Ordine Equestre del  Santo Sepolcro di Gerusalemme

 

LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA


  CULTURA E SPIRITUALITA' : L'avvento del Regno: Meditazione sul terzo Mistero della Luce, di don Cesare Mariano.

prima pagina  

 

 

L'AVVENTO DEL REGNO

Meditazione sul terzo Mistero della Luce

di don Cesare Mariano


 

“Si autem non perturbas aquam cordis tui,

et hic agnosces pacem Scripturarum,

et habebis cum eis et tu pacem”

(Aug., Serm. 47)

 

 

§ x. Introduzione

 

Lettera ap. Rosarium Virginis Mariae di San Giovanni Paolo II, n. 21:

“Mistero di luce è la predicazione con la quale Gesù annuncia l'avvento del Regno di Dio e invita alla conversione (cfr Mc 1, 15), rimettendo i peccati di chi si accosta a Lui con umile fiducia (cfr Mc 2, 3-13; Lc 7, 47-48), inizio del ministero di misericordia che Egli continuerà ad esercitare fino alla fine del mondo, specie attraverso il sacramento della Riconciliazione affidato alla sua Chiesa (cfr Gv 20, 22-23)”.

 Da questo numero della RVM traggo le linee portanti di questa lectio.

§ 1. L’avvento del Regno

            § 2. Il Regno e la metánoia

§ 3. Il Regno mistero di misericordia, mistero di umiltà e grandezza, di piccolezza e gloria. Altre caratteristiche del Regno (alla luce soprattutto di Mt 13 e anche alla seconda domanda del “Pater”)

§ 4. il Regno e la Chiesa (prospettive spirituali e pastorali)

§ 5. Maria e il Regno

 

Estratto:

Nell’Antico Testamento le frasi “regno di Dio/regno dei cieli” indicano la regalità di Dio in atto nella Creazione e nella storia, regalità che implica la risposta ed il coinvolgimento attivo da parte dell’uomo. Nel Regno di Dio si realizza così una sinergia tra l’azione di Dio e l’azione dell’uomo. Difatti, alla categoria di Regno di Dio è collegata quella di alleanza.

Nel Nuovo Testamento queste accezioni trovano la loro puntualizzazione e la suprema e definitiva realizzazione nella persona di Gesù Cristo, che è l’autobasileía toû theoû, Ipsum Regnum Dei cioè il «Regno di Dio in persona». Gesù è venuto nella carne, nella sua Pasqua di morte e risurrezione ha instaurato il Regno di Dio, del quale la Chiesa costituisce sulla terra “germen et initium” (Lumen gentium 5), verrà alla fine della storia, viene nella vita dei cristiani, per estendere la sua signoria d’amore e di pace su tutte le creature. L’attuatore della regalità del Padre in Cristo Gesù è lo Spirito Santo: «Il regno di Dio (...) è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). Egli opera, in sinergia con i credenti, perché Cristo sia conosciuto ed amato da tutti e perché tutti trovino in lui la vita e la pace.


§ 1. L’avvento del Regno

 

Et vidimus gloriam ejus (Gv 1,14).

In questi termini la comunità giovannea coralmente proclama l’avvenimento del Regno di verità e e di grazia nell’incarnazione del Verbo. La Parola creatrice che è all’origine di tutto ed in cui tutto consiste si rende visibile in un volto, tangibile in un corpo, in una carne: «e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità (…). Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,1-18, spec. 14.18).

L’annunzio del Regno, la sua attuazione attraverso i gesti compiuti da Gesù e, dietro suo mandato, dai suoi Apostoli sono le vie attraverso cui Dio si comunica all’uomo.

La rivelazione di Dio, la sua attestazione nella storia avviene, come ci insegna la Dei Verbum (la costituzione del Concilio Vaticano II sulla divina rivelazione)– «con eventi e parole intimamente connessi tra loro (= gestis verbisque intrinsece inter se connexis), in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole proclamano le opere e illuminano il mistero in esse contenuto». Cf. Dei Verbum, n. 2).

Già nell’Antico Testamento e nelle fonti giudaiche antiche “Regno di Dio” o “Regno dei cieli” indicano non appena una realtà politica o  geografica ma la regalità di Dio in atto nella creazione e nella storia, regalità che implica la risposta ed il coinvolgimento attivo (una sinergia) da parte dell’uomo.

