max col favore di Dio sconfisse un esercito di oltre trecentomila nemici; onde presa Gerusalemme, per voto unanime di tutti il detto Goffredo fu proclamato solennemente re di Gerusalemme.
Nella quale carica senza frapporre indugio, con ardente animo si assunse la vigilanza del mausoleo di Cristo Signore. E affinché, secondo il rito, fosse mantenuto il Sacro Ordine dello stesso Santo Sepolcro, volle stabilire con leggi santissime i cavalieri; e in seguito creò cavalieri moltissimi nobilissimi uomini del risorto Sepolcro del Signore e li armò e decorò di croci rosse scolpite su scudo d’argento, stabilendo che fossero tenuti a portarle in luogo di stemma gentilizio, tanto in guerra quanto nelle riunioni di tutti i fedeli».
Nell’Archivio Vaticano vi é un registro, della metà del secolo XVI, in cui è riferita la storia del Regno di Gerusalemme e dei maggiori Ordini sacro-militari; in esso, fra i dodici citati, è posto per primo quello del S. Sepolcro: De origine ordinum totius Christianitatis: ut probatissimi auctores asserunt: Ordo S. Sepulcri - Ordo Templariorum - Ordo S. Joh. Jerosolimitani - Ordo Theutonicorum - Ordo S. Jacobi in Hispania - Ordo Calatravae - Ordo Alcantarae, etc.3.

Re e principi, si ritenevano onorati di appartenere all’Ordine del S. Sepolcro, che con l’Ordine di S. Giovanni e Templari gareggiava per meriti religiosi e per il valore in combattimento. Da una lettera del Patriarca Daiberto si apprende come il duca Goffredo era «Homo S. Sepulchri ac noster effectus, fideliter se Deo et nobis a modo militaturum spopondit». I re il Gerusalemme Balduino I, Balduino IV, Almerico conte di Ascalona, Ugo di Gibellino signore di Ramat, Luigi VII, il conte Ponzio di Tripoli, grande feudatario e signore di Antiochia, Ioska Griff, nipote del Re di Serbia, Guglielmo de Buris, principe di Tiberiade, Rodrigo di S. Giacomo, Guglielmo Embriaco, signore di Biblo, ecc. furono dai Patriarchi creati Fratres dell’Ordine. Il contingente armato dell’Ordine del S. Sepolcro e quello del Patriarca formavano la nota Milizia Gerosolimitana, così spesso citata dagli storici delle crociate.

 


1.1. Dalle origini alla caduta di San Giovanni d’Acri
In quasi tutti i fatti d’arme svoltisi durante il Regno di Gerusalemme, tutte le volte che l’esercito cristiano portava a sua protezione il legno della S. Croce, la Milizia Gerosolimitana fu presente. Il 6 settembre 1101 formava la quarta schiera dell’armata latina alla battaglia di Ramleh, mentre dieci, dei più valorosi e meglio armati cavalieri del S. Sepolcro, erano a guardia d’onore della S. Croce. Nella seconda battaglia del 17 maggio 1102 sempre a Ramleh, il patriarca Daiberto Lanfranchi di Pisa accorse in aiuto del re Balduino I, con i cavalieri del S. Sepolcro.
Il 27 agosto 1105, alla battaglia di Jbelin, intervenne il patriarca Evremaro con 150 Fratres armati, chierici e laici. Il gran maestro dell’Ordine, il patriarca, diresse nel 1124 la costruzione delle macchine da guerra all’assedio di Tiro; assedio organizzato ed effettuato unitamente al doge Domenico Micheli. Al patto di alleanza stipulato con i veneziani intervenne anche il priore del S. Sepolcro. Nel 1128 conquistarono il castello di Helmacer e nel 1178 morirono in combattimento i priori Baldomio e Giuffredo di Villanova.
I favori dei nobili feudatari e degli appartenenti all’Ordine, che elargivano a favore dello stesso donazioni, fecero si che i possessi dell’Ordine si stendessero in Palestina ed in Europa.
Nel 1220 si rileva dal breve di Onorio III: Effectum iuxa, che l’Ordine era esteso alle chiese di Costantinopoli, in Antiochia, in Tessalonica, con priorati in Sicilia, Spagna, Polonia, Boemia, Ungheria, Slavonia, Alemagna, Francia, Lombardia, Tuscia e in Inghilterra, oltre a possedimenti a Cipro e a Tripoli. Dai brevi di Nicolò VI e di Giovanni XXII, risulta che, tra il 1288 e il 1294, l’Ordine aveva 2088 Chiostri con tutte le pertinenze e dipendenze in case, castelli e vassalli.

Il più antico Statuto dell’Ordine del S. Sepolcro, è quello datato 1° gennaio 1099, composto di trentuno articoli, da cui si riportano il quarto ed il sesto perché particolarmente significativi: «Articolo Quarto. Di più, in onore della passione di N.S. Gesù Cristo e per la riverenza che abbiamo al Ss. Papa, alla Sede apostolica, e per l’obbedienza ai vicarii di Dio in terra ed anche ai vescovi della grande città di Roma, abbiamo assunto umilmente le santissime croci, con cui segnammo noi, i nostri soldati in onore delle cinque piaghe di N.S. Gesù Cristo, per essere maggiormente concordi contro simili infedeli e per distinguere noi e il nostro popolo cristiano, tanto vivo quanto morto, nelle regioni degli infedeli. Di più abbiamo preso visione e decretato di fondare l’Ordine del Santo Sepolcro della nostra città di Gerusalemme, in onore e riverenza della SS. Risurrezione, e al nostro nome cristiano abbiamo aggiunto la dignità di primate di detto Ordine e abbiamo voluto che le dette croci rosse, in onore delle piaghe inflitte a N.S. Gesù Cristo, fossero portate dai cavalieri del detto ordine. Molti altri ne abbiamo insigniti, ed essi pure contraddistinti con dette croci, affinché potessero essere riconosciuti da noi e dagli infedeli nel caso in cui fossero stati sbandati o impossibilitati a rimanere al servizio dell’esercito.
Articolo Sesto. Abbiamo voluto e vogliamo che tutti coloro i quali desiderano usare e godere l’onore di appartenere a detto Ordine e usufruire di dette franchigie e libertà, assumano in sé questi viaggi e servizi relativi della detta fede cristiana e difesa della chiesa romana cattolica apostolica e delle altre chiese cristiane. E coloro che a questo accondiscendessero, vengano pure ascritti al detto Ordine, e da noi, o, se noi assenti, da un nostro sostituto, vengano fregiati della croce nella chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme. I suddetti saranno ascritti a detto Ordine dopo che da investigazioni compiute debitamente per iniziativa dell’Arcivescovo, o curato della diocesi, o parrocchia nella quale saranno nati, risulterà a noi, al nostro rappresentante che essi sono cristiani cattolici, legittimi e non spurii, e che non furono incolpati in nessun modo, né diffamati e macchiati di qualche delitto indicibile ed enorme, in giudizio o fuori. Di più, i cavalieri dovranno fare la confessione dei loro peccati, e nel giorno della loro ammissione in detta milizia, assolti, dal sacerdote celebrante il divino ufficio in detta chiesa del Santo Sepolcro ricevere il sacrosanto sacramento dell’Eucarestia. In questa circostanza, da noi, o da un nostro luogotenente, verranno decorati con le insegne di detto Ordine e segnati con le cinque croci. Sarà accettato il giuramento da ciascuno di loro di osservare e difendere fedelmente il contenuto nelle ordinanze del detto Ordine da noi pubblicate e di pagare la somma di trenta scudi coronati al tesoro del detto S. Sepolcro per elemosina da versarsi ai poveri, pellegrini e ai militi che arrivassero e affluissero in detto luogo di giorno in giorno, e agli ammalati degenti negli ospedali dello stesso S. Sepolcro della città di Gerusalemme» (4).
Gerusalemme dopo ottanta anni di dominio cristiano, cadde nuovamente in potere degli infedeli, il sultano Salah Addin il 2 ottobre 1187 occupò Gerusalemme.
A nulla era valsa l’eroica difesa organizzata dal cavaliere del S. Sepolcro Baleano di Ibelin, per cui i superstiti si rifugiarono in S. Giovanni d’Acri. Qui l’ordine del S. Sepolcro rimase per oltre quarant’anni, continuando a lottare contro gli infedeli e compiendo le opere caritative alle quali era votato, nella speranza di una riconquista, che non poté avvenire, nonostante qualche ripresa. Infatti, solo per poco, esso poté ritornare nella Città Santa, ormai semideserta ed in condizioni di non poter essere adeguatamente difesa. Nel 1229 Gerusalemme era ceduta a Federico II che si proclamò nella Chiesa del S. Sepolcro re di Gerusalemme. La situazione era però ormai insostenibile ed il 17 ottobre 1244 in un epico scontro a Gaza, dopo due giorni di combattimento l’esercito cristiano fu sconfitto, degli oltre mille cavalieri crociati rientrarono vivi ad Ascalona trentatré cavalieri del S. Sepolcro e Templari, ventisei di Malta e tre Teutonici. La Palestina poteva dirsi ormai perduta per i cristiani.
In effetti 1229 la quinta crociata attuata da Federico II, re di Sicilia, fu indetta per mantenere una promessa fatta al papa (5). Fu condotta però con scarsa energia e pochissima serietà. Questo Sovrano infatti non aveva alcuna intenzione di impegnarsi a fondo in una lunga spedizione oltremare, anche perché gravi cure lo richiamavano in Italia. Si limitò pertanto a venire a patti con i Musulmani.
Così, il 18 febbraio 1229, allo scopo di occupare Gerusalemme senza spargimento di sangue, arbitrariamente e con pochissimo senso cristiano, a Giaffa fece un trattato con il Sultano Malek Kamel, il quale cedette Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e tutti i villaggi vicini, ma si riservava il possesso del Templum Domini (Santo Sepolcro) e del Templum Salomonis (Moschea d’Omar) ed esigeva che Federico II lo garantisse contro gli attacchi dei principi cristiani per la durata di dieci anni. L’accordo consentì ai cristiani di ritornare, dopo quarantadue anni, per una breve parentesi a Gerusalemme.
L’imperatore, su cui gravava la scomunica del papa, entrò accompagnato dai cavalieri teutonici e dai baroni tedeschi nella Città Santa e nella chiesa del Santo Sepolcro si cinse la corona di re di Gerusalemme.
Ma dopo quindici anni, durante i quali i pontefici furono generosi di privilegi e d’immunità verso l’Ordine, il 17 settembre 1244, tribù turche di Khwarizmiani, approfittando della mancanza di fortificazioni, inflissero gravissime perdite ai cristiani e rioccuparono Gerusalemme.
Ancora una volta i cavalieri sfuggiti alla strage ripiegarono su S. Giovanni d’Acri. In questa città palestinese, ricca e piena di vita, ultimo possesso rimasto ai cristiani di tutti quelli conquistati con le crociate, confluirono, restando sempre sul piede di guerra, anche tutti i principi e i baroni cristiani della Palestina, il patriarca di Gerusalemme, gli ordini cavallereschi militari, veneziani, genovesi, pisani.
Ciò che veramente colpisce è che quelle comunità, oltre ad avere, com’è ovvio, abitudini e costumi diversi, avevano quartieri propri, uffici propri, del tutto indipendenti l’uno dall’altro, ognuno con i diritti della sovranità. Negli affari civili e militari poi c’era rivalità fra loro.
È logico pertanto che il governo di questa città fosse oltremodo difficile. Potevano infatti sorgere dei forti attriti, se un principe emanava delle leggi in contrasto con quelle di un altro.
Il 1291 fu l’anno tristissimo per questa città. Il Sultano Khalil, con un esercito di 60.000 cavalieri e di 140.000 fanti, posel’assedio. Aveva di fronte pochi difensori, 30.000 abitanti e 15.000 combattenti, ridotti dopo un mese e mezzo a 12.000 uomini.
Il 16 maggio, egli fece un fortissimo tentativo di entrare. Furono colmati fossati, abbattute per lungo tratto le mura e già per la città mezzo presa risuonava il grido di vittoria dei Musulmani. Ma ancora una volta i cristiani si slanciarono a compiere azioni del più alto eroismo, rigettarono fuori della città i nemici che v’erano entrati e sbarrarono la breccia con un muro affrettato di pietre e con ogni sorta di roba. Pur tuttavia non era più possibile ritardare la caduta della fortezza.
I capi dei crociati sapevano ciò e, il 17 maggio, s’adunarono per deliberare se dovessero incominciare la ritirata verso Cipro. Mancavano però le navi occorrenti, fu quindi presa la magnanima risoluzione di aspettare tutti insieme la fine.
Il 18 maggio 1291, i Musulmani si scagliarono da ogni parte all’assalto con le loro forze preponderanti. Dopo essere stati ricacciati indietro più volte, sfondarono una porta e si riversarono in folte schiere per tutte le vie della città.
Cadeva così S. Giovanni d’Acri, dove sorgeva l’antica Tolemaide, ultimo baluardo della cristianità sulle coste dell’estremo Mediterraneo Orientale. Era la conclusione di una lotta eroica che soltanto la fiamma di una fede avrebbe potuto portare a termine.
Durante il durissimo scontro brillò fulgidissimo il valore dei cavalieri del S. Sepolcro, che per due secoli avevano preso parte a tutte le battaglie combattute in Terra Santa.

Anche i cristiani e gli altri ordini religiosi militari gerosolimitani, così detti perché aventi sede a Gerusalemme, vale a dire i Cavalieri di S. Giovanni (Malta), i Lazzariti, i Templari, i Teutonici si coprirono di gloria e scrissero, nel tentativo di salvare il grande acquisto di Goffredo, una pagina degna di epopea.
La grande sconfitta di S. Giovanni d’Acri, dovuta alle forze schiaccianti dei Musulmani, produsse una profonda impressione in Europa e segnò l’epilogo, dopo due secoli, nella storica lotta delle Crociate, cui i cavalieri del S. Sepolcro avevano partecipato, svolgendo una parte fondamentale.
La cristianità pianse la sua perdita e la Tomba di Cristo restò nelle mani degli infedeli.
La lotta fra il mondo cristiano e quello musulmano per il dominio dei Luoghi Santi era terminata a vantaggio degli infedeli. Sottomessa tutta la Palestina, scomparso il Regno Latino con il patriarcato, anche i canonici del S. Sepolcro cessarono l’attività nel campo militare.
I superstiti cavalieri religiosi, come pure il patriarca, dovettero lasciare la Terra Santa, piena di tante loro memorie. Salparono il Mediterraneo e rientrarono in Europa, dove da tempo avevano dato vita a commende, ad arcipriorati, priorati, vicariati, dai quali dipendevano pure conventi, monasteri e confraternite. Nelle loro sedi europee, in particolare a Perugia, proseguirono la loro funzione religiosa e storica.
Pure la classe dei cavalieri difensori, finito il periodo eroico, si sciolse; sopravvisse quella d’onore e iniziò una nuova esistenza. Nei cristiani sparsi nel mondo si rafforzò l’attrattiva di ricevere le insegne davanti alla Tomba di Cristo.
E se con la caduta del Regno di Gerusalemme era anche cessato il primo scopo che aveva determinato la creazione dell’Ordine, ovvero la difesa territoriale dei Luoghi Santi in genere e del Santo Sepolcro in particolare, ad esso se n’era sostituito uno nuovo, altrettanto nobile, importante e più duraturo nel tempo: la difesa dei valori del Cristianesimo in Terra Santa e la conservazione materiale dei suoi Santuari.

 


1.2. Costituzione dei priorati d’Europa


I superstiti cavalieri dei vari Ordini si rifugiarono nei loro priorati in Europa. Termina così la stabile dimora degli ordini sacro-militari nella Palestina. L’Ordine del S. Sepolcro seguiterà, nella sua naturale sede di Gerusalemme, la sua missione attraverso l’Ordine Francescano dei Minori, che si sostituisce ad esso ereditandone le mansioni e gli ideali, divenendo ad un tempo figlio e padre: figlio per l’eredità acquisita, padre perché i Minori seguitarono, per incarico papale, a investire nuovi cavalieri sul S. Sepolcro.

Nelle parti cismarine da tempo si erano costituiti vari Priorati dell’Ordine del S. Sepolcro, sia per combattere l’invasione di mori, come in Spagna, sia per esplicare l’Opera di raccolta dei fondi per la guerra contro i saraceni e dedicarsi alle pie opere di sostentamento dei poveri e dei derelitti.
Sappiamo di certo che nel secolo XIV esistevano un Arcipriorato, uno o più vicariati generali per ogni stato; ad essi erano soggetti i priorati e le precettorie dai quali, a loro volta, dipendevano conventi, monasteri, confraternite, parrocchie, vicarie ecc. L’arcipriorato aveva residenza in Perugia, i vicariati dei vari stati erano affidati al priorato più grande e più antico che prendeva il nome di vicariato provinciale o generale. Ogni priorato comprendeva monasteri di canonici e conventi di canonichesse o di monache, ospedali, confraterie, ecc.


1.2.1. In Italia
In Italia, fin dal 1187, l’Ordine del S. Sepolcro aveva la sua sede presso la chiesa di S. Luca di Perugia che, per essere una delle residenze cismarine più antiche, venne scelta, dopo l’esodo dell’Ordine dalla Palestina, come Casa madre dell’Ordine stesso: «Capitulum Hierosolymitanum venit ad civitatem istam et posuit se in Ecclesia Sancti Lucae». Questa Chiesa: divenne «Caput totius Ordinis et universorum locorum Sanctissimi Sepulchri Dominaci Hierosolimitani».
L’ordine del S. Sepolcro aveva fin dal 1144 una chiesa in Roma concessagli da Papa Celestino II con il Breve del 12 gennaio 1144, evidentemente nella città eterna non vi era residenza stabile di alcun capitolo di Fratres dell’Ordine, se venne più tardi scelta Perugia come casa madre. In effetti questa città, per la sua posizione geografica al centro dell’Italia e per i vasti possedimenti che nel suo territorio aveva l’Ordine, venne preferita perfino a Barletta, dove i cavalieri del S. Sepolcro avevano proprietà e chiesa fin dal 1160. Infatti in quell’epoca esisteva già a Barletta il sobborgo del S. Sepolcro, che s’era venuto formando ad opera dei cavalieri del S. Sepolcro, per avere un punto di scalo sui mari del Levante dove convogliare i pellegrini e crociati che si recavano in Terra Santa. L’Ordine del S. Sepolcro era ricco e possedeva molte commende; la giurisdizione del priorato di Perugia si estendeva su numerose chiese e comunità di Francia, Spagna, Germania. In Italia l’Ordine possedeva, tra le altre la Casa di S. Andrea de Platea (ossia di Piazza Armerina) in Sicilia. Qui l’Ordine sembra si sia stabilito fin dal 1136, ossia pochi anni dopo la conquista di Gerusalemme, proprio in piazza Armerina, dove venivano soccorsi e curati i pellegrini che si recavano a Gerusalemme. La chiesa di S. Andrea con l’ospizio, che, con diploma del 30 novembre 1106 steso da Guglielmo Gramatico notaro, fu donata dal conte di Butera e Policastro all’Ordine, ebbe nel corso dei secoli fino ai giorni nostri vasta rinomanza tanto da essere riconosciuta come chiesa madre, e il suo priore capo dell’Ordine in Sicilia e vicario dell’arcipriore di Perugia.
Anche le chiese del S. Sepolcro di Brindisi, di Venosa e di Barletta appartenevano all’Ordine; come risulta dalla Bolla di Celestino II dell’anno 1144. I vicariati generali, negli altri stati, erano affidati al priorato di più antica costituzione.


1.2.2. In Spagna
Il più antico insediamento dell’ordine del S. Sepolcro fra tutte le nazioni europee può vantarlo la Spagna. Questo avvenne per volontà di Alfonso I (El Batallador), Re di Aragona e Navarra, il quale non avendo figli e temendo le future sorti del suo regno per i continui attacchi dei mori, nell’ottobre 1131 trovandosi all’assedio della città di Bajona istituì suoi eredi e successori gli ordini del S. Sepolcro, di San Giovanni e dei Templari. Nel suo testamento Alfonso I per il suffragio dell’ anima sua e degli antenati stabilì che l’Ordine del S. Sepolcro, l’Ospedale di San Giovanni e la Milizia del Tempio, gli succedessero nella Signoria di tutte le terre del suo regno.
Il priorato di Calatajud, fu il primo insediamento dei cavalieri del S. Sepolcro in Spagna. L’attività del suo priore, Girardo, fu davvero instancabile, l’ordine si espanse nel regno di Castiglia e di Leòn, e tramite il re Alfonso VII poté stabilire case dell’ordine in Salamanca e Zamora. Il priore Girardo fondò, inoltre, la chiesa di S. Anna a Barcellona, come risulta dalla iscrizione in questa chiesa datata 11 gennaio 1156: «Obiit Géraldus frater S. Sepulchri qui edificavit Ecclesiam Sanctae Annae».
Il papa Eugenio III, il 7 maggio 1148, confermò al S. Sepolcro i privilegi già elargiti dai suoi predecessori. Innocenzo IV, il 25 marzo 1247, dispose che le case dell’ordine in Spagna fossero esenti dal pagamento dei tributi alla chiesa.
Il vicariato generale in Spagna fu affidato al Priorato di Calatajud, ed al priore fu concesso anche il privilegio di battere moneta; le monete portavano su una faccia il busto di Don Giacomo II e sull’altra la Croce Patriarcale, ed erano chiamate: Dinerillos del Sepulcro.
In Spagna, occupata ancora dai saraceni, i cavalieri dell’Ordine del S. Sepolcro continuarono a combattere come avevano fatto in Palestina. Presero parte alle imprese militari della conquista di Valencia nel 1238, dove si distinsero sia i canonici sia i cavalieri dei priorati di S. Anna di Barcellona, di Calatayud e di Palma di Majorca, ottenendo in premio dal sovrano la Basilica del S. Sepolcro.
Così presero parte alla difesa del castello di Nuevalos nel 1372 ed alla liberazione, nel 1465, della città di Simancas.
 

1.2.3. In Francia
In Francia l’Ordine del S. Sepolcro costituì le sue sedi in epoca molto antica. Durante la seconda crociata Luigi VII, detto il giovane, prese sotto la sua speciale protezione i cavalieri dell’Ordine, ne confermò lo statuto nel 1148 e ne condusse in Francia con sé un gruppo che, stabilito a Saint Samson, presso Orleans, vi rimase fino al 1254.
Luigi IX li chiamò a Parigi e affidò loro il servizio della Sainte Chapelle, dove fu fondata l’arciconfraternita dei Palmiers, incaricata dell’organizzazione dei pellegrinaggi in Terra Santa. Filippo di Valois dette all’arciconfraternita il permesso di innalzare un tempio e un ospedale dedicati al S. Sepolcro; il 18 maggio 1326 l’arcivescovo d’Auch mise la prima pietra, in presenza di Luigi di Borbone, conte di Clermont e delle regine Clemence, Isabella d’Inghilterra e Bianca di Bretagna, vedova di Filippo, conte d’Artois. I Cavalieri del S. Sepolcro, stabilitisi a Parigi in rue Saint Denis, avevano per sigillo lo stemma antico di Francia con al centro le cinque croci di Gerusalemme.
L’Ordine del S. Sepolcro era tenuto in particolare considerazione in Francia, sia perché era stato fondato da un principe francese e sia per la devozione dei re verso i Luoghi Santi. Molte case dell’ordine, nel secolo XV, si trovavano in questa nazione; si conta vi fossero 39 case e quattro priorie. Ad Annecy, in Savoia, avevano la loro sede i fratres ospedalieri del S. Sepolcro. Il priorato di Annecy, secondo il breve di Sisto IV Provisionis nostrae del 24 maggio 1479, faceva parte dei domini sabaudi insieme ai priorati di Riperpolio, di Stambiago, di Cavallermaggiore, rispettivamente nelle diocesi di Ginevra, Ivrea e di Torino. A Caen esisteva una casa dei cavalieri dell’ordine e una commenda a Montmorillon; il canonico Bessières, nel 1780, compilò una storia sulla casa di Caen. Pietro Vidal pubblicò uno studio sulla prioria di Marceval che dipendeva dal Gran priorato
di S. Anna di Barcellona fin dal 1306.