Difatti, alla categoria di Regno di Dio è collegata quella di alleanza.

Va detto, tuttavia, che la dimensione spaziale non è esclusa: sia nell’ebraico malkût (da mélek, re, presente in varie forme - Malik , Melik , Malka , Malek , Malick , o Melekh – in tutte le lingue semitiche e anche in Mesopotamia: la forma più arcaica Maloka indicava un principe o capo nell’accadico parlato in Assiria/Babilonia/Caldea) sia nel greco basileia (da basileus, re, di etimologia discussa: forse identificabile con la forma micenea pasireu che nel 13° sec. a.C. indicava, tuttavia, un signore sottoposto al vero e proprio re, wanakasi; comunque, già nei poemi omerici indica il monarca) si esprime tanto il poter regale quanto il reame (regnum in latino indica entrambe le cose).

Tuttavia, come appare nei Sinottici e in modo ancora più evidente nel quarto Vangelo nel contesto del drammatico dialogo tra Gesù e Pilato, il Regno di Gesù è Regno di verità, ossia una regalità, un potere non astratto, non disincarnato ma di origine trascendente: è immanente sì, ma perché è trascendente, perché proviene dalla Verità di Dio.

Gv 18,33-38:

33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».

Poiché, è Gesù la via, la verità e la vita (Gv 14,6), il Regno di Dio consiste nella sua stessa persona. In lui, nella sua vera umanità assunta dal Verbo Dio sta regnando, sta cioè esercitando il suo potere per la salvezza dell’uomo.

Questo regno è già quello escatologico.

Non deve essere superato perché non può essere superato.

In Cristo l’autocomunicazione di Dio agli uomini è perfetta e definitiva.

Il tempo dello Spirito Santo che è quello della Chiesa non è affatto superamento del regno di Cristo, della regalità salvifica di Gesù ma il suo annuncio, la sua dilatazione fino agli estremi confini della terra.

Il Regno di Cristo non può essere superato ma deve essere annunciato, comunicato, diffuso tra gli uomini, dando forma alle anime, alle società, ai rapporti tra gli uomni e gli stati:

«Nel confronto con testi giudaici si nota con sorpresa che Gesù in molti casi parla del regno di Dio come i rabbi parlano dell’eone futuro (banchetto escatologico, essere grandi nel regno, entrare nel regno di Dio, ereditare, essere preparato); anche questo è un indizio del carattere cosmico, universale, escatologico che il regno ha per Gesù» (U. Luz, “basileia”, DENT 535; cf. Dalman, Worte 75-119).

 

Gesù Cristo, che è l’autobasileía toû theoû, cioè il «Regno di Dio in persona».

Il ministero messianico di Gesù sia inteso come un ministero evangelico, un ministero che intende portare agli uomini il vangelo, cioè il lieto annunzio dell’amore misericordioso di Dio per Israele e per tutte le nazioni.

La gioia piena legata alla venuta del Messia è dovuta al fatto che egli, l’Unto del Signore rinnoverà, portandola a compimento, la gioia dell’Esodo, attirando a sé in quest’esplosione di gioia tutte le creature: non solo tutti i popoli della terra (cf. Is 2,2-5; Zc 8,20-23; 9,9-10) ma anche i cieli, le montagne, il deserto, le profondità della terra, le foreste (cf. Is 35,1-10).

Ciò si evidenzia nell’annunzio programmatico fatto da Gesù nella sinagoga di Nazareth proprio all’inizio del suo ministero:

«Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”» (cf. Lc 4,16-21).

 

L’annunzio di Nazareth costituisce come il frontespizio di tutta la missione di Gesù. Nella sua predicazione, Gesù annunzia in tutti i modi e da tutti i versanti che il Regno di Dio è presente nella sua persona e che esso è fonte di gioia sempre, anche nelle situazioni apparentemente più svantaggiose e travagliate (come si vede nel testo delle Beatitudini: cf. Mt 5,1-12; Lc 6,20-23). Questo paradosso (la gioia nella sofferenza) si acuirà fino all’estremo nel Mistero della passione e della croce di Gesù, Mistero che costituisce un tutt’uno con il trionfo della Risurrezione:

Il Regno di Dio venuto, presente, annunciato, comunicato nella persona di Gesù è mistero di luce proclamato e realizzato da Gesù nel suo ministero messianico e, in forma definitiva, nella sua Pasqua di passione, morte e risurrezione.