1.2.4. Nell’Europa orientale
Il Vicariato dell’Ordine nell’Europa orientale era tenuto dal priorato di Miechow che era il più antico; Jaxa Grifius, conte di Miechow in Polonia, condusse dalla Terra Santa numerosi cavalieri e religiosi del S. Sepolcro e nel 1162 fondò il convento di Miechow presso Cracovia. L’ordine si propagò rapidamente, ebbe 20 case in Polonia, Slesia, Moravia e Boemia.
Nei secoli XIV e XV il Priorato di Miechow era a capo dell’Ordine in Polonia, Ungheria, Slavonia, Russia e Teutonia, come si rileva dal Breve di Martino V del 29 maggio 1421.

 

1.2.5. In Germania
In Germania il Vicariato Generale aveva sede nel monastero di Denkendorf, che esisteva fin dal 1125. Di tale monastero, infatti, si parla nel breve di Onorio II del 27 gennaio 1125. Il maestro generale dell’arcipriorato generale di Perugia, Cattaneo Traversari, divise il territorio tedesco, nel 1480, in due vicariati generali: uno per la bassa Alemagna, affidato a Giovanni Abrouch, Prior Domus Montis S. Odilii Leodicensis Diocesis, e l’altro per l’alta Alemagna, conservato al precedente vicario generale di tutto l’Impero, Pietro preposto di Denkendorf. Il vicariato della bassa Alemagna comprendeva le provincie e diocesi di Treviri, Colonia, Brema, Tournay e Cambray; il vicariato dell’alta Alemagna era a capo delle restanti province e diocesi dell’Impero, comprese le diocesi di Liegi, Munster e Utrecht. A Bruges, nell’alta Alemagna, fu costruita nel 1435 una chiesa, chiamata Cappella di Gerusalemme, del tutto simile alla chiesa del S. Sepolcro di Gerusalemme; la costruì Pietro Adorne che recatosi a Gerusalemme fu investito cavaliere e, dopo aver preso il rilievo della chiesa del S. Sepolcro, volle ricostruirla in Bruges nelle misure e nell’aspetto fedelmente riprodotta. Eugenio IV la elevò poi a parrocchia.
Molte chiese dedicate al S. Sepolcro furono fondate dall’ordine in Germania o appartennero ad esso; tra queste quella di Santa Odile di Rerumonde, citata nella bolla di Innocenzo VI del 20 marzo 1475; inoltre la chiesa e convento di Kinrode presso Liegi, fondati da Clemente Abrouck nel 1484; il S. Sepolcro di Neuwerstadt, fondato dal priore Giovanni Abrouck, che era vicario generale del gran priore di Perugia e che fondò anche la chiesa del S. Sepolcro di Gersten.


1.2.6. In Inghilterra
I cavalieri dell’Ordine si insediarono in Inghilterra intorno al secolo XII. Sotto il regno di Enrico II Plantageneto, numerosi canonici e cavalieri si trasferirono in Inghilterra stabilendosi a Warwich, fondando, contemporaneamente, altri monasteri in Scozia e Irlanda. Nel 1174 il re Enrico iniziò la costruzione della chiesa del S. Sepolcro di Cambridge e di quella di Northampton. La devozione del re Enrico per il S. Sepolcro e la sua particolare protezione all’Ordine fecero affermare ad alcuni storici che fu proprio lui, dopo un suo viaggio in Palestina, a trasferire alcuni cavalieri dell’Ordine in Inghilterra per perpetuare colà gli innumerevoli servigi che l’Ordine rendeva in Palestina.

 


1.3. Considerazioni conclusive


L’Ordine del S. Sepolcro si estese quindi in tutta l’Europa e benché la sua missione istituzionale fosse terminata, aveva assunto altrettanti doveri caritatevoli e di propagazione della fede. Ogni Priorato comprendeva canonici-cavalieri, fratres-cavalieri, conventi di canonichesse, chiese, confraternite, donati, servitori, ecc. Non erano essi dunque composti di soli canonici regolari, ma come tutti gli altri ordini sacro-militari, avevano un organico misto di religiosi e di laici: i religiosi con vincolo di vita conventuale e i laici aggregati nelle confraterie delle canoniche, che si univano ai loro fratelli religiosi per le orazioni e per tutte le incombenze dell’Ordine.
L’impegno che legava i componenti dell’ordine del S. Sepolcro di combattere l’infedele per la conservazione della fede cristiana si fece pressante all’inizio della seconda metà del XVI secolo. La guerra contro i turchi si stava per riaccendere più viva che mai. Gli stati europei ormai erano pacificati: i tedeschi con la pace interna di Augusta, l’impero spagnolo e il papato con l’accordo del settembre 1557, la Spagna e la Francia con la pace di Chateau-Cambresìs. Ovunque regnava la pace, meno che nel Mediterraneo, ove la guerra contro i turchi, seppure interrotta da lunghe pause, sopravviveva. Una guerra incostante, indecisa, oscura. La Spagna si apprestava, cogliendo l’occasione di discordia tra i figli del sultano turco Solimano, a ingaggiare la lotta definitiva contro gli infedeli. Per questa ragione nel 1558, 20 cavalieri di varie nazioni, dell’Ordine del S. Sepolcro, tennero capitolo nella chiesa di Hoogstraten presso Cambrai, per riaffermare la volontà di combattere l’infedele ed eleggere come gran maestro dell’Ordine un personaggio che, per qualità morali e di soldato, potesse guidarli nella prova che li attendeva. La scelta cadde sul Re Filippo II di Spagna. A questo capitolo prese parte, per procura, anche il cavaliere del S. Sepolcro Andrea Doria, l’ammiraglio genovese prozio dell’eroe della battaglia di Lepanto, Gian Andrea Doria.
Dal resoconto di tale capitolo vediamo che in esso si rievocarono le antiche glorie dell’Ordine, si parlò della «nostrae religionis et Militiae» e gli appellati «confratres et Milites Militiae» si dichiararono pronti a far guerra agli infedeli «omnes et singulos infedeles, tam Turcas, Mauros, Tartaros pro hostibus habemus iisdemque apertum ac perpetuum bellum indicimus». I cavalieri si recarono poi, in processione, fino alla chiesa di S. Caterina con l’uniforme e l’insegna dell’Ordine.
Il figlio di Filippo II, Don Carlos, fu nominato principe dell’Ordine, e Don Pietro di Zarate commissario generale.
Nel frattempo a Gerusalemme si seguitava ad armare i cavalieri del S. Sepolcro, fu questa catena senza fine che rinnovò ed animò di sempre nuova vita l’Ordine nel corso dei secoli per cui il merito della continuità dell’Ordine è senz’altro da attribuirsi alla custodia francescana di Terra Santa, che per attuare, fra gli altri suoi compiti, il conferimento della Milizia del S. Sepolcro doveva superare gravosi ostacoli principalmente ad opera della popolazione maomettana. Nell’archivio francescano di Gerusalemme si possono ancora oggi vedere i numerosi firmani e hogget, richiesti dai francescani per porre qualche argine a vessazioni, violenze, angherie e soprusi.
Essi operano incessantemente per secoli, e per secoli i cavalieri del S. Sepolcro al loro ritorno in Europa propagandarono la sublime missione che gli umili francescani andavano svolgendo in Terra Santa.
Lo Chateaubriand, cavaliere del S. Sepolcro, che fu in Palestina così definì la funzione storica dei Francescani in Terra Santa: «Io mi sentivo commosso alla vista di questa debole, ma invincibile milizia rimasta sola a guardia del S. Sepolcro, quando i re l’avevano abbandonata. Soli, senza difesa, in quel paese di straordinaria desolazione, tra le rovine di Gerusalemme, trovarono nella fede il rigore per sormontare tanti orrori e miserie. Niente poteva forzarli ad abbandonare il Sepolcro di Cristo, né deportazioni né maltrattamenti, né minacce di morte. I loro cantici risuonavano di giorno e di notte intorno a quella tomba. Spogliati il mattino dal governatore turco, la sera li ritrovi ai piedi del Calvario a pregare. La loro fede è serena, la loro bocca è ridente. Ricevono lo straniero con gioia, senza soldati proteggono i villaggi contro l’iniquità. Donne, bambini, greggi, trovano rifugio nei chiostri di questi solitari. La carità dei monaci é un baluardo contro la rapacità dei pascià. Si privano delle ultime risorse della vita per riscattare chi li supplica» (6).

 

 

 


CAPITOLO TERZO


NUOVO PERIODO

 


1. EPOCA CONTEMPORANEA

 

Agli inizi del secolo XIX, l’Ordine del S. Sepolcro aveva man mano, per diverse cause, perso chiese, case, priorati, protezioni. Era tornato, infine, alla sua originaria missione caritatevole; le imprese militari, la vita conventuale, il voto di castità assoluta, la frugalità, il digiuno, la rinuncia alle ricchezze e agli agi della vita, restarono ricordi di un glorioso passato. La sua essenza di Ordine sacro-militare era tuttavia rimasta. Vi fu, in questo secolo di riforme e di lotte, un momento di sconforto e di smarrimento. Gli avvenimenti della rivoluzione francese, che avevano fatto tremare tutta l’Europa, trasformato istituzioni e distrutto consuetudini secolari, ebbero ripercussioni anche sull’Ordine del S. Sepolcro, in misura meno grave tuttavia di quanto avvenne ad altri Ordini cavallereschi alcuni dei quali scomparvero per sempre. Ordini illustri come quello Malta erano costretti a esulare dapprima in Russia, poi a Ferrara e poi in Sicilia. Dopo la Restaurazione l’Ordine del S. Sepolcro cercò di stringere le fila e riorganizzarsi chiedendo conforto a varie personalità, principi del sangue accettano l’Ordine del S. Sepolcro: Ferdinando, principe ereditario di Toscana, nel 1844; Francesco, principe ereditario regno delle due Sicilie, nel 1845, ed altri; ma oltre a ciò occorreva rinsaldare questa Milizia, unirla sotto il comando di un autorevole gran maestro.
Con l’azione riformatrice dei pontefici si apre un nuovo periodo di sviluppo a di splendore per l’Ordine del S. Sepolcro.


1.1. Pio IX
Fu così che Pio IX, non appena la Santa Sede riuscì a stipulare un accordo con la Sublime Porta, ripristinò nel 1847 con la bolla del 23 luglio “Nulla Celebrior” il Patriarcato di Gerusalemme e sottopose l’Ordine del S. Sepolcro al suo antico naturale capo, il patriarca di Gerusalemme.
Pio IX, con il Breve “Multa Sapienter” del 24 Gennaio 1868, riformò i vecchi statuti e concesse, a «maggiore splendore e ampliamento» dell’Ordine, 3 gradi distintivi: Gran Croce, Commendatore, Cavaliere, esistendo, fin dal tempo delle Crociate, un solo grado, e stabilì la forma delle decorazioni e fissò il carattere dell’uniforme militare dell’Ordine.

Il Patriarca nominò anche una delegazione dell’Ordine, che doveva servire da intermediaria tra lui e la Santa Sede per gli affari straordinari. Il primo delegato del patriarca a Roma fu il conte Gaetano Agnelli di Malherbi di Urbino, ciambellano intimo di Pio IX; dopo la morte del conte Agnelli, fu nominato il conte Fabio Fani, la cui giurisdizione si estendeva su tutto lo Stato Pontificio, compresa la Toscana e gli antichi ducati di Modena e Parma. A Firenze, l’Ordine dei cavalieri del S. Sepolcro fu, fin dal 1850, ricostituito in Toscana tanto che all’arrivo in quella città, nel 1856, Pio IX fu scortato da cavalieri e il Papa nel suo discorso ricordò loro le antiche glorie dell’Ordine.

 

1.2. Leone XIII
Il 3 agosto 1888 Leone XIII, con Lettera Apostolica “Venerabilis Frater” estese alle Dame l’onore di appartenere all’Ordine del S. Sepolcro innovazione puramente apparente, poiché, in effetti, era un ritorno all’antico, giacché nel secolo XVII ed anche prima esistevano in seno all’Ordine le Canonichesse del S. Sepolcro; pertanto, l’elezione delle Dame rappresentava la continuazione ideale di un’antica tradizione: continuare l’opera delle donne del Vangelo, seguaci di Gesù fino alla Croce.


1.3. Pio X
Nel 1906 Pio X, con la Bolla “Quam Multa” del 3 maggio 1907, assimilò l’Ordine nella decorazione, agli altri Ordini sacro-militari, decorandolo del trofeo militare e riservando alla persona del papa il Gran Magistero.
La Lettera Apostolica, in forma di Breve, con la quale l’insegna dell’Ordine è decorata del trofeo militare, così venne concepita dal Papa Santo: «A dimostrare pienamente la Nostra volontà a tutto l’Ordine, ci piace di permettere, in via di Grazia, e in segno del Nostro amore paterno, che coloro i quali sono ascritti all’Ordine Equestre, adornino l’insegna dell’Associazione col trofeo militare da porsi nella parte superiore, in modo che da esso penda la Croce propria dell’Ordine, attaccata al nastro di seta marezzata di color nerastro» (1). Inoltre, nello stesso breve, Pio X approvava che «secondo il bisogno, di ciascuna regione, venissero scelti e stabiliti alcuni dell’Ordine i quali, in ciò che riguarda l’Ordine stesso, facciano le veci del Patriarca e ne rappresentino pubblicamente la persona».
Il Gran Maestro approvava così l’istituzione del Luogotenente; inoltre ai cavalieri diede il privilegio della tribuna nelle Cappelle Papali.

 

1.4. Benedetto XV
Benedetto XV, confermando quanto già concesso all’Ordine dai suoi predecessori, autorizzò l’accollamento della croce allo stemma degli alti prelati facenti parte dell’Ordine del S. Sepolcro. All’Ordine del S. Sepolcro fu riconosciuto il pieno diritto di appellarsi Ordine Equestre del S. Sepolcro, con l’aggiunta di Gerusalemme. Inoltre venne stabilito che la cancelleria dei brevi apostolici della S. Sede apponesse il suo Visum e sigillo sul diploma di nomina dei nuovi cavalieri quale condizione necessaria per il riconoscimento ufficiale della nomina stessa. Venne infine confermato il diritto dell’Ordine ad avere luogotenenze, capitoli, gran priorati, sezioni e delegazioni.


1.5. Pio XI
Pio XI che all’altissima fede e all’amore per le opere di Terra Santa univa un mirabile senso storico, con la Bolla “Decessores nostri” del 6 gennaio 1928, completò l’Opera dei suoi predecessori.
In questo suo documento richiamò, in rapida sintesi, i precedenti storici e legislativi dell’Ordine, la cui antichità è confermata ufficialmente dalle parole “Equites S. Sepulcri iam antiquitate commendati”.
Quindi, abolì tutti i documenti pontifici emessi prima di Pio IX e diede all’Ordine un’assoluta autonomia, che lo riportava di fatto alle sue origini, ma restava sempre sotto la benevola protezione della Santa Sede.
Rinunciò pertanto al gran magistero, assunto da Pio X, tenuto anche da Benedetto XV e da lui stesso fino a tutto il 1927. Costituì Capo Supremo dell’Ordine, con la qualifica di Rettore e Amministratore pro tempore, il patriarca latino di Gerusalemme. Il quale poteva così conferire i gradi dell’Ordine, non più per delega pontificia, ma in forza della sua stessa carica e per propria autorità. Il Pontefice, riconoscendo anche l’importanza, assunta dall’Opera per la Preservazione della Fede in Palestina, decise che questa e l’Ordine del Santo Sepolcro, che erano due Istituzioni egualmente ispirate dalla comune fede, egualmente illuminate da un medesimo ideale, egualmente consacrate all’esercizio di opere caritative, si unissero e formassero quasi un solo corpo, da governarsi unicamente dal patriarca.
Le due opere abbinate avrebbero potuto meglio intensificare l’apostolato per la salvaguardia del Vangelo in Terra Santa. L’Ordine del Santo Sepolcro dette all’Opera per la Preservazione della Fede in Palestina un grande sviluppo, costruendo nuovi edifici di culto ed educativi, oltre a numerose altre opere.

Il patriarca di Gerusalemme, mons. Luigi Barlassina, di fronte a queste felici realizzazioni dell’Ordine, ritenne opportuno incrementarlo e diffonderlo nelle varie parti del mondo. Pio XI volle anche riformare lo statuto. Abrogati tutti i precedenti, il nuovo venne approvato nell’udienza del 2 marzo 1932 e pubblicato dalla Sacra Congregazione del Cerimoniale il 19 marzo dello stesso anno.
L’Ordine del Santo Sepolcro, in questo nuovo ordinamento, viene considerato di Merito, di subcollazione pontificia. Vennero anche istituiti dei Centri dell’Ordine in città italiane e all’estero: a Roma, Milano, in Francia, Germania, Ungheria, Polonia, Spagna, Austria, America Latina, Medio Oriente. Sorsero pure delle Luogotenenze per allacciare meglio i rapporti.
Nel 1930, ancora una volta, fra l’Ordine di Malta e quello del Santo Sepolcro nacque una controversia, che determinò l’intervento del Pontefice. Per amor di storici, dobbiamo un poco accennare anche a queste lotte. Poteva l’Ordine del S. Sepolcro intitolarsi sacro, militare, gerosolimitano, darsi un gran magistero, luogotenenze, capitoli, priorati, balì? Questi ultimi, poi, secondo le costituzioni dell’Ordine modificate da Pio XI, erano stati nominati in ogni Paese. No, per l’Ordine di Malta, dato che queste attribuzioni sarebbero state usurpate e gli appartenevano. Pio XI, allora, sottopose la questione ad una Commissione Cardinalizia.
Il 5 agosto 1931, la Sacra Congregazione del Cerimoniale promulgò, con l’approvazione del Santo Padre, il decreto che così disponeva. Alla denominazione ufficiale “Ordine Equestre del Santo Sepolcro”, per benigna concessione di Sua Santità Pio XI, venne aggiunta in fine l’attribuzione di Gerusalemme, in modo che la denominazione fu così stabilita: “Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme”.
Non poteva però intitolarsi sacro, militare, gerosolimitano, né il patriarca poteva assumere il titolo di gran maestro, né quello di balì i rappresentanti regionali dell’Ordine.
Ebbe tuttavia confermato il diritto ad avere luogotenenze, capitoli, ecc. Con lo stesso decreto del 5 agosto 1931 fu prescritto al patriarca latino di Gerusalemme di comunicare, volta per volta, i nomi dei nuovi membri dell’Ordine alla Cancelleria dei Brevi Apostolici, presso la Santa Sede, perché questa, ove nulla avesse ad osservare in contrario, prendesse atto e vi apponesse il suo visum e il sigillo sul diploma per la validità della nomina, condizione necessaria per il riconoscimento ufficiale delle decorazioni dell’Ordine da parte dei governi che avevano relazioni diplomatiche con la Santa Sede.
È da ricordare anche che, nel 1932, fu creato un Referendario, per stabilire un costante collegamento tra la Santa Sede e il Patriarcato di Gerusalemme.

Nello stesso anno, si tenne a Gerusalemme il primo congresso mondiale dei Cavalieri del Santo Sepolcro.


1.6. Pio XII
Anche Pio XII si occupò in modo particolare dell’Ordine del Santo Sepolcro. Prima di tutto, con Breve del 16 luglio 1940, a causa delle vicende della seconda guerra mondiale, della lontananza del Patriarca di Gerusalemme e della rinuncia dello stesso patriarca, Mons. Luigi Barlassina, nominò protettore dell’Ordine il cardinale Canali, conferendogli anche speciali poteri per il periodo bellico e durante la sede vacante. Il patriarca Barlassina, presago della funesta sorte della Palestina, pregò Pio XII, di assegnare un patrono all’Ordine del S. Sepolcro nella persona di un cardinale; patrono che avrebbe potuto meglio di lui vigilare in caso di guerra, sulle sorti dell’Ordine; il Cardinale Canali tra grandi difficoltà resse l’Ordine nel periodo bellico.
La fine della guerra vide l’Ordine del Sepolcro smembrato e impoverito, ma già in pieno fervore di rinascita.
Era il tempo di riprendere l’antica Missione di carità dei cavalieri del S. Sepolcro. Il 15 agosto 1945, il grande Pontefice, memore dei molti servizi resi alla Chiesa dai cavalieri del S. Sepolcro e volendo pure dotare l’Ordine di un centro spirituale, Motu Proprio, gli assegnò a Roma la chiesa e l’annesso cenobio di S. Onofrio al Gianicolo, dove è sepolto il Tasso. Qui sono ancora vivi i ricordi del poeta che, nella Gerusalemme Liberata, cantò le gesta compiute dall’esercito cristiano nella prima crociata per la liberazione del Santo Sepolcro.
Sempre Pio XII, al fine di assicurare all’Ordine un rinnovamento, una maggiore efficienza e anche per renderlo più adatto ai tempi, dopo vari studi, con il Breve “Quam Romani Pontifices” del 14 settembre 1949, emise un nuovo Statuto, pubblicato il 15 gennaio 1950.
Il Gran Magistero dell’Ordine, reso indipendente e posto sotto la protezione della Santa Sede, fu trasferito definitivamente da Gerusalemme a Roma, presso il cenobio di S. Onofrio al Gianicolo, che divenne la sede centrale a tutti gli effetti. La sede storica rimase, naturalmente, a Gerusalemme.
I nuovi Statuti inoltre stabilivano anche che il pontefice avesse il diritto di nominare alla suprema dignità, con la qualifica di gran maestro, un cardinale di Santa Romana Chiesa.
Primo gran maestro della nostra epoca fu il cardinale Nicola Canali, cui seguirono gli eminentissimi porporati Eugenio Tisserant, Massimiliano de Fiirstenberg, Giuseppe Caprio, attualmente l’altissima carica è ricoperta dal cardinale Carlo Furno.
Il patriarca latino di Gerusalemme divenne gran priore, con speciali facoltà. Pertanto, Sua Beatitudine Mons. Michel Sabbah, di origine araba, in forza del suo ufficio patriarcale, è il Gran Priore.
È veramente un segno dei tempi. Infatti, dalla ricostituzione del Patriarcato Latino, deciso da Pio IX nel 1847, si succedettero a Gerusalemme sette patriarchi, tutti italiani. Noteremo ancora qui che, nel 1949, venne approntato dalla Sacra Congregazione dei Riti il nuovo cerimoniale per l’investitura delle Dame.
Infine, diremo che anche Pio XII, come altri pontefici, sentì il bisogno di richiamare l’attenzione sulle specifiche finalità dell’Ordine del Santo Sepolcro: la conservazione e la propagazione della fede in Palestina e l’assistenza alle opere e istituzioni caritative, culturali e sociali del Patriarcato Latino di Gerusalemme.