Messale Romano, Prefazio delle Dom. del T.O. IV:

“Egli, nascendo da Maria Vergine, ha inaugurato i tempi nuovi; soffrendo la passione ha distrutto i nostri peccati; risorgendo dai morti, ci ha aperto il passaggio alla vita eterna; salendo a te, o Padre, ci ha preparato un posto nel tuo Regno”.

La rivelazione / instaturazione del Regno è Mistero di luce.

Nei libri profetici, la simbologia della luce è collegata soprattutto alla manifestazione del Messia. Molto significativo in proposito l’oracolo di Is 8,23 – 9,6, soprattutto nel suo incipit: «1Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (cf. Is 9,1). Nei versetti successivi, l’irruzione della luce, apportatrice di gioia e di pace (cf. Is 9,2-4), viene direttamente collegata alla nascita del Re – Messia.

Quanto agli autori del Nuovo Testamento, essi hanno attinto a piene mani alla ricchezza simbolica del tema della luce negli scritti dell’Antico Testamento, muovendosi lungo tre assi tematici:

 

a) Gesù è identificato con la luce;

b) è luce il mistero salvifico di Gesù, sia per quanto riguarda le sue parole che le sue azioni;

c) è luce la nuova condizione di cui Gesù rende partecipi i suoi discepoli.

 

In Gv 1,4-9 ricorre per ben sei volte la parola fos, cioè luce:

«4In lui (cioè nel Logos) era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. 6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». 

Rimanendo ancora nel Vangelo di Giovanni, sono molto importanti tre passaggi in cui, con qualche diversità terminologica, Gesù si identifica con la luce.

8,12: «Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».

9,5: «Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».

12,46: «Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre».


§ 2. Regno e metánoia

 

Di fronte all’avvento del Regno, di fronte luce che è il Regno, è necessaria la conversione come premessa e specialmente come conseguenza (Mt 3,8.11; Mc 1,4; Lc 3,3.8; 5,32; 15,7; 24,47; At 5,31; 11,18; 13,24; 19,4; 20,21; 26,20; Rm 2,4; 7,9.10; 2Cor 7,9.10; 2Tm 2,25; Eb 6,1.6; 12,17; 2Pt 3,9):

- come metánoia, come cambiamento di giudizio

- come conseguente metamórfosis, cambiamento di vita nella sua forma sorgiva, rinunciando agli “schemi” del mondo per accogliere la “forma” di Cristo.

cf. Rm 12,2: non con-schematizzatevi all’eone transitorio ma trasformatevi (metamorfoûsthe) nel rinnovamento della mente (tê anakainósei toû noûs – metánoia) per discernere la volontà di Dio, ciò che è buono e bello e gradito e perfetto.

È il percorso degli Esercizi spirituali ignaziani: deformata reformare, reformata conformare, conformata confirmare e confirmata transformare.

 

Mt 4,12-17:

«12Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: 15Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! 16Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta. 17Da allora (apò tote) Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

L’espressione apò tòte con cui l’evangelista annunzia l’inizio del ministero pubblico di Gesù, ossia l’inizio della sua rivelazione in parole ed in opere, non scandisce semplicemente una successione cronologica ma indica di che natura è tale rivelazione: si tratta della manifestazione della luce stessa di Dio, che consiste nel Regno di Dio predicato ed attuato da Gesù.

L’identificazione dell’opera salvifica di Gesù con la luce appare anche nei numerosi racconti di guarigione o, per meglio dire, d’illuminazione di ciechi (cf. Mt 9,27-31; 20,29-34; Mc 8,22-26; 10,46-52; Lc 18,35-43; Gv 9,1-41). In questi miracoli è l’intera opera salvifica di Dio che è evocata e, ferma restando la storicità dei fatti miracolosi, simbolicamente descritta. In questo senso, la luce va vista come simbolo della fede, così come le tenebre sono simbolo dell’incredulità:

«Nei miracoli di guarigione dei ciechi si adempie ciò che si attendeva per il tempo messianico: Dio (…) in Gesù diventa la guida del suo popolo, come al tempo dell’esodo. (…) Come all’origine delle tenebre, di cui la cecità è simbolo, c’è l’incredulità (Mc 4,11-12; Gv 9,1-42; Is 6,9-10), così alla base dell’illuminazione c’è la fede. In questi miracoli di guarigione, i verbi “guarire”, “ricuperare la vista”, “vederci di nuovo” non sono più limitati al solo corpo dell’uomo, ma diventano sinonimi di “salvezza”. Essi non appartengono più al vocabolario della medicina e della scienza, ma si trasformano nel vocabolario della luce / salvezza che solo Dio può dare all’uomo (Mc 10,52; Gv 9,39)» (Cf. P. Gironi, “Luce / tenebre”, Nuovo Dizionario di Teologia Biblica (Cinisello Balsamo 1988, 1994) 860.