1.7. Giovanni XXIII e Paolo VI
Pure i Sommi Pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI manifestarono speciali segni di stima, di benevolenza e di interesse per l’antica Milizia. Giovanni XXIII, con proprio Breve dell’8 dicembre 1962, rese esecutivo l’aggiornamento dello Statuto e nello stesso tempo approvò il nuovo cerimoniale d’investitura, che la Sacra Congregazione dei Riti aveva predisposto i1 25 luglio dello stesso anno.
Paolo VI, con il Breve del 19 novembre 1967, diede il suo assenso definitivo a qualche modifica dello Statuto, che era già stata accolta dalla Lettera Apostolica del 19 maggio 1966. L’attuale Statuto, con le variazioni apportate dal Breve di Paolo VI, porta la data dell’8 luglio 1977.


1.8. Attualità dell’Ordine
Lo Stato Italiano, con R.D. del 10 luglio 1930, n. 974, concesse l’autorizzazione all’uso delle onorificenze dell’Ordine Equestre del S. Sepolcro.
Il 5 ottobre 1926 moriva a Pompei il Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine, Bartolo Longo, che salirà, poi, agli onori dell’altare. Nel suo testamento, dato che, fin dal 1907, tutto aveva donato al Papa, volle sottolineare che ancora qualcosa aveva da donare: «...Alle figlie dei carcerati, ultimo voto vivente e sogno più caro del mio cuore lascio la Gran Croce del S. Sepolcro...».(2)

I cavalieri del S. Sepolcro, con la beatificazione di questo loro confratello che spese la vita per la carità e per l’apostolato, ebbero ancora fulgido esempio di sprone per vieppiù dedicarsi a soccorrere le miserie materiali e spirituali della famiglia umana.
L’Ordine del S. Sepolcro dette all’Opera della preservazione della fede in Palestina uno sviluppo nuovo, riuscendo a costruire numerosi edifici di culto ed educativi, come la chiesa di Cristo Re in Amman, con annesse scuole maschili e femminili ed il seminario di Beit-Jala; nella valle di Serech innalzò una statua in rame alta sette metri dedicata alla Beatissima Vergine; inviò numeroso macchinario e arnesi agricoli all’orfanotrofio unito al santuario di Nostra Signora Regina di Palestina in Rafat; restaurò la cripta nella monumentale chiesa del S. Sepolcro.
A Roma e Milano ed a Napoli si insediarono i centri ufficiali dell’Ordine in Italia. Furono create Luogotenenze nei vari paesi; per curare i rapporti fra le varie Luogotenenze e per sviluppo dell’Ordine, fu incaricato un alto dignitario con il titolo di referendario, per molti anni ricoperto da S.E. il Marchese Mario Mocchi.
Centri dell’Ordine sorsero in varie città italiane, mentre la Luogotenenza per l’Italia fu stabilita in Milano e affidata a S.A.R. il Duca di Bergamo.
Altri Centri furono fondati, tra l’altro, in Francia, Germania, Ungheria, Polonia, Spagna, Austria, America Latina, Medio Oriente. Purtroppo questa espansione si fermò con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Oggi, l’Ordine del S. Sepolcro ha al suo attivo decine di Istituzioni svolge un’attività intensa sotto la guida del suo Gran Maestro, S.R.E. Cardinale Furno che è succeduto a S.R.E Cardinale Massimiliano de Furstenberg. Lo Statuto dell’Ordine è stato aggiornato sia per precisarne la personalità giuridica e la protezione della S. Sede, sia per sviluppare maggiormente il carattere internazionale dell’Ordine stesso, inoltre si è prevista l’estensione degli aiuti dell’Ordine a tutte Opere Cattoliche di Terra Santa. Sua Santità Giovanni XXIII, con breve dell’8 dicembre 1962, ha approvato tale Statuto. Infine il Pontefice Paolo VI nel 1977, ha promulgato il vigente Statuto dell’Ordine ulteriomente coordinato sulle basi delle attuali esigenze.
I Cavalieri del S. Sepolcro, sono oggi impegnati a sollevare, innumerevoli miserie morali e materiali che ancora una volta hanno colpito la Terra Santa, dilaniata da un conflitto che comporta tante afflizioni e interrogativi per le Opere Cattoliche, sorte nei vari secoli a testimonianza e gloria della Chiesa di Roma e dei suoi fedeli Cavalieri del S. Sepolcro di Gerusalemme.
Oggi più che mai splende il simbolo dell’Ordine: in Austria, Belgio, Germania, Inghilterra, Olanda, Portogallo, Spagna, Svizzera, Argentina, Brasile, Canadà, Colombia, Costa Rica, El Salvadoro, Equador, Honduras, Messico, Stati Uniti, Angola, Uganda, Cina-Taiwan, Filippine, Hong Kong, e Vietnam del Sud, le cinque Croci rosse, segni reali di vita con i quali i Cavalieri di ieri e di oggi si riconoscono pii figli della Santa Sede Apostolica, con la serena certezza che solo la Croce dà la salvezza.

Oltre otto secoli di Storia danno all’attuale Ordine del S. Sepolcro vivo splendore, impreziosito ancor più dalle opere caritatevoli dei suoi antichi e recenti figli. Oggi che viviamo in un mondo negatore dei più valori spirituali, ci si accorge dell’enorme importanza dell’avvenimento fondamentale di tutta l’umanità, la Redenzione, che ora più che mai, fornisce la risposta a tanti affanni. Paolo VI ha invitato tutta la famiglia umana, a riflettere su questa Redenzione, al suo valore infinito, a ringraziare e profittarne; a volgere lo sguardo alla Croce. I Cavalieri del S. Sepolcro, che della Croce si fregiano e del Sepolcro Santissimo si definiscono figli e custodi concordi nella preghiera, nella memoria della grandezza dell’Ordine e nelle virtù religiose e civili di oggi, innalzano il loro pensiero, con S. Pio X e con il Beato Bartolo Longo, alla Croce che è salvezza, vita e resurrezione.
Così ospedali, chiese, asili, case di assistenza per minori ed anziani e soprattutto scuole di ogni ordine e grado, ivi compresa l’Università di Betlemme, sono sostenuti dall’Ordine, che in questo drammatico periodo ha intensificato gli aiuti. Nelle scuole del Patriarcato sono circa diciottomila i giovani che studiano fianco a fianco, di religione cattolica, musulmana ed ebraica crescendo assieme in pacifica convivenza.
Se quanto sta, da anni, realizzando l’Ordine in Palestina, fosse stato preso ad esempio dalla comunità internazionale, forse non saremmo giunti alle tragiche vicende attuali.
L’atteggiamento della Chiesa, nei confronti dell’Ordine, è stato sempre estremamente chiaro, ribadito anche recentemente: «siamo autorizzati a confermare quanto già pubblicato in passato dal nostro giornale: la Santa Sede, oltre ai propri Ordini Equestri, riconosce e tutela due soli Ordini cavallereschi: il Sovrano Militare Ordine di Malta e l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme» (Osservatore Romano del 4 luglio 2002).
Analogamente l’ordine è ufficialmente riconosciuto dallo Stato italiano. In Italia, in virtù del Concordato per i rapporti tra Chiesa e Stato del 1929, con l’art. 41 si stabilì: «L’Italia autorizza l’uso delle onorificenze pontificie, mediante registrazione del brevetto di nomina, da darsi su presentazione del brevetto stesso e domanda scritta dell’interessato».
Gli Ordini Equestri Pontifici, dei quali può essere autorizzato l’uso delle onorificenze nel territorio della Repubblica sono: l’Ordine Supremo del Cristo, l’Ordine dello Speron d’Oro, l’Ordine Piano, l’Ordine di San Gregorio Magno, l’Ordine di San Silvestro Papa.
Venne data attuazione dell’art. 41, divenuto un obbligo di diritto internazionale, con il R.D. 10 luglio 1930, n. 974, che prevedeva appunto l’emanazione di un decreto del Capo dello Stato, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Con lo stesso decreto venne prevista analoga procedura per 1’autorizzazione all’uso delle onorificenze dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, Ordine sotto la protezione della Santa Sede.
Dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme si occupa pure l’art. 7, terzo comma, della legge del 3 marzo 1951, n. 178, che recita testualmente: «L’uso delle onorificenze e delle decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme continuerà ad essere regolato dalle analoghe disposizioni vigenti, cioè dal R.D. del 10 luglio 1930, n. 974, già ricordato».
Per ottenere l’omologazione dell’onorificenza da parte dello Stato italiano, occorre inoltrare domanda, in carta legale, tramite la Prefettura di residenza, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, unendo copia fotostatica del diploma magistrale di nomina, con autentica e certificato di nascita in bollo.
Dopo che saranno state espletate le formalità previste, verrà rilasciato e trasmesso, tramite la medesima Prefettura, il diploma di omologazione dell’onorificenza del Presidente della Repubblica Italiana.
L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme venne riconosciuto anche dall’International Commission of Ordres of Chivalry, con sede ad Edimburgo (Scozia), che lo incluse fra gli Ordini semi-indipendenti.

 

 



CAPITOLO QUARTO


VALORE STORICO TEOLOGICO DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME

 


1. NON È SOLO UNA TOMBA


Il Santo Sepolcro di Gerusalemme da cui l’Ordine prende il nome, non è soltanto la tomba che ci ricorda il luogo dove Cristo è stato deposto, così come la croce delle insegne crociate non ci ricorda solo il sacrificio di Cristo; sono luoghi teologici pregni di valore spirituale e culturale, di vita e di speranza, da dove Cristo è resuscitato ed ha lanciato al mondo ed alla storia il suo grido di redenzione.
Il non trascenderli vuol dire fermarsi al venerdì santo, vuol dire non comprendere perché Cristo è il kuvrio", vuol dire non aver capito le parole dell’apostolo Paolo che ci ricorda: «se però Cristo non è risorto vano è il nostro annuncio, e vana la vostra fede» (1 Cor 15, 14).
Solo in questa realtà la speranza ci permea perché la sola croce senza la domenica di resurrezione renderebbe privo di valore ciò che l’unico maestro ci dice: «Io sono la via, la verità, la vita» (Gv 14, 6a) ed allora veramente saremmo «orfani e soli» (cf. Gv 14,18)
La spiritualità dell’Ordine con la sua nobile tradizione storica, con il suo orientamento alla Terra Santa, non può quindi comprendersi senza entrare nell’ermeneutica del significato dei termini che gli sono costitutivi ovvero Santo Sepolcro e Gerusalemme e senza conoscere in profondità il simbolismo militare.


1.1. Santo Sepolcro (1)
L’importanza del S. Sepolcro è legata indissolubilmente al concetto di esperienza. Esperienza termine di etimologia latina ex-perior, ovvero una parola composta dalla preposizione ex = da dove e dal sostantivo perior che può avere duplice valenza o derivante dal termine peritus indicante conoscenza diretta o derivante dal termine periculum indicante il rischio, attenzione a ciò che è impedimento. In effetti esperienza viene tradotta in tedesco con er-fahrung, lingua a radice indoeuropea, termine che esplicita in due parole una conoscenza legata a due concetti che sembrano antitetici: conoscenza immediata e continuata, conoscenza come rischio e novità; ovvero l’esperienza è una conoscenza sebbene legata al pericolo del viaggio in un paese straniero. Jonathan Swift nel suo libro “I viaggi di Gulliver” rende mirabilmente tale visione.
Quindi l’esperienza come orizzonte ermeneutico della riflessione e a maggior ragione della riflessione su Cristo per due motivi:
a) perché riporta al concreto la riflessione su Cristo, per lungo tempo si è tentati di separare la teologia dalla spiritualità come se non fossero la stessa cosa. Ciò di cui si è fatta esperienza, ciò che ci tocca non è esercitazione accademica ma mistagogia;
b) perché l’esperienza è più disponibile all’uso della narratività: all’origine della nostra fede ci sono dei racconti, il Vangelo come narrazione. Questo significa fare memoria in maniera aperta e performativa. Ovvero si tratta di un racconto mai concluso, che presuppone si un inizio ed una fine, ma che produce un effetto, incide nel momento stesso che dice, incide nella vita pratica; il racconto cioè crea racconto, la vita stessa di chi ascolta il racconto diventa essa stessa racconto.
Centrale nella cristologia narrativa sono quindi delle domande che il cristiano deve porsi e a maggior ragione il Cavaliere del Santo Sepolcro, il custode di quel luogo dove il racconto diventa esperienza del Risorto. Diventa quindi fondamentale la domanda: perché è così importante per noi il ritorno a quella esperienza delle origini, il ritorno ai luoghi santi, il pellegrinaggio, il Santo Sepolcro dove tutto comincia per noi?
Ovvero la domanda ci pone al centro dell’evento apocalittico-escatologico che si situa in una esperienza di chi è stato coinvolto, di chi cioè ha fatto un incontro originario che segna in maniera forte. Credo che tra i molteplici canali ermeneutici che ci veicolano, fondandola, l’esperienza originaria del Risorto debbono essere particolarmente evidenziati per i cavalieri del Santo Sepolcro soprattutto due: i racconti delle apparizioni e quelli del sepolcro vuoto.


1.1.1. Racconti delle apparizioni
Negli scritti del Nuovo Testamento si leggono ben 5 tradizioni quelle dei 4 evangelisti più quella paolina:


PAOLO (1 Cor 15, 3-8): 3 Vi ho infatti trasmesso, anzitutto, quello che ho ricevuto che Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture 4 e che fu sepolto e che è stato resuscitato il terzo giorno secondo le Scritture 5 e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. 6 In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una volta: la maggior parte dei quali vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7 Poi apparve a Giacomo quindi a tutti gli apostoli. 8 Ultimo poi tra tutti come a un aborto apparve a me.


MARCO (16, 9-20): 9 Risorto al mattino del primo giorno della settimana, apparve prima a Maria Maddalena, dalla quale aveva scacciato sette demòni. 10 Ella, a sua volta, andò ad annunciarlo a coloro che erano stati con lui, ed erano afflitti e piangevano. 11 Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non credettero. 12 Dopo queste cose apparve sotto altra forma a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. 13 Anche questi tornarono indietro per annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure ad essi. 14 Finalmente apparve agli Undici mentre erano a tavola e li rimproverò della loro incredulità e durezza di cuore, poiché non avevano creduto a coloro che lo avevano visto risorto. 15 Poi disse loro: “Andate per tutto il mondo ed annunciate la buona novella a tutta la creazione. 16 Chi crederà e si farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17 Questi i segni che accompagneranno i credenti: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove 18 prenderanno in mano serpenti e, se avranno bevuto qualcosa di mortale, non nuocerà loro, imporranno le mani agli infermi e questi saranno risanati”. 19 Il Signore Gesù, dopo aver parlato loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. 20 Essi, poi, se ne andarono a predicare dappertutto, mentre il Signore operava con loro e confermava la parola con i segni che li accompagnavano.


MATTEO (28, 9-10): 9 Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: “Rallegratevi!”. Esse allora avvicinatesi, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. 10 Allora Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che partano per la Galilea; là mi vedranno”.


MATTEO (28, 16-20): 16 Gli undici discepoli se ne andarono in Galilea, sul monte, nel luogo indicato loro da Gesù. 17 Al vederlo lo adorarono; alcuni invece dubitarono. 18 Allora Gesù disse loro: “Ogni potere mi è stato dato in cielo ed in terra. 19 Andate dunque e fate discepole tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco: io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.


LUCA (24, 13-53): 13 In quello stesso giorno, due di loro erano in cammino verso un villaggio, detto Emmaus, distante circa sessanta stadi da Gerusalemme, 14 e discorrevano di tutto quello che era accaduto. 15 Mentre discorrevano, Gesù stesso si accostò e camminava con loro. 16 Ma i loro occhi non seppero riconoscerlo. 17 Ed egli disse loro: “Che discorsi sono questi che vi scambiate l’un l’altro, camminando?” E si fermarono tristi. 18 Uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: “Tu solo sei così straniero in Gerusalemme da non sapere le cose che vi sono accadute in questi giorni?”. 19 Domandò: “Quali cose?”. Gli risposero: “Quelle riguardo Gesù, il Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20 come i capi dei sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi lo hanno crocifisso. 21 Noi speravamo che fosse lui quello che avrebbe liberato Israele. Ma siamo già al terzo giorno da quando sono accaduti questi fatti. 22 Tuttavia alcune donne tra noi ci hanno sconvolti. Si sono recate di buon mattino al sepolcro 23 e non hanno trovato il suo corpo. Sono venute a dirci di aver avuto una visione di angeli, i quali affermavano che egli è
vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. 25 Allora egli disse loro: “O stolti e tardi di cuore a credere a quello che hanno detto i profeti! 26 Non doveva forse il Cristo patire tutto questo ed entrare nella sua gloria?”. 27 E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro quanto lo riguardava in tutte le Scritture. 28 Quando furono vicini al villaggio dov’erano diretti, egli finse di proseguire. 29 Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera ed il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. 30 Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31 Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. 32 E si dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse il nostro cuore quando lungo la via ci parlava e ci spiegava le scritture?”. 33 Quindi si alzarono e ritornarono subito a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e quelli che erano con loro, 34 i quali dicevano: “Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone”. 35 Essi raccontarono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. 36 Mentre parlavano di queste cose, Gesù stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. 37 Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli disse loro: “Perché siete turbati? E perché sorgono dubbi nei vostri cuori? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi ed osservate: un fantasma non ha carne ed ossa, come vedete che io ho”. 40 E mentre diceva queste cose, mostrava loro le mani ed i piedi. 41 Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, egli disse loro: “Avete qualcosa da mangiare?” 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito. 43 Egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44 Poi disse: “Era proprio questo che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si adempia tutto ciò che di me sta scritto nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. 45 Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture. 46 Ed aggiunse: “Così sta scritto: il Cristo doveva patire ed il terzo giorno risuscitare dai morti; 47 nel suo nome saranno predicati a tutte le genti genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Voi sarete testimoni di tutto questo. 49 Ed ecco, io manderò su di voi quello che il Padre mio mi ha promesso. Voi però restate in città, fino a quando non sarete rivestiti di potenza dall’alto”. 50 Poi li condusse fuori, verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. 51 Mentre li benediceva, si separò da loro e veniva portato verso il cielo. 52 Ed essi, dopo averlo adorato, se ne tornarono a Gerusalemme con grande gioia. 53 E stavano sempre nel tempio lodando Dio.


GIOVANNI (20, 19-29): 19 La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, mentre le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per paura dei Giudei erano chiuse, venne Gesù, stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. 20 E, detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. Si rallegrarono i discepoli, vedendo il Signore. 21 Poi disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”. 22 Detto questo, soffiò su di loro e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo: 23 a chi rimettete i peccati, sono loro rimessi; a chi li ritenete, sono ritenuti”. 24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dissero gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!” Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel segno dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo fianco, non crederò” 26 Otto giorni dopo i suoi discepoli erano di nuovo in casa e Tommaso stava con loro. Viene Gesù a porte chiuse, stette in mezzo a loro e dice: “Pace a voi!”. 27 Poi dice a Tommaso: “Metti il tuo dito qui e guarda le mie mani, porgi la tua mano e mettila nel mio fianco, e non essere più incredulo, ma credente”. 28 Rispose Tommaso e gli disse: “Signore mio e Dio mio!”. 29 Gli disse Gesù: Perché mi hai visto hai creduto? Beati coloro che hanno creduto senza vedere!”.


GIOVANNI (21, 1): 1 In seguito Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade.

 

Questi racconti sono stati sempre un problema interpretativo, cronologico e teologico: è impossibile armonizzarne i dati. Quello che però interessa è la struttura comune, struttura funzionale al veicolo di un messaggio: quel Gesù che è stato crocifisso è il Cristo risorto. In tutti i racconti si possono distinguere tre elementi:
a) iniziativa del Risorto: è Gesù che appare;
b) riconoscimento del Risorto quale Gesù di Nazareth;
c) missione che scaturisce dal riconoscimento del Risorto quale il Cristo.


1.1.1.1. Iniziativa del risorto
Atti 1,3: Ad essi si era mostrato vivente dopo la sua passione, con molti segni: per quaranta giorni era apparso loro e aveva parlato del regno di Dio. Il verbo che più spesso viene usato è wfθh da oJravw.  Tale verbo in forma passiva indica il venir visto in forma media il farsi vedere. L’interpretazione passiva è quella sostenuta dai “liberali” che attribuiscono ai discepoli l’azione del vedere ovvero Gesù venne visto, atto quindi interno dei discepoli, sono loro che creano la resurrezione (per Renan è l’esaltazione di una donna).
L’interpretazione corretta è quella media. Tale verbo, come del resto tutti i verbi di valenza teologica, non è usato a caso; nei LXX è usato sempre in forma media per indicare la teofania, il farsi vedere di Dio. Pertanto è questa tradizione veterotestamentaria che informa filologicamente il Nuovo Testamento. Ed è a questa lettura filologica, non ideologica dell’ermeneutica della soggettività che dobbiamo attenerci. Per di più Luca utilizza il termine zw‘nta cioè vivente, è un qualcosa che avviene in loro ma ad extra cioè non da loro. Questa è l’origine della fede pasquale; è la fede pasquale che viene motivata dalle apparizioni e non viceversa.


1.1.1.2. Riconoscimento
Questo è un processo che passa attraverso 3 fasi: dubbio, parola o gesto di Gesù, riconoscimento e confessione. Queste tre fasi ci dicono che l’esperienza originaria è quindi anche una esperienza soggettiva, esperienza che passa anche attraverso il dubbio, esige cioè un cammino progressivo, una gradualità dell’assenso ma sempre nel rispetto della libertà. Questo carattere soggettivo dell’incontro che passa attraverso il riconoscimento di Gesù nella carne è fondamentale sia perché rispetta la mentalità semita della totalità dell’essere sia perché ha significato escatologico: anche la nostra carne risorgerà attraverso la carne di Cristo attraverso la particola consacrata in bocca.


1.1.1.3. Missione
Atti (10, 40-42): 40 Ma Dio l’ha risuscitato il terzo giorno e volle che si manifestasse 41 non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto insieme a lui dopo la sua resurrezione dai morti. 42 E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio.


L’incontro è un incontro che trasforma, non deve rimanere nell’intimo, da origine alla testimonianza, alla missione cristiana con un cambiamento di vita. Perché l’annuncio è confessione del Risorto, al centro c’è l’esperienza pasquale.

Da questo momento si procede ad una rilettura del passato, della memoria a tre livelli:
1) Vita di ciascuno dei testimoni. L’esperienza di singoli con Gesù così come ognuno dei testimoni lo ha conosciuto e sperimentato.

2) Storia di Israele, senza la quale non è possibile comprendere la loro esperienza.
3) Protologia. Ovvero la dottrina della creazione considerata alla luce della soteriologia ed escatologia. La storia delle origini non è un momento astratto ma è parte integrante del progetto di Dio. Paolo è colui che per primo mette per iscritto tale esperienza con chiara coscienza del proton e dell’escaton: la cristologia storico-salvifica non è astratta ma riguarda l’inizio cioè la protologia, la piena rivelazione cioè il centro apocalittico ed il compimento cioè l’escatologia.
La Pasqua diventa così, andando indietro, il modo di leggere il passato in una sorta di profezia inversa, ma è anche il modo di leggere il presente mediante autocoscienza di essere in Cristo, ed il modo di leggere il futuro quale anticipazione dell’ultimo, della parusia allorquando saremo con Cristo.

 


4.1.2. Racconti del sepolcro vuoto
È una tradizione con notevole importanza ci sono ben quattro racconti:


MARCO (16, 1-8): 1 Trascorso il sabato, Maria Maddalena e Maria Madre di Giacomo e Salome comprarono aromi per andare ad ungere Lui. 2 Assai presto il primo giorno della settimana vennero al sepolcro, appena levatosi il sole. 3 E dicevano tra loro: “Chi rotolerà via per noi la pietra della porta del sepolcro?” 4 Alzato lo sguardo, videro che la pietra era stata rotolata via, benché fosse molto grande. 5 Entrate allora nel sepolcro, videro un giovane che se ne stava seduto a destra, rivestito di una veste bianca, e si spaventarono. 6 Ma egli disse a loro. “Non siate spaventate! Voi cercate Gesù, il Nazareno, il crocifisso. È risuscitato. Non è qui. Ecco il luogo dove lo posero. 7 Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: Vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi disse”. 8 Quelle però uscite dal sepolcro fuggirono, erano infatti tremanti e stupite, e non dissero nulla a nessuno; avevano infatti paura.


MATTEO (28, 1-8): 1 Passato il sabato, al sorgere del primo giorno della settimana, venne Maria Maddalena con l’altra Maria a far visita al sepolcro. 2 Ed ecco, vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si sedette su di essa. 3 Il suo aspetto era come la folgore e le sue vesti bianche come la neve. 4 Alla sua vista le guardie tremarono e rimasero tramortite. 5 L’angelo disse alle donne: “Non temete, voi! So che cercate Gesù il crocifisso; 6 non è qui: è risorto, come infatti aveva detto. Venite, osservate il luogo dove giaceva. 7 E ora andate e dite ai suoi discepoli: «È risuscitato dai morti e vi precede in Galilea; là lo vedrete». Ecco ve l’ho detto”. 8 Esse, abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli.


LUCA (24, 1-12): 1 Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono al sepolcro, portando gli aromi che avevano preparato. 2 Ma trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro , 3 entrate non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4 Mentre erano ancora perplesse, ecco due uomini si presentarono a loro in vesti sfolgoranti. 5 Le donne impaurite, tenevano il volto chinato a terra ma essi le dissero: “Perché cercate tra i morti il vivente? 6 Non è qui, ma è resuscitato! Ricordate quando vi parlò quando era ancora in Galilea, 7 dicendo che era necessario che il figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e il terzo giorno risuscitasse?”. 8 E si ricordarono delle sue parole. 9 Tornate dal sepolcro, raccontarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10 Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria di Giacomo ed altre donne erano con loro. Raccontavano queste cose agli apostoli, 11 che parvero loro parole deliranti e non le credevano. 12 Pietro, però, alzatosi, corse al sepolcro ed essendosi chinato vede le fasce sole, e se ne andò fra se meravigliandosi per l’accaduto.


GIOVANNI (20, 1-18): 1 Il primo giorno della settimana Maria Maddalena si recò di buon mattino al sepolcro, mentre era ancora buio, e vide la pietra rimossa dal sepolcro. 2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo che Gesù amava e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto”. 3 Uscì allora Pietro e anche l’altro discepolo e si avviarono al sepolcro. 4 Correvano ambedue insieme, ma l’altro discepolo corse avanti più veloce di Pietro e arrivò per primo al sepolcro, 5 chinatosi vide le bende a terra ma, tuttavia, non entrò. 6 Poi arrivò anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e vide le bende a terra 7 ed il sudario, che era sulla sua testa, non con le bende giacente ma a parte avvolto in un luogo. 8 Allora, quindi, entrò anche l’altro discepolo che era arrivato per primo al sepolcro, e vide e credette. 9 Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura che egli doveva risuscitare dai morti. 10 Allora ritornarono di nuovo dai loro discepoli. 11 Maria invece era rimasta presso il sepolcro, fuori, piangente; mentre dunque piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vede due angeli in bianche vesti, seduti, uno presso la testa e uno presso i piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Essi le dicono: “Donna, perché piangi?” Rispose loro: “Hanno preso il mio Signore e non so dove l’anno messo”. 14 Detto ciò si voltò indietro e vede Gesù che stava lì, ma non sapeva che era Gesù. 15 Gesù le dice: “Donna perché piangi? Chi cerchi?”. Quella ritenendo che fosse il giardiniere gli dice: “Signore, se tu lo hai portato via, dimmi dove lo hai posto, ed io andrò a prenderlo”. 16 Le disse Gesù: “Maria!” quella essendosi voltata, gli dice in ebraico: “Rabbonì!” (che significa Maestro). 17 Gesù le dice: “Non mi toccare, non ancora infatti sono salito al Padre. Va’ dai miei fratelli e di loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro. 18 Maria Maddalena viene ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore”, e quanto le aveva detto.


Certamente l’impatto di tali racconti se è fondamentale per la fede cristiana(2) nondimeno è stato devastante anche nella storia e nella cultura in quanto alla base di movimenti e scontri/incontri di civiltà. Le Crociate, il Santo Sepolcro non avrebbero senso se si prescinde da ciò che i vangeli ci tramandano. Ma il punto fondamentale è: questi racconti hanno un contenuto storico?
Possiamo fare delle considerazioni a tal proposito:
a) Le donne, come abbiamo letto, hanno un ruolo determinante nelle vicende narrate. Nel contesto patriarcale giudaico le testimonianze delle donne non hanno valore legale; nel Primo Testamento si contano solo i maschi Numeri (1, 1-4): 1 Il Signore parlò a Mosè, nel deserto del Sinai, nella tenda del convegno, il primo giorno del secondo mese, il secondo anno dell’uscita dal paese d’Egitto, e disse: 2 “Fate il censimento di tutta la comunità degli Israeliti, secondo le loro famiglie, secondo il casato dei loro padri, contando i nomi di tutti i maschi, testa per testa, 3 dall’età di 20 anni in su, quanti in Israele possono andare in guerra; tu e Aronne ne farete il censimento, schiera per schiera. 4 A voi si assocerà un uomo per ciascuna tribù, un uomo che sia capo del casato dei suoi padri...”. Allora perché fondare un racconto sulle donne se non c’era un qualche contenuto di verità?
b) Già in Paolo, che rappresenta la tradizione più antica, i racconti del Sepolcro vuoto non hanno importanza3, nella sua predicazione non esercitano alcun ruolo in quanto non si sofferma su questi racconti. Si accenna alla sepoltura solo in 1 Cor (15, 3-4): 3 trasmisi infatti a voi, anzitutto, quello che ho ricevuto, che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture 4 e che fu sepolto e che è stato resuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, cioè all’interno di un contesto di una formula che lo stesso Paolo dice di aver ricevuto da altri. D’altro canto però nella chiesa ortodossa il t (tau greco) sta per tav ϕo" ovvero sepolcro.
c) I racconti sono pieni di incongruenze: il motivo della visita al sepolcro che Marco (Mc 16, 1-8) identifica con l’unzione del cadavere che a tanta distanza dalla morte appare inverosimile; la “scomodità” del sepolcro chiusa da un masso che si doveva rotolare via, nonostante la scoperta di una tomba erodiana in Aba Sikra Street di Gerusalemme (Herod’s Familiy Tomb) del I sec. in prossimità del King’s David Hotel che presenta una chiusura costituita da un binario su cui scorre il masso a forma di disco.
d) Tali narrazioni hanno l’aspetto di un artificio letterario che richiama nella tradizione simbolica giovannea il Giardino delle origini trasformato in deserto, che solo la parola del Risorto può far rifiorire: Gesù viene scambiato per il giardiniere (Gv 20,15); e nel racconto marciano è funzionale alla parola decisiva dell’angelo: “È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto” (Mc 16,6).
e) La scomparsa del corpo e quindi il dato bruto della tomba vuota è ambiguo è suscettibile di varie interpretazioni, si inserisce nella polemica giudeo-cristiana del rapimento come ci ricorda Matteo (28, 11-15): 11 Partite loro ecco alcune delle guardie, recatesi in città, annunciarono ai sommi sacerdoti tutto l’accaduto 12 Essi, radunatisi con gli anziani, avendo tenuto consiglio, diedero ai soldati parecchie monete d’argento 13 dicendo: “Dite che di notte sono venuti i discepoli di lui e lo rapirono, mentre noi dormivamo. 14 Se questa cosa dovesse giungere alle orecchie del governatore, noi lo convinceremo a non darvi noia”. 15 Essi allora, avendo preso le monete d’argento, fecero come erano stati ammaestrati. Così si diffuse questa diceria presso i giudei fino ad oggi.
f) La storia della pietà sindonica4 ha sempre fatto riferimento ai racconti evangelici della passione, della sepoltura e della resurrezione. Nella lingua originale dei vangeli, infatti, quando si parla della deposizione di Gesù dalla croce e della sepoltura, si dice che fu usata una sindwvn, quella che i tedeschi chiamano Heiliges Grabtuch, che è il termine più preciso: “Santo lenzuolo sepolcrale”, laddove l’aggettivo “santo”, nelle varie lingue, si riferisce sempre all’uso fattone per Gesù e attesta il carattere religioso, in ambito cristiano, di questo vocabolario. Certo questa parola si trova solo nei vangeli sinottici: Mt 27,59: Avendo preso il corpo Giuseppe lo avvolse in una sindone. Mc 15,46: Il quale, comprato una sindone, avendo tolto lui lo avvolse con la sindone e lo pose nel sepolcro che era stato scavato nella roccia e fece rotolare una pietra sulla sua porta. Lc 23,53: e avendolo tirato giù lo avvolse in una sindone e lo pose in un sepolcro scavato dove non era stato ancora deposto alcuno. Luca e il quarto Vangelo parlano di joθovnia e quest’ultimo anche di soudavrion: Lc 24,12: Ma Pietro alzatosi corse al sepolcro e chinatosi vede le fasce sole, e se ne andò meravigliandosi dell’accaduto. Gv 19,40: Presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con bende ed aromi, secondo l’usanza di seppellire dei giudei. Gv 20, 5-75: chinatosi vide le bende a terra ma, tuttavia, non entrò. 6 Poi arrivò anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e vide le bende a terra 7 ed il sudario, che era sulla sua testa, non con le bende giacente ma a parte avvolto in un luogo.
Come si vede per gli evangelisti i panni sepolcrali svolgono un servizio funzionale, per il cadavere di Gesù, importante ma è soprattutto in Giovanni che continuano nel ruolo post pasquale. Essi sono stati per Giovanni l’oggetto delle constatazioni di Pietro e del “discepolo amato” (Gv 20,5-7) i quali spinti dall’annuncio della Maddalena (20,2) vanno alla ricerca di un quid: il cadavere di Gesù o Gesù vivo o qualcosa che nemmeno a loro è chiaro, trovando invece i muti testimoni della resurrezione, gli indumenti funebri. È indubbio che nella sequenza delle “scene dell’assenza” che costituiscono il tessuto della prima parte dei racconti giovannei del sepolcro vuoto (20, 1-13), questa è caratterizzata dagli indumenti che sostituiscono Gesù, residuo della sua presenza di prima. Ma quella era la presenza di un cadavere e ora ciò che era proprio del cadavere non è più con lui, bensì qui, perché lui non è più cadavere. Qui è il regno della morte e il fatto che i segni della condizione della morte siano qui, mentre lui è assente, diventa a sua volta segno della sua vittoria sulla morte. Ciò che era il segno della morte, nell’assenza del “corpo” di Gesù diventa segno di resurrezione. La morte ha perso la sua preda e i teli che servivano da “legami” ora “giacciono”, senza obiettivo né contenuto; addirittura il sudario mostra che colui che ne era ricoperto lo ha ricomposto in ordine, potendo disporre della capacità di decidere e fare. Certo, la presenza dei panni dice anche che chi vi era avvolto non fu rubato dal sepolcro e portato via come defunto; ma dice soprattutto che cosa è accaduto di quel morto: l’uomo della Sindone è rimasto nel lenzuolo per poco tempo. Infatti affinché l’immagine che noi vediamo si sia prodotta è stato necessario che il cadavere sia stato dentro il lenzuolo almeno ventiquattro ore, mentre affinché tale immagine, una volta formatasi, non sia stata distrutta dal processo di decomposizione è necessario che il cadavere sia rimasto dentro il lenzuolo non più di due o tre giorni.
Infine il fatto che il risorto sia uscito da quella che è l’ultima dimora dell’essere umano senza portare indumenti ricorda che quest’uomo ha raggiunto anche visibilmente la situazione in cui non ha più senso quel ricorso agli indumenti che era stato necessario nel momento in cui il primo uomo si era accorto di essere nudo. Gen 3, 7-11: Allora si aprirono gli occhi di tutti e due ed essi seppero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. 8 Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’essere umano e la donna si nascosero alla faccia del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9 Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. 10 Rispose: “Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. 11 Riprese. “Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”.
Ciò che importa ora è la persona del risorto: Gesù è fuori dal sepolcro. Il sepolcro vuoto nella chiesa nascente non ha tanto valore storico ma simbolico. Gesù è risorto perciò c’è l’amore per il sepolcro vuoto, non viceversa. Fatta cioè l’esperienza del risorto ecco che il sepolcro assume importanza e le apparizioni danno valore al sepolcro; così nasce il culto. Nella chiesa d’origine ci si recava al sepolcro per far memoria dell’evento pasquale, si ci recava nel luogo fondale in cui si era fatta esperienza del risorto. In questo luogo la comunità si raccoglie di settimana in settimana per far potente memoria dell’origine di tutto ovvero di quell’assenza in cui si vede la presenza del risorto.
Quindi si è cristiani in forza di un’esperienza vivente non di una conoscenza gnostica di leggi o codici; è sempre un andare incontro a colui che ci parla. Ma se la parola è l’unica porta, bisogna andare oltre i testi, bisogna fare ermeneutica non fermarsi all’enunciato, bisogna cioè trasgredire quella conoscenza gnostica che non ci fa progredire, non ci fa andare oltre, non ci fa raggiungere il vivente.


1.2. Gerusalemme (5)
La peculiarità di Gerusalemme nella tradizione ebraica non è andata mai perduta, neppure al tempo in cui gli ebrei saranno ridotti ad un esiguo numero in terra d’Israele; neppure quando il paese passerà sotto la dominazione babilonese, persiana, greca, romana, bizantina, araba, crociata, mamelucca, turca, britannica, giordana. E, anche quando la tradizione rabbinica farà subire a Gerusalemme una spiritualizzazione, forte quasi come quella cristiana, gli ebrei continuano a dire, alla fine del loro Seder di pesac: “L’anno prossimo a Gerusalemme!”.
Del resto la stessa cosa è avvenuta per i cristiani.
Nessun’altra città è divenuta la “città santa” del cristianesimo, in luogo di Gerusalemme. Dividere la Gerusalemme o Israele terrestre e storico da quello spirituale è un’operazione impossibile, come quella di dividere Gesù Cristo, il Signore risorto, dalla sua carne storica e dalla sua identità terrena.

Certo il ruolo storico-politico-culturale di Gerusalemme, è pure, indissolubilmente, teologico. Nella misura in cui diventa simbolo concreto, sacramento.
Di questa fede, Gerusalemme è il segno dell’irruzione di Dio nella storia e nella geografia degli uomini. Sarà il Signore a fare un casato a Davide, non Davide farà una casa al Signore. Il Signore ha tolto dalle mani di Davide la pretesa e l’iniziativa di fare di Gerusalemme la sua città propria dicendogli: “No! Sono io che farò di Gerusalemme la tua città” È questa l’epopea cantata dal Salmo 132. 13 Il Signore ha scelto Sion, l’ha voluta per sua dimora 14: “Questo è il mio riposo per sempre; qui abiterò, perché l’ho desiderato. 15 Benedirò tutti i suoi raccolti, sazierò di pane i suoi poveri. 16 Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti, esulteranno di gioia i suoi fedeli. 17 La farò germogliare la potenza di Davide, preparerò una lampada al mio consacrato. 18 Coprirò di vergogna i suoi nemici, ma su lui splenderà la corona”.
In questo “fare una casa” sta tutto il mistero e la profezia di Gerusalemme. Essa è la città che Dio ha tolto dalle mani dell’uomo per farne una città all’uomo. Per fare all’umanità una casa, una città, Dio ha destinato Gerusalemme ad essere il luogo di pellegrinaggio, di raduno e di culto per tutti gli uomini, anche per i più lontani.
Chi viola Gerusalemme, dunque, si mette contro il Signore. La città è custodita da Lui, perché ella ne è la sposa. Il peccato di Gerusalemme e dei suoi re consisterà nel tentativo di riprendere nelle proprie mani il destino della città. Invece di dire. “Noi siamo del Signore”, si sarà tentati di dire “Il Signore è nostro”, osando fare della presenza del Signore in mezzo al suo popolo un possesso esclusivo, e quasi un talismano, del popolo stesso. Il peccato contro Gerusalemme e contro Dio che è in lei, sta nella pretesa di riassorbire immanentisticamente nell’uomo e nel popolo l’unzione storica di Dio; nel tentativo blasfemo di fare di Dio e della fede in lui un capitolo di potere e di cultura umana; nella riduzione dei pellegrinaggi cultuali ad attività turistico-culturali; nell’affidare la sicurezza di Gerusalemme alle sue mura, piuttosto che al Signore, il quale custodisce la città.

Quando un simile peccato dilaga tra il popolo e i suoi capi, il Signore non esita persino a far distruggere il tempio di Gerusalemme. La gloria del Signore non teme di abbandonare il tempio per andare a Babilonia in mezzo ai deportati e agli esiliati. Avviene qui una svolta che darà luogo ad una delle acquisizioni più significative e durature dell’esilio babilonese e del giudaismo esilico e post-esilico: la distinzione, fino alla separazione, tra Dio ed il tempio e, di conseguenza, lo svincolamento del culto del popolo di Dio dall’edificio materiale del santuario. L’esilio segnerà un approfondimento (non però una spiritualizzazione disincarnata) del culto, della pietà e della relazione di alleanza: il cuore nuovo, di carne, e lo spirito nuovo – quello stesso di Dio –, in luogo del cuore di pietra.

In tale contesto si inserisce l’opposizione Babilonia Gerusalemme. È un tema che attraversa tutta la Bibbia, fin dal racconto della costruzione della torre di Babele in Gen 11, 1-9: 1 Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. 2 Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. 3 Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra ed il bitume da cemento. 4 Poi dissero: “Venite, costruiamo una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci sulla terra”. 5 Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. 6 Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. 7 Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. 8 Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. 9 Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

Babilonia è la città costruita dal basso verso l’alto, dalle mani dell’uomo. Gli uomini celebrano la loro comunione, dominando la terra mediante il loro progresso: è il monumento che l’uomo innalza alla propria sufficienza ed autopromozione, è in realtà una bestemmia in mattoni. Peccati simili si pagano. Così a Babele l’unione tra gli uomini, che si voleva celebrare con la terra, ma che era fondata sui mattoni e sul bitume e dimentica di colui che solo è Uno, crolla ben presto. La città dell’uomo e per l’uomo non può essere costruita dall’uomo con le proprie forze, dal momento che in lui non solo c’è solo l’umano, ma pure il dono di Dio, che solo lo Spirito di Dio sa e può gestire. Il Signore allora, riprende la costruzione della città, rimasta interrotta, ed inventa Gerusalemme, la città dell’uomo e per l’uomo costruita e custodita da Dio. Babilonia rimane il simbolo dell’insolenza e dell’empietà dell’umanesimo ateo ed autosufficiente, cioè dell’ideologia e dell’esaltazione immanentistica e totalitaria, cha va rigettata con risolutezza intransigente da tutti cittadini di Sion, i quali si ricordano di Gerusalemme.
Una sola è la città che Dio ha costruito per l’uomo, ed essa si chiama e si chiamerà sempre Gerusalemme. Nessun’altra si può auto-promuovere al suo rango: la storia è storia, e quella divina è l’unica storia che rimane. Forse per questo Gerusalemme ha subito tanti assedi, e conosce la pace solo come speranza. Gerusalemme è, nella Bibbia, – come il suo Sposo, il Messia risorto – il fulcro della storicizzazione della salvezza; ne è un sacramento centrale. Questo motivo sarà ripreso da tutto il Nuovo Testamento.
La novità specifica del Nuovo Testamento non consiste in una “aggiunta” alle scritture dell’antico, ma piuttosto nella persona stessa di Gesù, il quale, come crocefisso e risorto, si propone quale chiave di lettura e di ultima e definitiva intelligenza delle Scritture stesse. Ora se tutte le realtà salvifiche della Prima Alleanza si trovano personalizzate e raggiungono la loro ultima e concreta realizzazione in Gesù Messia crocefisso e risorto, quelle realtà subiscono un certo ridimensionamento. In un senso molto reale, perciò queste storiche realtà salvifiche si trovano ad essere relativizzate da Lui, non però per venire svuotate od impoverite del loro senso, ma per ricevere anzi il loro ultimo, vero e concreto significato, dalla rivelazione del fatto che, fin da principio, esse erano ordinate a significare la carne di Gesù. Per noi questa è stata una teofania più folgorante di quella del Sinai e di tuta la precedente storia d’Israele.
Anche per Gerusalemme si deve dire che Gesù non è venuto ad abolire, ma a dare compimento. Un compimento talmente trasfigurato e trasfigurante da non essere riconosciuto come tale al suo presentarsi, perché non è il compimento atteso e deducibile da una conoscenza comune delle Scritture. Gesù non conosce altre Scritture se non quelle che noi chiamiamo l’Antico Testamento che, letto da Lui, diventa Nuovo. Ed in questa lettura nuova il ruolo di Gerusalemme permane.
La predicazione apostolica a tutte le genti della conversione e del perdono dei peccati comincia da Gerusalemme, città nella quale esplodono il fuoco e la parola della Pentecoste. Annuncio che riguarda in primissimo luogo e in proprio, la casa d’Israele, il popolo messianico di Dio. L’evangelizzazione dei Gentili, “i lontani”, non è solo un’alternativa al rifiuto di una parte d’Israele. Essa è soprattutto una conseguenza, prevista ed annunciata dai profeti, dell’adempimento delle promesse fatte ad Israele. Lo spirito lo si riceve solo se si rimane in Gerusalemme. Il dinamismo universalistico della Nuova Alleanza, che deve spingersi fino agli estremi confini della terra, comincia da Gerusalemme, inevitabilmente.
La descrizione della Gerusalemme nuova negli ultimi due capitoli dell’Apocalisse conserva i caratteri di una città reale, con mura, porte, piazza, fiume, alberi, ecc. In essa, però, non c’è più alcun tempio, “perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio” (21,22). Certo tale descrizione in parte può essere ispirata storicamente, dalla distruzione del tempio, già avvenuta ad opera delle legioni di Tito. Ma è importante rilevare che nella lunga serie delle realtà salvifiche, che Gesù impersona e relativizza nel Nuovo Testamento (tempio, sacerdozio, culto, luce, acqua, vita, ecc.) questo non conosca alcuna identificazione di Gesù con Gerusalemme. Gesù e Gerusalemme rimangono per sempre due realtà distinte, che l’Apocalisse traduce nei termini squisitamente biblici dello Sposo e della Sposa (22,17). Gerusalemme è la sposa e, nella tradizione cristiana, giustamente è riconosciuta in una certa continuità con la chiesa.
La Nuova Alleanza consiste proprio nel fatto che ormai non si trova più la sposa senza lo Sposo, né lo Sposo senza la sposa. Né Gesù né la chiesa possono essere concepiti da soli, la presenza dello Sposo alla sposa è assicurata per sempre. Ma questa sposa non è una chiesa qualunque, una chiesa “universale” astratta, senza padre e senza madre, senza genealogia umana e senza principio di giorni, sganciata da ogni individuazione storico-geografica. La sposa del Messia è la chiesa di Gerusalemme, quella casa d’Israele che, visitata in Gesù da Dio d’Israele, per prima ha creduto in Gesù Signore e Messia. La chiesa di cui tutte le altre sono figlie, la chiesa madre non è una chiesa “internazionale”, diffusa su tutta la terra senza radici nella storia. La chiesa di Dio, nata a Gerusalemme, sul Calvario e sul Sion, dal fianco trafitto di Gesù Messia e dal dono dello Spirito, pur essendo radicata nel cielo, ha camminato e cammina ancora nella storia.