 

La conversione, a livello noetico e a livello etico consiste nel diventare luce da luce.

Mt 5,13-16:

«13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

 

In questo passo, Gesù delinea quella che potremmo definire la carta d’identità dei suoi discepoli e lo fa con due frasi assolutamente geniali: «Voi siete il sale della terra», «Voi siete la luce del mondo». I due complementi di specificazione “della terra” e “del mondo” ci fanno comprendere subito che è qui in gioco il volto dei cristiani davanti agli altri e non davanti a qualche passante appena, ma al cospetto del mondo intero, della storia umana nella sua totalità. In questo contesto, l’aspetto più immediato espresso dal simbolo della luce è il fatto che esso esalta la positività e l’efficacia della missione dei discepoli. Le tenebre possono essere fitte e diffuse quanto vogliono ma una sola particella di luce ha la meglio su di loro, le tenebre non possono impedire che essa rifulga e risplenda. Nelle parole di Gesù c’è, dunque, un messaggio d’incoraggiamento e di speranza per i suoi discepoli d’ogni tempo, che spesso possono essere presi dal timore che il potere delle tenebre sia troppo forte per essere sconfitto dalla luce. La buona notizia recata loro da Gesù è che non è così: la luce è più forte delle tenebre. E questo perché Dio è luce, Gesù è luce.

Per avere la meglio sulle tenebre, i discepoli sono chiamati semplicemente ad accogliere ogni giorno in sé stessi la luce di Cristo. Così saranno essi stessi luce che risplende sul mondo. In questo senso l’espressione la vostra luce del v. 16 va parafrasata come la luce che siete voi. Così la vita dei discepoli sarà non una lampada nascosta sotto un vecchio secchio ma una città collocata sopra un monte, un faro che aiuta i marinai a non perdere la rotta.

Un’analoga identificazione dei discepoli con la luce o con i “figli della luce”(chiamati a maneggiare le “armi della luce” ed a portare il «frutto della luce») è presente in vari passaggi dell’epistolario paolino (cf. Rm 13,12-13; 1Ts 5,5; Ef 5,9-11.14). In questi passi, l’Apostolo mette in evidenza la netta distinzione dei cristiani rispetto all’ordinamento della tenebra e della morte e precisa i risvolti morali dell’illuminazione che essi hanno ricevuto in Cristo Gesù.

Consideriamo per tutti il testo di Ef 5,8-9:

«8Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; 9ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità».

Questo testo della lettera agli Efesini, con l’evidente riferimento alla grazia del Battesimo, sacramento della rinascita che consiste nell’illuminazione del neofita, nel passaggio dalle tenebre alla luce, mette in evidenza il principio fondamentale dell’etica cristiana e cioè il primato della grazia, il primato dell’agire di Dio sull’agire dell’uomo. Di conseguenza, l’etica cristiana si configura come un’etica responsoriale, come una “risposta” all’iniziativa del Padre che si è rivelato e donato e si dona agli uomini attraverso la rivelazione / dono del Figlio e dello Spirito Santo.


§ 3. Il Regno è mistero di misericordia e di gloria paradossale (grandezza nell’umiltà, luce nel nascondimento). Caratteristiche del Regno (Mt 13)

 

Il Regno è mystérion (sacramentum) di misericordia e di riconciliazione.

Sacramentum – Mysterion indica un realtà totalmente di Dio che è anche totalmente per l’uomo perché l’uomo sia tutto di Dio.

Il Regno è per la salvezza dei peccatori.

È mistero, cioè rivelazione e gratuita dispensazione dell’amore misericordioso di Dio, compendio di tutte le divine perfezioni manifestate e donate da Gesù:

Messale Romano, Prefazione Cristo Re:

“Tu con olio di esultanza hai consacrato Sacerdote eterno e Re dell’universo il tuo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Egli, sacrificando se stesso, immacolata vittima di pace sull’altare della Croce, operò il mistero dell’umana redenzione; assoggettate al suo potere tutte le creature, offrì alla tua maestà infinita il regno eterno e universale: regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”.