 

1.3. La panoplia (6)

Le formule e le preghiere di oggi non sono «materialmente» identiche a quelle dei rituali del passato, quando diventare Cavaliere del Santo Sepolcro si- gnificava abbandonare affetti, beni materiali, casa paterna, patria, per professare la fede di Cristo nel combattere e per esercitare la carità verso il prossimo. Esse hanno però il medesimo profondo spirito di fede e di carità; i medesimi concetti, spesso espressi con parole e frasi degli antichi rituali. In sinossi ritroviamo, in ordine diacronico, un elenco di tale simbolismo tratto dalla prima lettera ai Tessalonicesi, dalla seconda lettera ai Corinzi, dalla lettera ai Romani e, infine, uno tratto dalla lettera agli Efesini.

 

1 Ts 5, 8 Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobri, rivestiti con la corazza (qwvraka) della fede e della carità e avendo come elmo (perikeϕalaivan) la speranza della salvezza.

2ª Cor 6, 7 con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia (diav.tw‘n o{plwn) a destra e a sinistra.

2ª Cor 10, 4 Infatti, le armi (o{pla) della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze,

Rm 6, 13 Non offrite le vostre membra come armi (o{pla) di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come armi (o{pla di giustizia per Dio.

Rm 13, 12b La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi (o{pla) della luce.

Ef 6, 11-17 11 Rivestitevi dell’armatura (panopliavn) di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. 12 La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. 13 Prendete perciò l’armatura (panopliavn) di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. 14 State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza (qwvraka) della giustizia, 15 e calzando ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. 16 Tenete sempre in mano lo scudo (qureovn) della fede, con il quale potrete spegnere i dardi infuocati del maligno; 17 prendete anche l’elmo (perikeϕalaivan) della salvezza e la spada (mavcairan) dello Spirito cioè la Parola di Dio.


La lettera agli Efesini ci offre un buon esempio di come immagini desunte dall’ambito militare vanno intese nel campo della fede. Esse simboleggiano il fatto che la fede è anche una battaglia, battaglia contro le potenze del male, che alla loro radice sono sì esautorate da Cristo, ma che, finché la storia dura, continuano ad ingaggiare violenti “combattimenti di ripiego”. Questa battaglia della fede contro la potenza del male nel nostro mondo può perciò essere chiaramente combattuta solo con i mezzi della fede stessa e non con i mezzi violenti di questo mondo. Ciò vale anche per la fine del tempo e per la vittoria di Cristo sul male, che allora diventerà manifesta (7).
Ancora oggi, essere Cavaliere e Dama del Santo Sepolcro significa lottare per trionfo di Cristo e della sua Chiesa. Come nel passato, anche oggi i candidati si preparano all’investitura partecipando alla veglia, che si svolge secondo le particolari tradizioni delle Luogotenenze in ciascun paese ed è spesso accompagnata da un corso di predicazione appropriata.
La Cerimonia d’investitura si svolge una volta l’anno in ogni Luogotenenza ovvero tutt’ al più due volte, se lo richiede il numero di candidati. Essa ha luogo sempre durante la celebrazione della Santa Messa, che può essere quella «De mysterio Sanctae Crucis», se le rubriche lo permettono, ovvero quella «De Spiritu Sancto» dove c’è l’uso.
 

La Chiesa Ordinariato Militare in Italia nel Primo Sinodo, indetto da mons. Giuseppe Mani Arc. Ordinariato Militare per Italia il 25.10.1996 sulla tomba di S. Francesco d’Assisi e conclusosi con una solenne celebrazione eucaristica sulla tomba di San Pietro il 6.5.99, ricorda a proposito della Sua Pastorale Liturgica in cultura militare e cultura liturgica: culture dei segni, segni militari e segni liturgici che (8) il mondo militare, così come la liturgia, valorizza e per loro mezzo si esprime simbolicamente. Segno rilevante è l’adunata che, oltre ai fini pratici, esprime l’unione e quasi l’unità dell’intero popolo militare... 189
Gli usi, le tradizioni e il complesso delle ritualità militari possono costituire predisposizioni che meritano di essere apprezzate ed utilizzate per una piena comprensione e partecipazione liturgica. 193
Tradizioni culturali e di santità testimoniano che già in passato immagini e linguaggio militare sono stati utilizzati positivamente per esprimere concetti religiosi e liturgici. Il termine “sacramentum”, che significava l’atto del giuramento militare (9), è stato utilizzato dal linguaggio teologico cristiano per denominare “sacramenti” sia le celebrazioni liturgiche sia, in special modo, quei segni sensibili efficaci della grazia, istituiti da Gesù Cristo per santificare e rendere culto a Dio (10).
Specialmente in rapporto alla liturgia e alla testimonianza di vita cristiana coronata con il martirio, è possibile affermare che l’esperienza militare è vantaggiosa per la fede; è come propedeutica naturale alla più alta milizia per Cristo (11) e, rettamente compiuta, giunge anche ad essere premiata con la grazia del martirio12. 194

Adattamenti della liturgia al popolo militare siano radicati nelle sue più nobili tradizioni e non si prescinda mai da esse. Siano compresi ed ammessi con rispetto, particolarmente nelle celebrazioni più solenni, lo stile e i modi con i quali il popolo militare esprime onori, solidarietà e devozione: inquadramento, squilli di tromba, picchetti, resa degli onori con armi, preghiera al Santo Patrono. 195
L’elevazione e l’inserimento del popolo militare nella liturgia è compito fondamentale dell’Arcivescovo Ordinario Militare e dei cappellani. Questo compito richiede un’autentica catechesi liturgica da non trascurare mai, specialmente nelle celebrazioni in cui tutto dovrà essere predisposto con massima diligenza. In modo adatto e preciso venga data spiegazione dei vari segni affinché i presenti possano parteciparvi con piena coscienza e assistere con intelligenza, fede e devozione. 196
Le celebrazioni liturgiche nelle caserme siano bene organizzate; si svolgano con dignità e prestigio; siano realizzate come dimensione etica e spirituale; siano partecipate e vissute con fede. 197
Nel mondo militare come nella liturgia i segni occupano uno spazio così rilevante da poter parlare di una vera e propria “cultura dei segni”. Attraverso un’adeguata catechesi sarà necessario precisare la sostanziale differenza tra i segni militari e quelli liturgici. I primi infatti, sono segni espressivi e rappresentativi di una realtà, mentre gli altri sono espressivi ma efficaci di ciò che significano: la bandiera rappresenta la Patria ma non è la Patria; l’Eucaristia non rappresenta Cristo, ma è Cristo stesso. Nella catechesi ai militari, la cui sensibilità ai segni è parte integrante della propria cultura, venga chiaramente precisata sia l’analogia sia la sostanziale differenza tra lo spirito d’appartenenza alle Forze Armate e lo spirito di appartenenza alla Chiesa universale, famiglia dei figli di Dio. 199


Statuto dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme - Premessa
«Sarete voi i miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea e Samaria, fino al confine della Terra» (At, 1,8). La Cavalleria si definisce come auto-disciplina, generosità e coraggio. Chiunque non abbia la ferma volontà di sviluppare e di approfondire questi comportamenti nella sua vita, non potrà mai diventare Confratello. Lo zelo alla rinuncia, in mezzo a questa società di abbondanza, il generoso impegno per i più deboli ed i non-protetti, la lotta coraggiosa per la giustizia e la pace, sono le caratteristiche dell’Ordine del Santo Sepolcro.
Il legame con Gerusalemme che si manifesta nell’Ordine ed esige la responsabilità per i Luoghi Santi orienta i nostri desideri verso la Gerusalemme celeste. (Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è nostra madre, Gal. 4,26).

Il Santo Sepolcro è il simbolo della comune Passione con Gesù ed anche la nostra speranza nella Resurrezione. (10 e per conoscere lui, la potenza della sua resurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte 11 onde giungere, in qualche modo, alla resurrezione dei morti Phil. 3,10).
La Croce che portiamo non è un gioiello, ma la testimonianza di sottomissione alla legge della Croce. La forma della Croce usata nell’Ordine ci ricorda le ferite del Signore ed inoltre le piaghe dalle quali la Terra Santa sta perdendo il suo sangue.
La Conchiglia del Pellegrino ricorda l’impegno di aiutare i bisognosi e la realtà di essere pellegrini in questa terra.
La condotta morale ed il sentimento cristiano sono le prime esigenze per poter essere ammessi nell’Ordine. La pratica della Fede cristiana si deve dimostrare nel seno della propria famiglia, sul posto di lavoro, nell’ubbidienza verso il Santo Padre e collaborando nella propria Parrocchia e nella propria Diocesi, alle attività cristiane.
Questa distinzione dell’Ordine richiede dai suoi membri:
– devozione religiosa;
– partecipazione alle attività della Chiesa;
– apostolato laico, disponibilità per il servizio della Chiesa;
– cura dello spirito ecumenico, soprattutto tramite l’interesse vivo verso i
problemi confessionali in Palestina.
La particolarità dell’Ordine consiste nell’impegno per i Luoghi Santi di Gerusalemme e nei doveri per la Chiesa in Palestina. Non si potrà mai notare abbastanza che l’opera caritativa dell’Ordine deve avere le sue radici nella spiritualità dei suoi membri».


 


 

 

CAPITOLO QUINTO


NEL TERZO MILLENNIO

 


1. ORDINE EQUESTRE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME IN VISTA DEL TERZO MILLENNIO


Proponiamo ora le disposizioni contenute nel documento Direttive per il rinnovamento dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme in vista del terzo millennio.

Tale documento è preceduto da una descrizione storico-giuridica in cui si ricorda ed afferma l’identità dell’ordine. Il documento si colloca di fronte alle nuove situazioni e domande che toccano intensamente il cammino di fede delle nostre comunità ecclesiali ed in particolare come risposta alle sfide nel mondo di oggi riaffermando la validità dell’opzione di fondo del Cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Il punto di riferimento spirituale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è il Santo Sepolcro, il luogo cioè dove il mistero della Resurrezione del Signore Gesù è particolarmente celebrato, quella Resurrezione che è la pietra centrale della fede dei cattolici e di tutti i cristiani.
La speranza e la preghiera del Signore: «che tutti siano uno» deve guidare la carità e l’opera dell’Ordine nella Terra Santa e dovunque nel mondo. Lo sviluppo di rapporti ecumenici con altre Chiese e Comunità cristiane deve essere una delle sue priorità.
Al di sopra di tutto ciò l’attività dell’Ordine e di ciascuno dei suoi membri deve ispirarsi all’amore, «perché in questo modo tutti sapranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13,35).


1.1. Lavori della Commissione


1. Il gran maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, sua eminenza il cardinale Carlo Furno, ha costituito una “Commissione preparatoria per la Consulta 1998”, allo scopo di assisterlo nel presentare raccomandazioni per la Consulta, avendo in mente il prossimo avvento del Terzo Millennio.
2. La Commissione preparatoria era così composta:
Prof. Agostino Borromeo, Gr. Uff. O.E.S.S.G. Membro del Gran Magistero dell’Ordine;

Padre Gaspar Calvo Moralejo, O.F.M., Comm. O.E.S.S.G. Presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale;
Amb. Ludovico Carducci Artenisio, Cav.di Collare O.E.S.S.G. Governatore Generale dell’Ordine, Moderatore;
Prof. Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, Cav. Gr. Cr. O.E.S.S.G. Membro del Gran Magistero dell’Ordine Rettore della Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA);
Diacono Prof. Dr. Franz Eckert, Cav. Gr. Cr. O.E.S.S.G. Membro del Gran Magistero dell’Ordine;
Mons. Dr. Robert L. Stern, Gr. Uff. O.E.S.S.G. Segretario Generale della Catholic Near East Welfare Association Presidente della Pontifical Mission for Palestine.
La Commissione ha iniziato i suoi lavori in una prima riunione nella Sede dell’Ordine in Roma il 28 aprile 1997. Dopo una discussione preliminare, i singoli Membri sono stati invitati a redigere documenti su temi loro assegnati e destinati ad essere esaminati in successive riunioni.
A seguito di tali esami e di ulteriori analisi, fu stabilito di unificare tali documenti in un unico progetto avente lo scopo di tracciare le direttive per il rinnovamento dell’Ordine in vista del Terzo Millennio.
3. Il documento messo a punto dalla Commissione preparatoria nella versione inglese nella prima quindicina di aprile, è stato tradotto nelle lingue di lavoro dell’Ordine e diramato a tutti i Membri del Gran Magistero ed ai Luogotenenti e Delegati Magistrali con circolare in data 27 maggio 1998.
Esso ha dato luogo a commenti scritti da parte di 3 Membri del Gran Magistero, di 13 Luogotenenti e di un Membro emerito del Gran Magistero.
Presentato alla Consulta dell’Ordine, riunitasi a Roma nei giorni dal 13 al 16 ottobre 1998, il testo delle “Direttive per il rinnovamento dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme in vista del Terzo Millennio” è stato oggetto di approfondito esame da parte dei tre Gruppi di lavoro in cui la Consulta stessa si era articolata.
I Moderatori dei tre Gruppi: il Gr. Uff. Philippe I-Iusson, il Cav. Gr. Cr. Robert Benson ed il Cav. Gr. Cr. Otto Kaspar, hanno presentato ed illustrato relazioni scritte nel corso della seduta conclusiva della Consulta il giorno 16 ottobre.
4. Il documento è il risultato della revisione del progetto del 27 maggio 1998, compiuta sulla base delle osservazioni scritte pervenute prima della Consulta e dei dibattiti svoltisi in seno ai Gruppi di lavoro. Sul testo finale sono stati sentiti i Membri della Commissione preparatoria, i Vice Governatori dell’Ordine ed i Moderatori dei Gruppi.

 

Tutti coloro che hanno contribuito alla formulazione delle “Direttive” – siano essi i Membri della Commissione preparatoria, i Dignitari dell’Ordine ed i Cavalieri e le Dame che sono stati consultati in seno alle Luogotenenze – sono concordi nel ritenere che le Direttive stesse trovino la loro necessaria collocazione nel quadro dello Statuto dell’ Ordine. Esse vogliono esserne un opportuno approfondimento ed una aggiornata interpretazione. Esse potranno altresì rappresentare un utile strumento per una migliore comprensione della nostra missione in un mondo che cambia ed un punto di riferimento per coloro che vogliano approfondire la conoscenza dell’Ordine del Santo Sepolcro, della sua identità e della sua opera al servizio della Chiesa e dei nostri fratelli in Terra Santa. In Roma, 3 maggio 1999, viene ufficialmente presentato il documento.

 


1.2. Origine storica e giuridica


I. L’IDENTITÀ DELL’ORDINE


Origini dell’Ordine
1. L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme risale ad antica origine e durante i secoli venne riordinato ed arricchito di privilegi dai Sommi Pontefici. L’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, la cui fondazione è stata per lungo tempo attribuita tradizionalmente a Goffredo de Bouillon, trae probabilmente le sue origini dalle investiture di Cavalieri che si recavano in Terra Santa nel XII secolo per la difesa del Regno Latino di Gerusalemme.
Esso attinge anche i suoi valori fondamentali nel ricordo dei Cavalieri crociati, affiliati in questa stessa epoca alla Confraternita laica detta dei Canonici Regolari del Santo Sepolcro. Esso appare allora come un ramo caratteristico dell’antica Cavalleria cristiana, ispirata all’ideale formulato da San Bernardo nel suo “De laude novae militiae”, che incarna la fedeltà allo spirito e all’ideale delle crociate.
È caratterizzato dal fatto eccezionale che la qualità di Cavaliere del Santo Sepolcro viene conferita esclusivamente a Gerusalemme sulla tomba di Cristo da un Cavaliere riconosciuto dai Papi e dai Sovrani.
Ai primi del XV secolo i Sommi Pontefici prendono nelle loro mani questa complessa realtà dando ad essa una vera e propria configurazione di Ordine Cavalleresco e conferendo al Custode di Terra Santa, a titolo esclusivo, il privilegio di creare “Cavalieri del Santo Sepolcro”.

 

Rifondazione dell’Ordine
2. Nel 1847, il Patriarcato Latino di Gerusalemme fu ristabilito dal Papa Pio IX e l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme fu ricostituito. Il nuovo Patriarca divenne Gran Maestro dell’Ordine. I nuovi Statuti dell’Ordine prevedevano la possibilità che i nuovi membri fossero investiti in sedi diverse da Gerusalemme, da prelati operanti a nome del Patriarca. Nel 1888, il Papa Leone XIII approvò la pratica, già introdotta dal Patriarca, di investire Dame fra i Cavalieri dell’Ordine.
Nel 1907, il Papa S. Pio X prese il titolo di Gran Maestro ed il Patriarca Latino quello di Gran Priore; tuttavia, la dignità di Gran Maestro fu restituita al Patriarca Latino, nel 1928.
Nel 1940, Papa Pio XII diede all’Ordine un nuovo Statuto e nominò un Cardinale Protettore dell’Ordine. Nel 1949 il Cardinale Protettore divenne Gran Maestro ed ancora una volta il Patriarca Latino ne divenne Gran Priore.
Nel 1977, l’Ordine ricevette da Papa Paolo VI un nuovo Statuto, il quale con poche, successive modifiche, rappresenta oggi il documento che governa l’Ordine.


Descrizione giuridica dell’Ordine
3. L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è una associazione di fedeli stabilita in base al diritto canonico, a cui è stata affidata dal Santo Padre la missione speciale di assistere la Chiesa di Terra Santa e di rafforzare nei suoi membri la pratica della vita cristiana. Esso è retto dalle norme comuni del diritto canonico, dalle disposizioni ecclesiastiche particolari e da quelle del suo Statuto.
L’Ordine è persona giuridica di diritto canonico, come dalle Lettere Apostoliche di Sua Santità Pio XII del 14 settembre 1949 e di Sua Santità Giovanni XXIII dell’8 dicembre 1962, nonché persona giuridica vaticana, come dal Rescritto di Sua Santità Giovanni Paolo II del 1 febbraio 1961.


L’Ordine come una Associazione laica di fedeli
4. Da un punto di vista giuridico l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è un’associazione di fedeli laici aperta anche agli ecclesiastici. Più precisamente è un’associazione nell’ambito della Chiesa, un’associazione di fedeli, cioè «di coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo»2.
5. L’Ordine ha tutti questi elementi in comune con altre associazioni di fedeli secondo le norme generali e il diritto canonico della Chiesa. D’altra parte la sua storia, le sue finalità, la sua struttura e la sua spiritualità conferiscono all’Ordine caratteristiche particolari che lo distinguono da altre associazioni di fedeli.
6. I documenti del Concilio Vaticano II, in particolare il decreto sull’apostolato dei laici, Apostolicam actuositatem, sottolineano l’importanza delle Associazioni nell’ambito della Chiesa, in particolare dell’apostolato che ad esse si associa. Viene in particolare affermato che «salvo il dovuto legame con l’autorità, i laici hanno il diritto di creare associazioni e guidarle e di aderire a quelle già esistenti»3.
7. L’esortazione apostolica Christifideles laici di Giovanni Paolo II indica i criteri di ecclesialità di tali associazioni laiche, cioè i criteri che definiscono le associazioni della Chiesa e nell’ambito della Chiesa. Essi sono:
«il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità», per cui le associazioni debbono essere «strumenti di santità» per i loro membri;
«la responsabilità di confessare la fede cattolica», per cui ogni associazione deve essere «luogo di annuncio e di proposta della fede e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto»;
«la testimonianza di una comunione salda e convinta» con il Papa e con il Vescovo della Chiesa locale, «espressa anche attraverso la leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali ed orientamenti pastorali»;
«la conformità e la partecipazione alle finalità apostoliche della Chiesa», per cui tutte le associazioni sono chiamate ad uno slancio missionario che le renda «sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione»;
«l’impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell’uomo»4.


L’Ordine una pubblica associazione internazionale di fedeli
8. L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è stato costituito dalla Santa Sede ed ha ricevuto dal Santo Padre una particolare missione5; esso è, in base al Canone 312 § 1 del diritto canonico, una pubblica associazione di fedeli.

Solo la Santa Sede è competente ad erigere associazioni pubbliche, universali ed internazionali di fedeli. Poiché i suoi Membri sono diffusi al di là delle frontiere nazionali e diocesane e possiede uno Statuto approvato e promulgato dalla Santa Sede, l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è chiaramente un’associazione pubblica, internazionale di fedeli.

 


1.3. La missione e la spiritualità dell’Ordine


I. LA VOCAZIONE COMUNE CRISTIANA


L’insegnamento della chiesa

9. Il Concilio Vaticano II nella sua costituzione dogmatica della Chiesa, Lumen gentium, insegna che «per la sua divina istituzione la Santa Chiesa è strutturata e governata con una mirabile diversità. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri» (Rom 12, 4-5).
Secondo l’insegnamento dell’apostolo Paolo poiché vi è «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,5) che ci uniscono, così «comune è la dignità dei membri del popolo di Dio per la loro rigenerazione in Cristo. Comune è la grazia di adozione filiale, comune è la vocazione alla perfezione. Non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni»6.
Anche se nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via «però tutti sono chiamati alla santità ed hanno ricevuto a titolo uguale la fede che introduce nella giustizia di Dio» (cf. 2 Pt, 1,1). Quantunque alcuni per volontà di Cristo, siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il Corpo di Cristo7.


L’apostolato dei laici
10. La missione dei laici nella Chiesa ha una qualità secolare che è loro propria e che si distingue dalla missione dei chierici. I laici «devono cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale di cui la loro esistenza è come intessuta.

Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo, a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità (8).
«Tale carattere comunitario è perfezionato e compiuto dall’opera di Cristo Gesù. Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della solidarietà umana... Ha rivelato l’amore del padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d’ogni giorno. Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita sociale. Si sottomise volontariamente alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un artigiano del suo tempo e della sua regione» (9).


II. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DEI MEMBRI DELL’ORDINE OGGI


Le sfide della moderna società
11. Lo sviluppo di una società multiculturale, la secolarizzazione della vita pubblica, le minacce sempre crescenti all’istituto del matrimonio e, per conseguenza, alla famiglia, la disoccupazione di lunga durata, la disintegrazione economica delle società, la crisi dei sistemi di sicurezza sociale, la globalizzazione dell’economia mondiale, la bioetica e la biotecnologia, le emigrazioni e l’ecologia: questi sono alcuni dei grandi problemi della società moderna all’inizio del nuovo millennio.
Di quali mezzi il cristiano impegnato può disporre per analizzare tutti questi problemi ed operare attivamente per trovare per essi una soluzione cristiana?


Il bene comune
12. Essenziale per la società è la ricerca del bene comune. Esso comprende l’assieme di quelle condizioni di vita sociale che facilitano ai gruppi e a ciascuno dei suoi membri il raggiungimento in modo più completo della propria perfezione.
Esso è guidato nei suoi principi fondamentali dalla legge eterna ed esige che i cittadini compiano il loro dovere e contribuiscano a tale bene; esso deve essere la preoccupazione degli statisti. Il bene comune è fondamentale per la vita politica veramente umana ed è fonte dei diritti primordiali e propri dello Stato.
Esso esige uguaglianza giuridica dei cittadini, consacra i diritti e i doveri della persona umana; e non è mai lecito anteporgli la propria utilità (Conc. Vat. II, passim).


La dottrina sociale cattolica
13. In tutti i punti sopra menzionati l’autorevole insegnamento del Papa e della Chiesa sono della massima importanza. La dottrina sociale cattolica fornisce una chiara e concreta forza propulsiva per la soluzione di tutti questi problemi, sia nei vari campi della scienza e della tecnologia, sia nella sfera privata della vita umana. Essa indica tre armi per questa lotta: il primato della persona umana, la priorità del bene comune ed il riconoscimento della creatura chiamata ad aiutare Dio nell’opera della creazione.


La persona umana
14. Lo sviluppo turbinoso dell’economia e della tecnologia ha reso assai arduo, per il singolo individuo e per i loro governi, risolvere i nuovi problemi morali che si sono andati ponendo. In questa situazione generale di mancanza di una “bussola” morale, la necessità di un sistema di valori e di norme con una solida fondazione metafisica è vivamente sentita. Senza di esso la comunità umana è destinata a degenerare in un campo di battaglia di egoismi individuali e collettivi in conflitto, oppure nel disastro di una dittatura che stabilisce regole obbligatorie in tutti i campi dell’esistenza.
In un mondo che è affascinato dal potere economico e dal progresso tecnico, la subordinazione della dignità dell’essere umano alle necessità e alle leggi dell’economia è divenuta una tentazione fondamentale. Soltanto considerando l’uomo come figlio di Dio, l’individuo può essere liberato da queste restrizioni che le forze economiche e tecnologiche hanno loro imposto. Senza un’adesione totale al primato della persona umana la lotta per la dignità umana ed i diritti dell’uomo sono destinati alla lunga ad andare ad essere perdute.


Collaborazione all’opera della creazione
15. Oltre al principio del primato della persona umana e della priorità del bene comune, il riconoscimento della cooperazione dell’uomo all’opera della creazione rappresenta la terza regola di vita per il nostro tempo e la terza ancora contro il flusso del cambiamento dell’economia mondiale e delle tecnologie che sono sfuggite al nostro controllo.
Soltanto colui che è riuscito a convincersi che egli non è il proprietario dei propri talenti (Mt 25, 14-30), ma soltanto colui al quale essi sono stati affidati in proporzione alle sue capacità, è consapevole di essere stato chiamato a continuare il processo divino della creazione con la sua opera attiva e con il suo ardente amore. Il Regno di Dio sulla terra cresce attraverso l’impegno di ogni individuo:
come insegna la parabola, non far nulla per timore o limitarsi a restituire, senza interessi, i talenti che gli sono stati affidati, è motivo di condanna per il servo infedele.

 


III. LA MISSIONE SPECIFICA DEI MEMBRI DELL’ORDINE


Il mandato attuale dell’Ordine

16. Lo speciale mandato affidato dal Papa all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è quello di rafforzare nei suoi membri la pratica della vita cristiana e sostenere la presenza cristiana in Terra Santa. Possiamo dire che il Papa ha restituito all’Ordine la sua funzione primitiva con la grande differenza che i mezzi non sono più la forza delle armi, ma quella dell’aiuto fraterno ai cristiani di Terra Santa. Spiritualmente continuano ad essere Cavalieri del S. Sepolcro.


A. RAFFORZARE LA PRATICA DELLA VITA CRISTIANA NEI MEMBRI DELL’ORDINE


Disposizioni richieste ai membri dell’Ordine

17. I candidati all’ammissione nell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme devono distinguersi per la pratica assidua della fede cristiana, per la loro esemplare condotta morale, per il loro impegno nelle attività della Chiesa a livello parrocchiale e diocesano, per la loro volontà di impegnarsi in opere di apostolato laico proprie dell’Ordine al servizio della Chiesa, per il loro spirito ecumenico, per il loro attivo interesse per i bisogni e i problemi della Terra Santa (10).
I candidati si obbligano con nuovo vincolo personale a tale attività missionaria alla quale li abilita il sacramento del Battesimo ed in particolare della Cresima. La vita di ogni membro deve apportare una speciale testimonianza al mondo. Come le loro mancanze discreditano anche la Chiesa così i loro successi rendono gloria a Dio.

18. Essere membri dell’Ordine presume una precisa volontà di sviluppare ed approfondire le tre virtù caratteristiche dell’Ordine: zelo alla rinuncia in mezzo a questa società dell’abbondanza, generoso impegno per i deboli e i non protetti, lotta coraggiosa per la giustizia e per la pace (11).

 

Zelo alla rinuncia in mezzo a questa società dell’abbondanza
19. I Membri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme praticano forme specifiche di disciplina e di testimonianza cristiana: la disposizione interna di distacco, la volontà di subordinare i loro interessi personali ai bisogni degli altri ed al bene comune ed una rimarchevole generosità nella utilizzazione a favore degli altri delle loro risorse materiali e spirituali, talenti, influenze, tempo ed energia.

 

Generoso impegno per i deboli e gli indifesi
20. I Membri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme hanno un obiettivo speciale di interesse cristiano e di apostolato: l’assistenza morale, materiale e spirituale, l’appoggio ai poveri, a coloro che non abbiano risorse, mezzi, strumenti per farsi sentire, a coloro che sono oppressi, a coloro che non abbiano la possibilità di difendere se stessi ed i propri diritti.


Lotta coraggiosa per la giustizia e per la pace
21. I Membri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme sono chiamati a svolgere attività specifiche che comprendono l’educazione, la diffusione di informazioni, la promozione di una pubblica consapevolezza per il riconoscimento e la difesa della dignità umana di ogni persona, il rispetto per i fondamentali ed inalienabili diritti dell’uomo, l’eguale giustizia sotto la legge, la libertà, l’assenza di discriminazioni, la sicurezza, lo sviluppo umano ed un’adeguata qualità della vita.

 


B. SOSTENERE LA PRESENZA CRISTIANA IN TERRA SANTA


Le dimensioni del mandato dell’Ordine

22. Sostenere la presenza cristiana in Terra Santa significa sia appoggiare l’esistenza delle comunità cristiane – la Chiesa – viventi in Terra Santa, sia recare testimonianza dei valori cristiani in quella Regione. Per “Terra Santa” si intende tutto il territorio designato come “Terra Promessa” ed associato in particolar modo alla vita e all’insegnamento di Gesù.
23. L’Ordine, oltre all’interesse che esso porta ai Luoghi Santi, sostiene ed aiuta le opere e le istituzioni cultuali, caritative, culturali e sociali della chiesa cattolica in Terra Santa, particolarmente quelle del e nel Patriarcato Latino di Gerusalemme con il quale l’Ordine mantiene legami storici e tradizionali.


Patriarcato Latino di Gerusalemme
24. II Patriarcato Latino di Gerusalemme è la diocesi cattolica latina il cui territorio comprende Israele/Palestina, Giordania e Cipro. (L’isola di Cipro è esclusa dai territori intesi tradizionalmente come Terra Santa). Il Vescovo di questa diocesi ha diritto al titolo di patriarca.


Custodia di Terra Santa
25. La Custodia di Terra Santa. Essa è una speciale provincia dell’Ordine Francescano che ha propri membri permanenti, ma che accoglie anche francescani di altre giurisdizioni in servizio temporaneo. Dal 1333 fino al ristabilimento del Patriarcato Latino nel 1847, la Custodia ha rappresentato la chiesa cattolica latina nella Terra Santa. Essa cura non soltanto i principali santuari cristiani, ma sostiene tutta una rete di parrocchie, istituti educativi e di servizio sociale in Israele/Palestina, Giordania, Libano, Siria ed Egitto. Essa ha una propria struttura per raccogliere le risorse che le sono necessarie.

 

La carità dell’Ordine si estende a tutti coloro che sono nel bisogno, senza differenza di fede o di confessione religiosa e si esercita secondo le direttive del gran magistero; quindi si rivolge anche alle:


Chiese Cattoliche Orientali
26. Vi sono tre giurisdizioni greco-melchite cattoliche in Terra Santa: l’archieparchia greca melchita di Akka in Israele e l’archieparchia greca melchita di Tetra e Filadelfia in Giordania. Vi sono anche una archieparchia Maronita di Haifa e della Terra Santa, gli esarcati patriarcali di Gerusalemme: maronita, armeno-cattolico, siro-cattolico e caldeo-cattolico, come pure il territorio di Gerusalemme che dipende dal patriarca greco-melchita cattolico, governato da un protosincello.


Chiese Ortodosse
27. II patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme e il patriarcato armeno di Gerusalemme includono nella loro giurisdizione sia Israele/Palestina sia la Giordania. Vi sono anche: una Arcidiocesi coptaortodossa di Gerusalemme e Medio-Oriente, una Arcidiocesi ortodossa etiopica di Gerusalemme ed un vicariato patriarcale ortodosso siriaco. La chiesa ortodossa russa ha anche importanti santuari e proprietà nella Terra Santa.


Altre chiese cristiane
28. Tanto la Chiesa anglicana quanto la “Chiesa luterana” hanno diocesi in Gerusalemme ed i Luterani tedeschi hanno il loro “Probst”. Altre Chiese e Comunità cristiane hanno loro istituzioni e loro iniziative.


Religioni non cristiane
29. Le principali religioni della Terra Santa sono il Giudaismo e l’Islam. In Israele la maggioranza della popolazione è ebraica per cultura e tradizione, ancorché soltanto una minoranza sia praticante. I musulmani di Terra Santa appartengono al ramo sunnita dell’Islam. Vi è anche una presenza dei Drusi, storicamente derivanti dal ramo minoritario sciita dell’Islam, in realtà una religione separata.


Il ruolo dell’Ordine
30. La carità dell’Ordine si estende a tutti coloro che sono nel bisogno, senza differenza di fede o di confessione religiosa e si esercita secondo le direttive del Gran magistero.


Le opere dell’Ordine in e per la Terra Santa
31. Gli scopi dell’Ordine in Terra Santa riguardano sia attività di assistenza e di sviluppo, sia sostegno caritativo per i giovani, gli handicappati, gli anziani e gli emarginati sia opere di assistenza allo sviluppo, attraverso l’istruzione, come pure la difesa dei diritti della Chiesa, della libertà di culto, la promozione dell’ecumenismo, la difesa delle minoranze etniche, la ricerca della giustizia e della pace. L’Ordine cerca di interessare i cattolici e gli altri cristiani nel mondo al sostegno delle sue attività e dei suoi fini in Terra Santa, in spirito di unione e di carità.


Aiuto materiale
32. L’aiuto materiale dell’Ordine in Terra Santa è particolarmente indirizzato al sostegno finanziario delle attività istituzionali del patriarcato latino di Gerusalemme (pastorale, mantenimento del clero, seminario, costruzione e manutenzione di edifici parrocchiali e scolastici, finanziamento delle scuole).

L’assistenza dell’Ordine comprende l’appoggio finanziario per la costruzione, restauro e funzionamento di altre chiese e santuari, istituzioni educative, centri di formazione, residenze per sacerdoti e religiosi, istituti per l’infanzia, alloggi per gli anziani e gli handicappati, istituzioni sanitarie e di servizio sociale.
L’Ordine sostiene anche progetti e programmi di sviluppo umano quali alloggi, concessione di borse di studio e di piccoli prestiti per inizio di attività lavorative ed altre opere sociali.


Collaborazione con altre Organizzazioni
33. L’Ordine, sotto la guida del gran magistero, collabora con altre agenzie ed organizzazioni sia non-governative sia governative, tanto religiose quanto secolari, che hanno simili scopi ed obiettivi nella Terra Santa.

 


IV. LA SPIRITUALITÀ DELL’ORDINE


La centralità della Resurrezione

34. Il nome stesso dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme indica il punto centrale della sua spiritualità – il Sepolcro del Signore – luogo dove viene celebrata in modo speciale la gloria della Resurrezione. Le parole del Concilio Vaticano II sembrano scritte quasi appositamente per i membri dell’Ordine: «ogni laico deve essere davanti al mondo un testimone della Resurrezione e della vita del Signore Gesù ed un segno del Dio vivo» (12).
Alla luce di queste parole i Cavalieri e le Dame dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro – della Resurrezione! – dovranno trarre una speciale fierezza dalla loro appartenenza a questa santa Milizia.


Miles Christi
35. Nei giorni tumultuosi di secoli da molto tempo trascorsi, proclamarsi “miles Christi”, cioè soldato di Cristo, aveva una speciale attrattiva. I primi Cavalieri non esitavano a dare la propria vita per la difesa e la custodia del Santo Sepolcro in una testimonianza silenziosa ma eloquente del fatto fondamentale della nostra fede, la Resurrezione di Gesù Cristo Nostro Signore, e per proteggere la presenza della Chiesa e dei cristiani nella Terra Santa.
Il Cavaliere si impegnava ad una fedeltà generosa nel tener fede ai propri doveri di cristiano e all’assistenza temporale, per amore di Cristo Risorto, vincitore del peccato e della morte, a favore di coloro che professavano la fede cristiana in una terra devastata dalla guerra e cosparsa di lacrime.
Il Cavaliere e la Dama oggi debbono essere sempre “soldati di Cristo”, affrontando con la parola e con la testimonianza personale i molteplici problemi del mondo moderno. Essi non combattono per il possesso di una città in particolare ma per l’anima del mondo stesso. Il campo di battaglia è più ampio e coperto di molte più vittime innocenti bisognose del nostro aiuto di quanto il buon crociato potesse immaginarsi. Il coraggio e la perseveranza richiesta dalle lotte di oggi sorpassano di molto quella dei tempi passati.


L’impegno del Cavaliere e della Dama oggi
36. Oggi il senso di impegno che nasce dalla nostra fede battesimale ci spinge in primo luogo «alla riscoperta del battesimo come fondamento dell’esistenza cristiana» (13), ad essere testimoni espliciti della nostra fede, in una continua formazione attraverso «uno studio dettagliato del Catechismo della Chiesa Cattolica, per illuminare le (nostre) coscienze» e nel continuo progresso per una più approfondita conoscenza di Gesù Cristo e della sua Chiesa14. Questo è il modo di far sì che le parole degli Atti degli Apostoli divengano una realtà: «...sarete miei testimoni in Gerusalemme, attraverso la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8).
Le parole di Paolo VI sono ancora rilevanti: «L’uomo moderno fa più attenzione ai testimoni che ai maestri; e se ascolta i maestri, lo fa perché essi sono anche testimoni»15. Essere testimoni è la manifestazione esterna della loro adesione a Cristo, attraverso la fede, come pure una testimonianza di carità e di speranza al servizio dei nostri fratelli e sorelle.
Diceva Seneca: «longum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla» (a Lucillo, 6,5): «lunga è la strada dei precetti, breve ed efficace quella degli esempi».


Pellegrinaggi in Terra Santa
37. Un pellegrinaggio al Santo Sepolcro di Nostro Signore ed alla Terra Santa rappresenta un obbligo morale che ogni Cavaliere ed ogni Dama deve assolvere, con l’aiuto di Dio, almeno una volta nella propria vita. Il pellegrinaggio ci aiuta ad avere una migliore comprensione del significato delle nostre vite come “pellegrinaggio di fede” e a comprendere il loro fondamento nella Resurrezione del Signore; esso ci fa più ricettivi di una reciproca comprensione ecumenica e caritativa con i nostri fratelli e sorelle nella fede e ci ricorda che “la Via della Croce” è una via di vita e speranza. Il pellegrinaggio al Sepolcro di Nostro Signore ed agli altri Luoghi Santi è anche un atto di solidarietà con i nostri fratelli di Terra Santa. La nostra presenza fra loro è un incoraggiamento al popolo cristiano, una minoranza in quella terra che vive in mezzo a tanti problemi, pressioni e difficoltà.
La fede approfondita e la nuova esperienza compiuta sulla terra della Bibbia e sul popolo che vi abita offre ai pellegrini il modo di dare una particolare testimonianza a coloro con cui viviamo ed operiamo (vedere § 65).


Devozione alla Vergine Maria
38. La filiale devozione alla Beata Vergine Maria dovrà essere una caratteristica speciale di ogni membro dell’Ordine. Così come la fede di Maria, Madre di Gesù, illuminò il cammino percorso dai primi discepoli, così essa dovrà illuminare anche il cammino seguito da ogni membro dell’Ordine.
Maria «modello di fede vissuta (16) è la donna docile alla voce dello Spirito, donna del silenzio.... e della speranza»(17), soprattutto come figlia prediletta del Padre «Ella è l’esempio perfetto di amore sia verso Iddio sia verso il prossimo» (18).


Pace, ecumenismo e giustizia
39. Ogni membro dell’Ordine deve essere, nella società, un catalizzatore ed un fermento per promuovere la ricerca della pace e l’unione dei cristiani in Terra Santa, il suolo sacro che la Chiesa ha specialmente affidato all’Ordine. Questo è “il punto di vista ecumenico” richiesto da Papa Giovanni Paolo II nella preparazione al giubileo dell’Anno 2000 (19).
Questa preparazione richiede che ciascun membro dell’Ordine operi attivamente ed interessi la società, nel senso più vasto della parola, a difendere il diritto di ogni popolo a vivere in pace ed a difendere i diritti della Chiesa, come messaggero di pace e di giustizia tra i popoli.
Il Cavaliere e la Dama del Santo Sepolcro rimane per sempre il “miles Christi” impegnato costantemente nella lotta per dare forma al mondo moderno e collaborare al continuo lavoro divino della creazione.

 

La spiritualità dell’Ordine - Mezzi e risorse
40. La ricerca di spiritualità da parte dei Membri dell’Ordine ha il suo fondamento nella dottrina della Chiesa, nelle norme dello Statuto e nelle direttive del Gran Maestro; essa mira ad approfondire la vita religiosa del Cavaliere e della Dama attraverso programmi e iniziative dei Luogotenenti e mediante l’azione costante dei responsabili locali, laici ed ecclesiastici, che sono ad essi più vicini.

 

 


1.4. Appartenenza all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme


I. SELEZIONE DEI CANDIDATI


Responsabilità del Luogotenente
41. La responsabilità per la selezione dei candidati spetta primariamente ai Luogotenenti; essa viene esercitata in stretta collaborazione con i Gran Priori, con i membri del Consiglio di Luogotenenza e con i responsabili locali, laici ed ecclesiastici.
I Luogotenenti non devono limitarsi ad accertare i requisiti dei postulanti, ma si adopereranno per avvicinare le persone che, nel territorio della Luogotenenza, posseggano i requisiti morali, religiosi e professionali per entrare a far parte dell’Ordine.


Requisiti dei candidati
42. La personalità del futuro membro dell’Ordine, sia esso Cavaliere o Dama, dovrà essere caratterizzata non solo da una vita specchiata ma anche da una sua visibile testimonianza di impegno laico cristiano nelle attività della chiesa locale, a livello diocesano o parrocchiale, e nelle opere di solidarietà e di volontariato (vedi anche Cap. II, Sez. III A).
L’ammissione all’Ordine non dovrà essere subordinata alle attese di possibili donazioni che il candidato potrebbe fare; vi sono infatti potenziali membri dell’Ordine che, per la loro modesta condizione sociale, potrebbero partecipare solo limitatamente alle attività caritative della Luogotenenza, ma sarebbero in grado di dare molto in opere di sostegno alle attività delle Sezioni e Delegazioni locali.
Nessuno dovrebbe proporsi o essere proposto quale candidato solamente in quanto consorte, congiunto o stretto amico di altro membro, ma per la sua sincera aspirazione ad entrare nell’Ordine.
Ai candidati sarà richiesto di formulare per iscritto il loro desiderio di entrare nell’Ordine e la loro disponibilità ad accettare tutti gli impegni e le obbligazioni che la qualità di membro comporta.

 

Presenza nell’Ordine di Signore e di giovani
43. L’avvenire e lo sviluppo dell’Ordine esige una presenza diversificata di Cavalieri e di Dame che rispondano alle condizioni richieste per farne parte. L’Ordine pertanto non dovrebbe essere limitato agli anziani o alle persone che abbiano concluso la loro attività professionale. Esso ha bisogno di giovani e di Signore in grado di animarne le attività e di offrire all’Ordine quel sostegno, sia finanziario, sia di altra natura che esso richiede.
Pur apprezzando lo sviluppo, recentemente prodottosi nell’Ordine, per cui le Dame hanno ormai accesso a tutti gli incarichi destinati ai laici, appare necessario che venga analizzato se vi sia un ruolo specifico che le Dame e i giovani potrebbero svolgere nella vita dell’Ordine.

 


II. FORMAZIONE DEI CANDIDATI


Il periodo di preparazione
44. Tutti i Candidati all’Ordine dovranno compiere un periodo di formazione ed essere seguiti da un Cavaliere o da una Dama, possibilmente con l’assistenza di un ecclesiastico. Essi devono cominciare con la partecipazione ai diversi eventi organizzati dalla Luogotenenza, in modo da approfondire la loro conoscenza dell’Ordine e delle finalità che esso si prefigge, giungendo così all’investitura con la consapevolezza di ciò che significa essere Cavaliere o Dama del Santo Sepolcro e di quella che è la sua posizione nella Chiesa e nella società odierna.


Contenuto e scopo della preparazione dei candidati
45. La preparazione non dovrà limitarsi alla partecipazione ad attività religiose, ma dovrà iniziare il candidato alla conoscenza degli ideali di spiritualità che sono propri dell’Ordine, nonché del suo funzionamento. Tale preparazione permetterà ai candidati, prima della loro decisione definitiva di entrare nell’Ordine, di conseguire una piena consapevolezza degli impegni che essi dovranno assumersi e della propria volontà di conformarvisi. A tal fine, potrebbero essere proposti all’attenzione del candidato temi di studio come “La Chiesa ed i Luoghi Santi”, “Il Patriarcato Latino di Gerusalemme”, “Il pellegrinaggio in Terra Santa ed il suo significato spirituale” e “l’Ordine del Santo Sepolcro nella storia ed oggi”, “la situazione attuale socio-economica e politica in Terra Santa”, “Gerusalemme e la sua importanza per i cristiani”, ed altri della stessa natura, come “le
religioni in Terra Santa”.

 

 

III. CERIMONIE DI INVESTITURA DELL’ORDINE


Liturgia e simboli
46. La liturgia cristiana comprende simboli e segni che possono essere studiati nel loro aspetto sociologico, ma che possono pienamente essere compresi soltanto attraverso la fede e l’appartenenza alla Chiesa. Come ha insegnato il Concilio Vaticano II: «nella liturgia Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il suo Vangelo; il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e la preghiera»(20).
47. Simboli e segni sono necessari; senza di essi riti e cerimonie potrebbero perdere parte del loro significato più profondo. Simboli e segni debbono essere chiari, comprensibili, portatori di un messaggio spirituale che rinforza, per coloro che li percepiscono, l’impegno ad una vita cristiana. La Chiesa con le riforme introdotte nella sua liturgia negli ultimi decenni, offre all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme un modo di procedere ed un modello per aggiornare e riformare i suoi rituali e le sue cerimonie.


Simboli evocativi usati dall’Ordine
48. L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, con l’approvazione della Chiesa, ha i propri riti e cerimonie, i quali sono espressione delle sue specifiche caratteristiche e della sua missione nell’ambito del Corpo mistico di Cristo, la Chiesa. Il Sepolcro di Cristo è il grande simbolo di questa speciale associazione di fedeli cristiani dedicata a svolgere la sua missione ed a raggiungere le finalità che le sono state affidate dalla Chiesa.
Tra gli altri simboli cari all’Ordine e ad esso caratteristici vi è la Croce potenziata o Croce di Gerusalemme che costituisce la sua bandiera e il suo emblema. Il suo colore rosso sangue richiama l’amore di Cristo nostro Redentore (Gv 15,13) il Suo Sangue sparso per noi, la Sua morte e resurrezione.
Il mantello capitolare, o abito da chiesa, rappresenta il vestito dei salvati ed il mantello di giustizia (Is 61, 10), testimonianza della nostra unione, ad opera della grazia, con Cristo, l’Agnello Immacolato. La partecipazione dei membri dell’Ordine agli atti di culto pubblico nella Chiesa, in quanto comunità speciale di fedeli nel quadro del popolo di Dio, e l’abbraccio di pace con cui i nuovi membri vengono accolti e ricevuti nell’Ordine, anche questi sono segni nobili ed evocativi di grande importanza.

 

Comprensione dei simboli dell’Ordine
49. Vi sono simboli usati dall’Ordine nel corso della sua storia i quali, con il passaggio del tempo e con i cambiamenti verificatisi nella cultura e nelle abitudini sociali, hanno perso parte dell’importante simbolismo e del significato del loro messaggio. Anzi, in molte culture moderne, alcuni di questi simboli sono interpretati nel senso opposto del loro originale significato.
Quello che dice il Concilio Vaticano sulla Liturgia della Chiesa può qui molto bene applicarsi: «La liturgia consta di una parte immutabile, perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o addirittura devono variare qualora si siano introdotti in esse elementi meno rispondenti alla intima natura della liturgia stessa, oppure queste parti siano diventate non più idonee»(21).
50. Uno dei più importanti simboli usati nelle Cerimonie di Investitura è la spada talora chiamata la spada di Goffredo. Originariamente questo simbolo ricordava le origini dell’Ordine associate alla liberazione della Terra Santa da parte dei crociati e alla protezione di cristiani e pellegrini. Nella società moderna, che sempre meno apprezza simboli legati a strumenti di guerra e che è motivata piuttosto dalla ricerca di pace e giustizia, specialmente nella Terra Santa, è necessario sottolineare il simbolismo spirituale della spada.
S. Paolo ci dice che dobbiamo armarci per la battaglia contro il male: «prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove; state dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia ed avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede con il quale potete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche quello della salvezza e la spada dello spirito, cioè la parola di Dio» (Ef 6, 13-17).
La spada è anche un simbolo adatto di quell’importante ideale dell’antica cavalleria che è anche oggi parte della missione del cavaliere e del Santo Sepolcro: difendere i deboli e gli indifesi; esso evoca un altro importante aspetto della spiritualità e della vita del moderno Cavaliere o Dama e cioè la lotta coraggiosa per la giustizia e per la pace.
51. Un altro elemento delle cerimonie dell’Ordine che – per evidenti motivi – ha perso molto del suo significato originale è la presentazione degli speroni. Converrebbe quindi che, volendola mantenere, a questo momento della cerimonia venisse dato un significato più ampio e spirituale. Indica, infatti, la sollecitudine che bisogna avere nelle cose di Dio, spronando se stessi e gli altri al bene e alla carità, come dice S. Paolo «calzando ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace» (Ef 6, 15).


Riesame delle cerimonie e dei simboli dell’Ordine
52. Nelle cerimonie dell’Ordine, specialmente al momento dell’investitura, dovrebbe essere dato maggiore spazio all’emblema dell’Ordine (le 5 Croci di Gerusalemme). La consegna della Croce dovrebbe essere il primo atto simbolico delle cerimonie di investitura e precedere l’imposizione della spada; la Croce è un simbolo più evocativo e più ricco di significato. La spada e gli speroni sono i simboli dell’Ordine equestre. Come il Cavaliere di altri tempi che, avendo deciso di partecipare alla crociata per liberare la Terra Santa, era investito con la croce come simbolo del suo impegno, colui che è ammesso nell’Ordine riceve la croce come simbolo del fatto che egli diventa, in seno alla Chiesa, portatore di speciali responsabilità nei confronti della Terra Santa.
53. Ugualmente importante è la presentazione dei Vangeli che sono il vero codice di un Cavaliere di Cristo. Essa è anche un ricordo del permanente impegno evangelico assunto da colui che entra nell’Ordine, ma non bisogna dimenticare che già la Croce è il Vangelo, come dice S.Paolo (1a Cor 22-25).
54. Occorre anche prestare attenzione all’ultimo atto della preparazione per l’ammissione nell’Ordine il quale potrebbe essere anche chiamato “veglia di preghiera” piuttosto che una “vigilia d’armi” o altro termine analogo usato nel passato.
Essa normalmente dovrà essere celebrata la sera prima della cerimonia di Investitura. Dovrà consistere in una liturgia della Parola, con appropriate preghiere, letture ed omelia. Durante la Veglia saranno benedetti i mantelli e le insegne degli investendi. In ogni caso sarebbe auspicabile una migliore armonizzazione fra le Luogotenenze delle cerimonie della “veglia”. Il carattere della Veglia dovrebbe anche simbolizzare la preparazione immediata del candidato per un impegno di vita nel servizio dell’Ordine.
55. Per quanto riguarda i testi liturgici delle cerimonie e delle celebrazioni dell’Ordine, essi dovranno essere arricchiti con insegnamenti biblici e dottrinali sotto forma di esortazioni e di preghiere, che, oltre al messaggio spirituale che esse contengono, possano costituire un piccolo manuale nel quale i Cavalieri e le Dame trovino argomenti di riflessione, incoraggiamenti e nuovi stimoli per svolgere la missione alla quale essi si sono impegnati davanti a tutta la Chiesa.
56. Il simbolismo del diverso colore del mantello dei Cavalieri e di duello delle Dame non è ben compreso da alcuni membri ed è spesso contestato da parte di potenziali candidati all’Ordine.

57. Una Commissione “ad hoc” potrebbe studiare il modo di formalizzare le idee e i suggerimenti sopraindicati e, dopo consultazione con le Luogotenenze ed i rispettivi Gran Priori, presentare proposte concrete al Gran Magistero.

 


IV. FORMAZIONE PERMANENTE DEI MEMBRI


Responsabilità dei Luogotenenti e dei Gran Priori
58. I Luogotenenti e i Gran Priori – ciascuno nell’ambito delle rispettive funzioni – dovranno curare la formazione permanente dei Cavalieri e delle Dame.


Argomenti significativi per la formazione permanente
59. In un quadro che riguarda sia l’impegno di apostolato, sia la formazione permanente dei Membri dell’Ordine per una maggiore consapevolezza della loro presenza nella vita della Chiesa, le Luogotenenze stesse come pure le Sezioni e le Delegazioni, in ogni caso con l’assistenza di ecclesiastici, dovranno farsi promotrici di iniziative atte ad intensificare tale formazione per mezzo di incontri, conferenze sull’approfondimento della vita cristiana, sulla conoscenza delle Sacre Scritture, sul mistero della Resurrezione del Signore, sugli insegnamenti del Magistero della Chiesa, soprattutto le encicliche papali ed altri documenti recenti nonché la spiritualità e la storia dell’Ordine.
Le Luogotenenze inoltre dovranno promuovere attività di natura etica, culturale e religiosa atte ad alimentare il dibattito ed illuminare l’opinione pubblica su problemi etici e sociali, quali quelli indicati nella Sez. II del Cap. II.
Schemi per le materie di approfondimento e di discussione dovranno essere preparati da esperti qualificati e distribuiti alle Luogotenenze. Gli “Annales dell’Ordine” ed i Bollettini delle Luogotenenze potranno anche essere utilizzati come mezzi di formazione permanente.

 

 


1.5. Le luogotenenze al servizio dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme


L’IMPORTANZA DEL RUOLO DELLE LUOGOTENENZE


60. L’attività delle Luogotenenze è essenziale nel quadro generale della vita dell’Ordine del Santo Sepolcro e del perseguimento degli ideali e delle finalità che esso si propone

 

 

I. LE LUOGOTENENZE ED IL GRAN MAGISTERO
61. La vita dell’Ordine si realizza nella Luogotenenza. La Luogotenenza è il luogo dove i futuri membri sono reclutati e formati, dove la spiritualità dell’Ordine è sostenuta, dove l’Ordine si rinnova nella fraternità e nella carità che lega assieme i membri della Luogotenenza stessa, dove la testimonianza dei membri dell’Ordine appare in tutta la sua luce nella società nella quale essi vivono. Le Luogotenenze godono necessariamente di un alto livello di autonomia tenendo conto specialmente delle diverse realtà sociali ed economiche in cui esse operano. Principio questo riconosciuto dallo stesso Statuto dell’Ordine(22).
Le Luogotenenze, beninteso, sono e rimangono una parte subordinata di una più larga realtà che è l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
L’Ordine, esteso in tutto il mondo, costituisce un corpo solo guidato da una autorità centrale, il Gran Maestro, nominato dal Santo Padre ed assistito dal Gran Magistero. È dovere e responsabilità del Gran Magistero adottare provvedimenti ed emanare direttive applicabili a tutte le Luogotenenze allo scopo di assicurare l’unità di intenti e di azione dell’Ordine. Nello stesso tempo è dovere e responsabilità delle Luogotenenze cooperare e reagire positivamente a questi provvedimenti e direttive intesi a garantire l’unità dell’Ordine.


II. RESPONSABILITÀ DELLE LUOGOTENENZE
62. A ciascun Luogotenente, assistito dal Gran Priore e dai Membri del Consiglio di Luogotenenza, dai Delegati e Priori locali, incombe una serie di responsabilità per la vita della Luogotenenza, oltre quelle che riguardano la selezione dei nuovi membri (Cap. III, Sez. I e II), la formazione continua (§§ 58-59) e quelle legate all’attività caritativa verso la Terra Santa.
Ogni Luogotenente è responsabile per:
a) la crescita morale della Luogotenenza ad esso affidata; questa responsabilità ha carattere primario ed è premessa indispensabile ad ogni altra attività di ordine caritativo, organizzativo o assistenziale;
b) la promozione di una migliore conoscenza dell’Ordine nella società in cui la Luogotenenza opera;
c) l’instaurazione o, nella maggior parte dei casi, il rafforzamento dei rapporti fra la Luogotenenza e il Vescovo locale, assicurando la partecipazione dei Cavalieri e delle Dame alle iniziative di apostolato e caritativo nell’ambito diocesano. In ogni caso, offrendo al Vescovo locale la loro disponibilità al servizio della Chiesa;
d) la crescita della Luogotenenza anche sotto l’aspetto quantitativo, riesaminando criticamente i propri metodi di reclutamento ed i criteri di selezione.


Assicurare una adeguata direzione della Luogotenenza
63. Il Luogotenente dovrà preparare i propri Confratelli ad assumere impegni specifici per il funzionamento della Luogotenenza ed assicurare un regolare avvicendamento dei Cavalieri e delle Dame in seno al Consiglio e nelle cariche previste dagli art. 42 e 44 dello Statuto. Avvicinandosi il termine del suo mandato, egli dovrà anche essere in grado, di intesa con il Gran Priore, di suggerire al Gran Maestro il nome di eventuali Candidati capaci e disposti a sostituirlo.


Sostenere la partecipazione attiva dei membri
64. Il Luogotenente dovrà promuovere la regolare revisione delle liste dei Cavalieri e delle Dame della Luogotenenza onde accertare le reali intenzioni di coloro che diano l’impressione, con il passare degli anni, di aver perso l’interesse per gli ideali e le attività dell’Ordine.
Questa revisione, che dovrà essere condotta secondo procedure raccomandate dal Gran Magistero, ed in ogni caso ispirate a criteri di discrezione e di cristiana carità, potrà concludersi, secondo i casi, con una formale esclusione dalle liste dell’Ordine (secondo le procedura dell’art. 51 dello Statuto) o, più semplicemente, interrompendo ogni comunicazione con essi.


Organizzazione dei pellegrinaggi in Terra Santa
65. Il Luogotenente, sia personalmente sia attraverso un coordinatore di pellegrinaggi da lui nominato, dovrà assicurare la corretta pianificazione, promozione, organizzazione e svolgimento di pellegrinaggi della Luogotenenza in Terra Santa.
Il pellegrinaggio oltre le visite al Santo Sepolcro ed altri Luoghi Santi ed al Patriarcato, dovrebbe prevedere il tempo necessario per contatti con la Chiesa locale, per es. una visita ad una parrocchia, una partecipazione ad una Messa domenicale seguita da un incontro con il parroco ed i parrocchiani, una visita all’Università di Bethlemme con incontri con i docenti e gli studenti. Piccoli gruppi di pellegrini potrebbero visitare case di famiglie cristiane in una parrocchia o in una zona determinata. È opportuno che l’assistenza ed il consiglio del Patriarcato venga a tal fine richiesto.

Il Luogotenente dovrebbe servirsi di un’agenzia di viaggi e di guide consapevoli che il viaggio in Terra Santa è un pellegrinaggio e non un evento turistico e che siano in grado di assicurare i contatti con la Chiesa locale come più sopra suggerito.

 


III. VISITE ALLA SEDE DELL’ORDINE

66. Ogni 4 anni sarebbe bene che, avendone l’opportunità, ciascun Luogotenente facesse una visita alla sede dell’Ordine per presentare al Gran Maestro un rapporto completo sullo stato della sua Luogotenenza e sullo svolgimento dei compiti che gli sono affidati.


Incontri regionali
67. Sono auspicabili incontri regionali fra Luogotenenti. Il Gran Magistero dovrà esserne informato in anticipo ed invitato a farvisi rappresentare.

 

 


1.6. Il Gran Magistero al servizio dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme


I. GUIDA E COORDINAMENTO DELLE ATTIVITÀ DELL’ORDINE


Il ruolo centrale del Gran Magistero
68. Nell’assistere i Luogotenenti a far fronte alle responsabilità di natura spirituale, materiale, caritativa ed amministrativa, il Gran Magistero svolge un ruolo di guida e di coordinamento.
A tal fine «il Gran Magistero in conformità alle direttive impartite dal Cardinale Gran Maestro, .... predispone e programma l’attività dell’Ordine in Terra Santa» e «orienta e coordina le attività delle organizzazioni nazionali (Luogotenenze)»(23).
L’attività del Gran Magistero, in applicazione del citato articolo dello Statuto, è continuamente oggetto di affinamenti e ritocchi; essa si svolge nelle sue due sessioni annuali attraverso un costante dialogo con le Luogotenenze, come pure, nel quadro delle riunioni informali a livello regionale e attraverso la corrispondenza ed i contatti di lavoro.

Il Gran Magistero tiene informate le Luogotenenze sulle sue decisioni più importanti di interesse generale, sullo stato di avanzamento dei progetti adottati o finanziati dall’Ordine e sugli aspetti finanziari della sua amministrazione.


Equità contributiva fra i membri
69. Il Gran Magistero prende le disposizioni necessarie affinché venga assicurata l’equità contributiva fra i membri dell’Ordine, tenendo conto delle diverse situazioni sociali, politiche ed economiche dei paesi in cui operano le singole Luogotenenze.


Consistenza comparativa degli effettivi delle Luogotenenze
70. Il Gran Magistero dovrà vegliare con grande attenzione al problema della consistenza degli effettivi dei Cavalieri o delle Dame. Esistono difatti fra le varie Luogotenenze operanti in paesi di misura, di cultura e di sviluppo comparabili, notevoli differenze per quanto attiene alla proporzione fra membri dell’Ordine e l’insieme della popolazione cattolica.
Il Gran Magistero dovrà approfondire le cause di questo fenomeno (dovuto forse ad una diversa interpretazione dei criteri di ammissione, ad una minore visibilità della presenza dell’Ordine nel territorio, o al fatto che alcune Luogotenenze sono state istituite di recente) e adottare nuove procedure e criteri, onde evitare che esso si perpetui.
Restano ferme, come è evidente, le direttive fissate dallo Statuto per l’ammissione di nuovi membri e le raccomandazioni formulate dalla Consulta in questa materia.


La creazione di nuove Luogotenenze o Delegazioni Magistrali
71. II Gran Magistero deve continuare ad esplorare la possibilità che l’Ordine sia introdotto nei Paesi in cui esso non è ancora presente.


Suddivisione territoriale delle Luogotenenze
72. Il Gran Magistero ha la responsabilità di esaminare, in consultazione con le Luogotenenze interessate, le articolazioni territoriali delle Luogotenenze stesse e l’efficacia della loro effettiva presenza in tutte le parti del paese che rientrano nella propria giurisdizione. A questo scopo il Gran Magistero, in taluni casi, si dovrà pronunziare sulla opportunità che, nel Paese in questione, vengano create altre Luogotenenze suddividendo quelle già esistenti.

 

Durata dell’incarico di Luogotenente
73. Il Gran Magistero dovrà stabilire una prassi secondo cui l’incarico di Luogotenente e degli altri Responsabili delle Luogotenenze sia normalmente limitato a due mandati (8 anni); ciò allo scopo di permettere un più rapido avvicendamento e l’apporto di energie nuove ai vertici delle Luogotenenze.

 


II. COORDINAMENTO DELLE ATTIVITÀ CARITATIVE DELL’ORDINE


Bilanci di previsione
74. Ogni Luogotenenza dovrà presentare al Gran Magistero, entro la fine di gennaio di ogni anno, un bilancio di previsione dell’ammontare delle donazioni che essa ritiene di poter mettere a disposizione dell’Ordine nell’anno in corso.
Tale documento, munito delle date in cui gli invii saranno presumibilmente effettuati, consentirà al Gran Magistero di valutare più accuratamente la natura e la consistenza economica dei propri interventi in Terra Santa.


Rapporti annuali
75. Lo Statuto dell’Ordine prevede che le Luogotenenze e le Delegazioni Magistrali presentino al Cardinale Gran Maestro ed al Gran Magistero una relazione annuale che includa un dettagliato rapporto della loro gestione finanziaria ed amministrativa (24).
Si raccomanda una formulazione standardizzata del rapporto annuale, da cui risulti l’ammontare delle somme raccolte per conto dell’Ordine e la loro destinazione: spese di amministrazione e segretariato, e risorse inviate al Gran Magistero secondo le varie rubriche (Spese Istituzionali, Progetti, Messe, Spese mediche e altre).
Le Luogotenenze promotrici di iniziative e progetti non sottoposti all’esame del Gran Magistero, dovranno, in particolare, riferire sull’oggetto dell’intervento, sulle finalità del progetto e dell’Istituzione assistita, sul contesto socio-economico dell’intervento e sulla natura della fonte delle risorse utilizzate.


Disposizioni per l’impegno ottimale delle risorse inviate in Terra Santa
76. Le segnalazioni provenienti dai membri del Gran Magistero e dalle Luogotenenze hanno messo in rilievo l’importanza che viene attribuita ad una efficace utilizzazione delle risorse economiche che vengono trasferite ogni anno in Terra Santa.

Le Luogotenenze in particolare si preoccupano: da una parte della possibilità di sprechi e di inefficienza nella gestione dei progetti. Dall’altra, della necessità di essere in grado di convincere i propri aderenti che i loro sacrifici, grandi o piccoli che siano, raggiungono lo scopo per cui essi vengono compiuti e chiedere ad essi di essere sempre più generosi.
77. Il Gran Magistero dovrebbe potenziare la Commissione per la Terra Santa, dando ad essa l’incarico di seguire con particolare cura la realizzazione (in tutti gli aspetti tecnici, finanziari e logistici), dei progetti approvati dal Gran Magistero.
A tal fine il Gran Magistero dovrebbe meglio definire i termini di mandato della Commissione, riesaminarne, se necessario, la composizione ed includervi personale specializzato dotato di adeguata esperienza in materia.
Dovrebbe inoltre stanziare i fondi necessari destinati a coprire le spese di viaggio e di soggiorno in Terra Santa del personale specializzato in questione.


Raccolta ed organizzazione delle informazioni
78. Il Gran Magistero, in consultazione con la Commissione per la Terra Santa e con il Patriarca Latino di Gerusalemme, dovrebbe raccogliere maggiori informazioni sulla struttura del bilancio patriarcale, dando più grande visibilità al mantenimento del clero ed effettuando la separazione contabile delle somme destinate al finanziamento delle scuole, in modo che il contributo dell’Ordine venga maggiormente destinato alla concessione di borse di studio a favore di studenti bisognosi.
È emersa pertanto la necessità di creare una Commissione per le scuole. Questo organismo dovrebbe studiare tutti gli aspetti dei problemi e fornire avvisi sia al Gran Magistero che al Patriarcato.


Riesame e riorganizzazione delle attività caritative dell’Ordine
79. Una preoccupazione espressa in maniera ricorrente dalle Luogotenenze, e discussa in seno al Gran Magistero, pone la domanda se per suscitare una sempre maggiore generosità da parte dei Cavalieri e delle Dame non sarebbe possibile ed opportuno contenere le risorse annualmente destinate alle cosiddette “Spese Istituzionali” del Patriarcato, diversificando i settori di intervento dell’Ordine.
Ci si chiede anche se, allo scopo di rallentare il fenomeno dell’emigrazione della popolazione cristiana, non converrebbe diminuire gli investimenti immobiliari, favorendo iniziative “sociali” quali aiuti per la formazione professionale, prestiti per alloggi a giovani coppie o per l’inizio di attività commerciali e lavorative.

Poiché la questione merita un esame approfondito che tenga anche conto dei recenti sviluppi della situazione socio politica in Terra Santa, il Gran Magistero dovrebbe costituire uno “Standing Committee” che si riunisca almeno due volte l’anno e che riferisca al Gran Magistero stesso nella sua sessione primaverile.


Progetti ed iniziative noti sottoposti al Gran Magistero
80. Alcune Luogotenenze promuovono iniziative diverse da quelle oggetto di decisioni del Gran Magistero. Esse vengono finanziate con risorse attinte anche a fonti esterne (organizzazioni non governative, benefattori non membri dell’Ordine) e vengono destinate, nella maggior parte dei casi a opere e istituzioni religiose non dipendenti dal Patriarcato.
Tuttavia tali iniziative, di per sé comprensibili, si svolgono talora senza alcuna consultazione con il Gran Magistero e senza nessuna valutazione globale della priorità e della efficacia degli interventi compiuti. Il che si traduce in una inevitabile dispersione delle iniziative ed in un ridotto tasso di efficienza delle stesse.
81. Per evitare gli effetti negativi che derivano da tale situazione e per assistere le Luogotenenze, la Commissione per la Terra Santa – che ha continui contatti con le quotidiane realtà della presenza cristiana in Terra Santa e ne conosce i problemi e le necessità – dovrebbe presentare regolarmente al Gran Magistero una lista documentata di “piccoli progetti” di cui essa stessa dovrebbe garantire la validità ed indicare l’urgenza.
Tali progetti sarebbero quindi proposti alle Luogotenenze per interventi diretti in Terra Santa nei casi in cui non fosse possibile od opportuno passare attraverso il tramite decisionale del Gran Magistero.
In ogni caso questi “progetti raccomandati” dovrebbero restare di piccole dimensioni e rappresentare una percentuale minore dei contributi annuali raccolti dalle Luogotenenze.

 


III. ALLARGAMENTO DELLA ATTIVITÀ CARITATIVA IN TERRA SANTA


Collaborazione con altre Organizzazioni
82. Oltre all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, numerose sono le Istituzioni, Enti, Agenzie, Fondazioni che assistono in maniera regolare ed in molti casi sostanziale le Istituzioni Cattoliche in Terra Santa. Tuttavia, lo scambio di informazioni fra i predetti Enti ed Istituzioni è assai limitato, per quanto riguarda la scelta delle Istituzioni, delle iniziative da sostenere e dei progetti da finanziare.

Sebbene le varie Agenzie hanno bisogno di mantenere la loro libertà d’azione, altrettanto necessario è un coordinamento, o almeno, una consultazione su più larga scala.
83. Allo scopo di consentire un più ampio scambio di informazioni e di esperienze, di migliorare la consultazione e la cooperazione, di evitare la duplicazione degli sforzi, il Gran Magistero dovrebbe raccomandare alla Congregazione per le Chiese Orientali che venga costituito un Comitato ad hoc per la Terra Santa in seno alla ROACO, la riunione semiannuale delle Agenzie che forniscono aiuti alle Chiese Orientali. Questo Comitato si potrebbe riunire prima o dopo ciascuna sessione della ROACO e i suoi membri includerebbero le Organizzazioni e le Agenzie che sono specialmente attive in Terra Santa.
Una partecipazione attiva dell’Ordine al Comitato avrebbe, fra l’altro, il vantaggio di avviare i contatti con le Comunità cattoliche di rito diverso da quello latino presenti in Terra Santa, aprendo così la via ad una auspicabile espansione ad esse delle attività caritative dell’Ordine.

 


IV. ESPANSIONE DELLE ATTIVITÀ CARITATIVE DELL’ORDINE


84. Ancorché lo Statuto dell’Ordine affermi che esso ha lo scopo «...di sostenere ed aiutare le opere e le istituzioni cultuali, caritative, culturali e sociali della Chiesa cattolica in Terra Santa, particolarmente quelle nel Patriarcato Latino di Gerusalemme...»(25), attualmente il Gran Magistero concentra le sue attività e le sue risorse quasi esclusivamente su iniziative in appoggio del clero e dei fedeli del Patriarcato Latino.
Molte Luogotenenze dell’Ordine, tuttavia, seguono già la pratica di assistere le Istituzioni Cattoliche che non rientrano nella giurisdizione del Patriarcato Latino prendendo iniziative per finanziare progetti e programmi da esse promosse.
85. Lo Statuto include anche fra gli scopi dell’Ordine... «quello di zelare la conservazione e la propagazione della fede in quelle terre (la Terra Santa), interessandovi i cattolici sparsi in tutto il mondo... nonché tutti i fratelli cristiani...»(26).
Questa disposizione dà appoggio all’idea che l’Ordine operi in uno spirito ecumenico e partecipi a progetti a favore di Chiese non cattoliche in Terra Santa disposte a cooperare con esso, come parte della sua missione destinata a sostenere la presenza cristiana in Terra Santa. Questa idea trova riscontro nell’esortazione indirizzata ai membri dell’Ordine da Stia Santità il Papa Giovanni Paolo Il nella udienza concessa al termine della Consulta il 17 ottobre 1998. 86. L’estensione dell’attività caritativa dell’Ordine a chiese cattoliche diverse da quella latina ed anche ad altre chiese e comunità cristiane presuppone che l’Ordine mantenga inalterati i suoi attuali impegni ed il suo appoggio al Patriarcato Latino di Gerusalemme.
L’estensione delle attività caritative dell’Ordine dovrebbe svolgersi gradualmente e prudentemente; essa potrebbe prendere la forma di appoggio a specifici progetti piuttosto che di un invito a presentare richieste di finanziamenti.
Non dovrebbe far sorgere aspettative impossibili a mantenere o dar l’impressione che l’Ordine miri a stabilire rapporti preferenziali con gli uni piuttosto che con gli altri.
Ogni azione a favore delle comunità cristiane non cattoliche deve essere coordinata dal Gran Magistero, d’intesa con il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e con le altre autorità ecclesiastiche competenti, affinché non avvenga che l’Ordine, senza volerlo, interferisca nei contatti ecumenici in corso.


Collaborazione ecumenica nelle attività caritative dell’Ordine
87. Le singole Luogotenenze potrebbero sollecitare la collaborazione di altre Chiese attive nel territorio di loro giurisdizione, per appoggiare iniziative ecumeniche in Terra Santa. Contatti e rapporti con altre Chiese e comunità cristiane dovrebbero farsi in pieno accordo e coordinamento con il Vescovo locale o il suo delegato per le questioni ecumeniche. Detti contatti e rapporti dovrebbero stabilirsi in primo luogo con quelle chiese cristiane che hanno una larga presenza nel territorio della Luogotenenza.
88. I Luogotenenti dovrebbero incoraggiare i membri dell’Ordine ad essere attivi in iniziative ecumeniche nell’ambito delle rispettive diocesi prendendo parte a corsi, conferenze ed incontri di preghiere. Ciò al duplice scopo di promuovere fra le Dame e i Cavalieri una migliore consapevolezza delle altre chiese e confessioni cristiane e di creare relazioni amichevoli con i rappresentanti di altre chiese cristiane suscettibili di cooperare in future iniziative.
89. Il Gran Magistero dovrebbe affidare ad una Commissione permanente l’incarico di studiare possibili attività dell’Ordine nel campo dell’ecumenismo.

 

 

1.7. Guardando alla gloria della resurrezione


Il punto di riferimento spirituale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è il Santo Sepolcro, il luogo cioè dove il mistero della Resurrezione del signore Gesù è particolarmente celebrato, quella Resurrezione che è la pietra centrale della fede dei cattolici e di tutti i cristiani.
La speranza e la preghiera del Signore: «che tutti siano uno» deve guidare la carità e l’opera dell’Ordine nella Terra Santa e dovunque nel mondo. Lo sviluppo di rapporti ecumenici con altre Chiese e Comunità cristiane deve essere una priorità di azione.
Al di sopra di tutto ciò l’attività dell’Ordine e di ciascuno dei suoi membri deve ispirarsi all’amore, «perché in questo modo tutti sapranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13-35).

 

 


Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II ai partecipanti al Giubileo dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme

 

2 marzo 2000


1. Con grande gioia vi accolgo, cari Cavalieri, Dame ed Ecclesiastici che rappresentate il benemerito Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Voi siete convenuti a Roma dai Cinque Continenti per celebrare il vostro Giubileo. A tutti va il mio saluto cordiale!
Ringrazio con fraterno affetto il Signor Cardinale Carlo Furno, che si è fatto interprete dei comuni sentimenti. Nelle sue parole ho colto il vostro desiderio di rispondere adeguatamente allo specifico servizio alla Terra Santa, che è proprio dell’Ordine. Si tratta di un’importante missione: grazie al vostro generoso impegno spirituale e caritativo in favore dei Luoghi Santi e del Patriarcato Latino di Gerusalemme s’è potuto fare molto per la valorizzazione del prezioso patrimonio di testimonianze storiche che si conservano in Terra Santa. Ad esse guarda con rinnovato interesse l’odierna società, tecnologicamente evoluta, ma bisognosa come non mai di valori e di richiami spirituali.
2. Il vostro Ordine Equestre, nato alcuni secoli fa quale “Guardia d’onore” per la custodia del Santo Sepolcro di Nostro Signore, ha goduto d’una singolare attenzione da parte dei Romani Pontefici. Fu il Papa Pio IX, di venerata memoria, che nel 1847 lo ricostituì, per favorire il ricomporsi di una Comunità di fede cattolica in Terra Santa. Questo grande Papa restituì al vostro Ordine la sua funzione primitiva, ma con una significativa differenza: la custodia della Tomba di Cristo non sarebbe più stata affidata alla forza delle armi, ma al valore di una costante testimonianza di fede e di solidarietà verso i cristiani residenti nei Luoghi Santi.
È questo ancor oggi il vostro compito, carissimi Cavalieri e Dame del Santo Sepolcro di Gerusalemme. La celebrazione del Giubileo vi aiuti a crescere nella pratica assidua della fede, nell’esemplare condotta morale e nella generosa collaborazione alle attività ecclesiali a livello sia parrocchiale che diocesano. L’Anno Santo, che è tempo di personale e comunitaria conversione, veda ciascuno di voi intento a sviluppare ed approfondire le tre virtù caratteristiche dell’Ordine: «zelo alla rinuncia in mezzo a questa società dell’abbondanza, generoso impegno per i deboli e i non protetti e lotta coraggiosa per la giustizia e la pace» (Direttive per il rinnovamento dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme in vista del Terzo Millennio, n. 18).
3. Un vincolo antico e glorioso lega il vostro Sodalizio cavalleresco al luogo del Sepolcro di Cristo, dove viene celebrata in maniera tutta particolare la gloria della Risurrezione. È proprio questo il fulcro centrale della vostra spiritualità. Per rinnovare tale millenario vincolo e rendere sempre più viva ed eloquente questa vostra testimonianza evangelica, voi avete provveduto ad elaborare nuove direttive per la vostra attività, nel quadro dello Statuto del vostro Ordine. Siete infatti consapevoli che, all’avvio di un nuovo millennio, si impone un’aggiornata interpretazione della regola di vita del vostro singolare servizio. Anche per voi, come del resto per ogni cristiano, decisiva è la riscoperta del Battesimo, fondamento di tutta l’esistenza cristiana. E questo esige un accurato approfondimento catechetico e biblico, una seria revisione di vita ed un generoso slancio apostolico.
Sarete così aperti al mondo di oggi senza venir meno allo spirito dell’Ordine, il cui auspicato rinnovamento dipende soprattutto dalla personale conversione di ciascuno. Come reclamano le vostre insegne: «Oportet gloriari in Cruce Domini Nostri Jesu Christi»: è necessario gloriarsi della Croce del Nostro Signore Gesù Cristo. Sia Cristo il centro della vostra esistenza, di ogni vostro progetto e programma, sia personale sia associativo.
4. Carissimi Fratelli e Sorelle, tra qualche settimana, a Dio piacendo, avrò anch’io la grazia di rendere visita al Santo Sepolcro. Potrò così sostare in preghiera nel luogo in cui Cristo ha offerto la sua vita e l’ha poi ripresa nella Risurrezione, facendoci dono del suo Spirito.
Carissimi Cavalieri, Dame ed Ecclesiastici dell’Ordine, per questo pellegrinaggio conto anche sulla vostra preghiera, per la quale vi esprimo fin d’ora la mia riconoscenza. Vi affido tutti alla materna protezione della Vergine Regina della Palestina. Sia Lei ad assistervi nello speciale compito «di assistere la Chiesa in Terra Santa e di rafforzare nei membri la pratica della vita cristiana» (Direttive, cit., n. 3).

La Santa Famiglia protegga voi e le vostre famiglie. Rifulga nel cuore di ognuno di voi la consolante certezza che Cristo è morto per noi ed è veramente risorto. Egli è vivo: ieri, oggi e sempre.
Con tali sentimenti, volentieri imparto a ciascuno di voi una speciale Benedizione apostolica.

 


 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

NOTE :

 

Capitolo Primo

1 F. CARDINI, La nascita dei templari. San Bernardo di Chiaravalle e la cavalleria mistica, Rimini 1999.

2 A. LUTTRELL, Templari e Ospitalieri in Italia, Milano, 1987, p. 19.

3 Ibid., p. 21.

4 BERNARDO DI CLAIRVAUX, Liber ad milites templi. De laude novae militiate PL 182, 921- 940: Per i cavalieri del Tempio. Elogio della nuova cavalleria, con introduzione, testo latino e traduzione italiana di C.D. FONSECA, in San Bernardo, Opere. I. Trattati, Milano 1984, 425-483.

5 BERNARDO DI CLAIRVAUX, Per i Cavalieri dei Tempio. Elogio della nuova milizia (tr. it. di F. Cardini, in F. CARDINI, La nascita dei templari. San Bernardo di Chiaravalle e la cavalleria mistica, Rimini 1999, pp. 122-124).

6 BRUNO FORTE, Sulle orme dei Cavalieri del Tempio, Il cammino e i luoghi dello spirito, O.N.P. 13 maggio 2004 Napoli.

 

Capitolo Secondo

1 G. DAL NEGRO, Ordo Equestris Sancti sepulcri Hierosolymitani, Lucio Ceci Editore, Napoli 1991, p. 6.
2 Cf. G. GIACOMINI, Storia dei Cavalieri del S. Sepolcro, Ed. A. Fava, Jesi 1971.

3 Arch. Segreto Vaticano, Reg. ad principes, XIII, p. 279 in G. DAL NEGRO, Ordo Equestris Sancti sepulcri Hierosolymitani, Lucio Ceci Editore, Napoli 1991, p. 7.

4 G. DAL NEGRO, Ordo Equestris Sancti sepulcri Hierosolymitani, Lucio Ceci Editore, Napoli 1991, pp. 8-9.

5 Cf. M. VISENTIN, Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Tipolitografia Stiligraf, Cologna Veneta (Verona) 1991, pp. 42-48.

6 G. DAL NEGRO, Ordo Equestris Sancti sepulcri Hierosolymitani, Lucio Ceci Editore, Napoli 1991, p. 15.

 

Capitolo Terzo

1 Acta Apostolicae Sedis, vol. 40, anno 1907.

2 G. DAL NEGRO, Ordo Equestris Sancti sepulcri Hierosolymitani, Lucio Ceci editore, Napoli 1991, p. 19.

 

Capitolo Quarto

1 Cf B. FORTE, Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia. Saggio di una cristologia come storia, San Paolo, Cinesello Balsamo (Mi), 1997, pp. 88-102.

2 R. BROWN, La concezione verginale e la resurrezione corporea di Gesù, Brescia 1977, p. 10.

3 Cf A. PITTA, Il paradosso della croce. Saggi di teologia paolina, Piemme, Casale Monferrato (Al), 1998, pp. 328-337.

4 G. GHILBERTI, La sepoltura di Gesù. I Vangeli e la Sindone, Roma 19822. I D., Lo avvolse in un candido lenzuolo (Mt 27,29), in La Sindone. Indagini scientifiche (a cura di S. Rodante), Atti del IV Congresso Internazionale sulla Sindone, Siracusa 1987, Ed. Paoline, Cinesello Balsamo 1988, pp. 370-380; P.L. BAIMA BOLLONE, Sindone, la prova, Mondatori, 1998, pp. 9-40.

5 F. ROSSI DE GASPERIS, Cominciando da Gerusalemme, la sorgente della fede e dell’esistenza cristiana. Piemme, Casale Monferrato (Al), 1997, pp. 231-531.

6 Direttive per il rinnovamento dell’ordine equestre del santo sepolcro di Gerusalemme in vista del terzo millennio, Roma 3 maggio 1999, Cap. III, pp. 46-51.

7 M. KEHL, E cosa viene dopo la fine?, Queriniana, Brescia 2001, pp. 112-113.

8 Primo Sinodo Chiesa Ordinariato Militare in Italia, Assisi 25.10.1996, 189, 193, 194, 195, 196, 197, 199.

9 Presso Cesare, Livio, Tacito, il termine sacramentum si trova usato per indicare: giuramento militare, arruolamento, servizio militare. Con gli stessi significati è usato da Cicerone in diverse sue opere: De officiis, I, II; Pro domo sua, 29; Pro Milone, 27.
10 Cfr. MOHRMAN C.H., Sacramentum dans les plus anciens texteschrétiens, «The Harvard Theological Review», 47 (1954), pp. 141-152; cfr. RUFFINI E., LODI E., Mysterion e Sacramentum, Bologna 1987. Tertulliano è il primo autore cristiano latino che usa il termine sacramentum per indicare le celebrazioni cristiane, ibid., p.110.
11 Cfr. FONTAINE J., Le culte des martyrs militaires et son expressio poétique au IV siécle, «Augustinianum» (1980), p.162.
12 Cfr. S. GREGORIO NISSENO, Secondo discorso in onore dei Santi Quaranta Martiri, Migne, PG. XLVI; 757.

 

Capitolo Quinto

1 Statuto dell’O.E.S.S.G., Tit. I - Art. 1.

2 Codice di Diritto Canonico, 204, § l.
3 Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 19.

4 Papa Giovanni Paolo lI, Christifidetes laici, 30.

5 Statuto dell’O.E.S.S.G., Art. 2.

6 Concilio Vaticano II, Lumen gentium, Capitolo IV - I Laici, 32

7 Ibid., Capitolo IV - I Laici, 32.

8 Ibid., Capitolo IV, I Laici, 31.

9 Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, Capitolo II, 32

10 Statuto dell’O.E.S.S.G., Premessa

11 Ibid., Premessa

12 Concilio Vaticano II, Lumen gentium, Capitolo 1 V, I Laici, 38.

13 Papa GIOVANNI PAOLO II, Tertio Millennio Adveniente, IV - b) Seconda fase, 41.
14 Ibid., IV - b) Seconda fase, 42.
15 Papa PAOLO VI, Evangeli nuntiandi, 41.

16 Papa GIOVANNI PAOLO II, Tertio Millennio Advoeniente, IV - b) Seconda fase, 43.
17 Ibid., IV - b) Seconda fase, 48.
18 Ibid., IV - b) Seconda fase, 54.
19 Ibid., IV - b) Seconda fase, 41.

20 Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, Capitolo 1, 111 - La riforma della sacra liturgia (C) 33.

21 Ibid., Capitolo I, 111 - La riforma della sacra liturgia, 21.

22 Statuto dell’O.E.S.S.G., Titolo V - Articolo 37, 4.

23 Ibid., Titolo 111 - Articolo 21, 2, b e c

24 Ibid., Titolo V - Articolo 37, 5.

25 Ibid., Articolo 2, 2.
26 Ibid., Articolo 2, 3.

 

 

 


 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA


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44) VISENTIN M., Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Tipolitografia Stiligraf di Cologna Veneta (Verona) 1991.


 

 

 


 

 

 

INDICE


Preghiera del Cavaliere
Presentazione
Considerazione previa
Introduzione


Capitolo Primo: Gli inizi
1. La nascita del cavaliere crociato
1.1. San Bernardo di Chiaravalle e l’ideale di cavalleria cristiana


Capitolo Secondo: I Cavalieri del S. Sepolcro
1. Origine storica
1.1. Dalle origini alla caduta di San Giovanni d’Acri
1.2. Costituzione dei priorati d’Europa
1.2.1. In Italia
1.2.2. In Spagna
1.2.3. In Francia
1.2.4. Nell’Europa orientale
1.2.5. In Germania
1.2.6. In Inghilterra
1.3. Considerazioni conclusive


Capitolo Terzo: Nuovo periodo
1. Epoca contemporanea
1.1. Pio IX
1.2. Leone XIII
1.3. Pio X
1.4. Benedetto XV
1.5. Pio XI
1.6. Pio XII
1.7. Giovanni XXIII e Paolo VI
1.8. Attualità dell’Ordine


Capitolo Quarto: Valore storico-teologico del Santo Sepolcro di Gerusalemme
1. Non è solo una tomba
1.1. Santo Sepolcro
1.1.1. Racconti delle apparizioni
1.1.1.1. Iniziativa del Risorto
1.1.1.2. Riconoscimento
1.1.1.3. Missione
1.1.2. Racconti del Sepolcro vuoto
1.2. Gerusalemme
1.3. La panoplia

 

Capitolo Quinto: Nel terzo millennio
1. Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme in vista del terzo millennio
1.1. Lavori della Commissione
1.2. Origine storica e giuridica
I. Identità dell’Ordine
1.3. La missione e la spiritualità dell’Ordine
I. La vocazione comune cristiana
II. La responsabilità sociale dei membri dell’Ordine oggi
III. La missione specifica dei membri dell’Ordine
IV. La spiritualità dell’Ordine
1.4. Appartenenza all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme »
I. Selezione dei candidati
II. Formazione dei candidati
III. Cerimonie di investitura dell’Ordine
IV. Formazione permanente dei membri
1.5. Le luogotenenze al servizio dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
I. Le luogotenenze ed il Gran Magistero
II. Responsabilità delle luogotenenze
III. Visite alla sede dell’Ordine
1.6. Il Gran Magistero al servizio dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
I. Guida e coordinamento delle attività dell’Ordine
II. Coordinamento delle attività caritative dell’Ordine
III. Allargamento della attività caritativa in Terra Santa
IV. Espansione delle attività caritative dell’Ordine
1.7. Guardando alla gloria della resurrezione
Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II al Giubileo 2000


Bibliografia
Motto dell’Ordine (II di copertina)

Indice


 

 

 


 

Fonte :  scritto del Comm. Dr. Francesco Russo , finito di stampare nel mese di ottobre 2006 nello Stabilimento della Poligrafica F.lli Ariello s.a.s. - Napoli.

Scheda biografica
FRANCESCO RUSSO, nato a Napoli il 18 novembre 1961, dopo aver conseguito il diploma di licenza liceale classica presso l’Istituto Bianchi dei padri Barnabiti, si è laureato in Medicina e Chirurgia e quindi specializzato in Oculistica ed in Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Ha conseguito il bacciellerato in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale sezione S. Tommaso d’Aquino.
Fa parte dell’Ordine Equestre dei Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Luogotenenza per l’Italia Meridionale Tirrenica - Sezione Parthenope - Delegazione di Pozzuoli; attualmente è insignito del grado di Commendatore. Svolge l’attività di medico legale presso l’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1.

 

 

 

 

 


 

 

 

OESSG

Luogotenenza per Italia Meridionale Tirrenica

 

 

E-mail: info@oessg-lgimt.it

Web: www.oessg-lgimt.it