 

Il Regno è il tema principale della predicazione di Gesù così come è presentata dai Vangeli Sinottici. Un posto del tutto speciale nel quadro della predicazione di Gesù è occupato dal c. 13 del vangelo di Matteo, il discorso parabolico, nel quale Gesù presente il Regno in una serrata successione serie di otto parabole.

La parabola (ebr. mashal) consiste nel paragonare, accostare due realtà: una misteriosa (il Regno di Dio) e una immediata, perché la seconda introduca a una comprensione più profonda della prima. Il fondamento del metodo parabolico non è solo logico o razionale ma teologico e metafisico. Poiché Dio è all’origine e al centro di ogni cosa, la parabola fa affiorare in superficie ciò che è al cuore di tutto e di cui tutte le cose parlano.

 

Unum loquuntur omnia recita un celebre passo dell’Imitazione di Cristo (Ex uno Verbo omnia et unum loquuntur omnia, et hoc est Principium quod et loquitur nobis).

Il significato si ricava dall’insieme della narrazione e non tanto dai particolari (diversità dall’allegoria).
In geometria i punti della parabola sono egualmente distanti da un punto fisso detto FUOCO della parabola e da una retta fissa detta DIRETTRICE della parabola.
Nelle parabole di Gesù anche i particolari hanno importanza (come si vede del tutto chiaramente nelle spiegazioni che lui stesso offre della parabola del seme e di quella della zizzania: 13,18-22; 13,36-43) ma purché essi rimangano sempre ben ancorati al fuoco e alla direttrice della parabola. Altrimenti, il rischio è di cadere in un’allegoresi che allontana dal senso autentico della parabola.

Nelle parabole c’è una dose notevole di ironia.
Boccaccio (che intitola il suo Decamerone: 100 novelle, o favole o parabole) coglie bene quest’aspetto: nella evangelica dottrina parlò molte cose in parabole, le quali sono conformi in parte allo stile comico”.

Le parabole di Gesù si muovono sempre lungo tre linee direttrici:


1) CRISTOLOGICA: la venuta del regno di Dio nella sua persona


2) TRINITARIA: si delineano i tratti del volto del Padre


3) ANTROPOLOGICA: la posizione che l’uomo è chiamato ad assumere rispetto al Regno. Il CCC al n. 546 afferma: “le parabole sono come specchi per l’uomo”.

 

Seguiamo ora da vicino il capitolo 13 del vangelo di Matteo.

 

INTRODUZIONE NARRATIVA (13,1-3)

1Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. 2Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.

3Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse:

 

Questi primi vv. ci offrono uno spaccato pittoresco della predicazione di Gesù, una predicazione di carattere popolare (nulla di accademico): la cattedra (improvvisata) è una barca, la sinagoga è sostituita dalla spiaggia su cui s’assiepano le folle, così numerose da costringere Gesù a parlare dalla barca. Il metodo di predicazione è quelle delle parabole. La parabola (ebr. mashal) consiste nel paragonare, accostare due realtà: una misteriosa (il Regno di Dio) e una immediata, perché la seconda introduca a una comprensione più profonda della prima. Il fondamento del metodo parabolico non è solo logico o razionale ma teologico e metafisico. Poiché Dio è all’origine e al centro di ogni cosa, la parabola fa venir fuori ciò che è al cuore di tutto e di cui tutte le cose parlano.

“Unum loquuntur omnia” recita un celebre passo dell’Imitazione di Cristo (Ex uno Verbo omnia et unum loquuntur omnia, et hoc est Principium quod et loquitur nobis).

PRIMA PARABOLA: IL SEME (PARABOLA SULLE PARABOLE) 13,3b-9

«Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9Chi ha orecchi, ascolti».

 

Protagonista della parabola è il seme. Matteo e Luca hanno ripreso la parabola da Marco. In un suo studio sulla parabola in Marco (“Mark 4,1-20. Yet Once More”), Moule ha efficacemente definito questa parabola come “la parabola delle parabole”, in cui si mette a tema la questione dell’accoglienza del Vangelo del Regno proclamato da Gesù

Le due linee classiche d’interpretazione:

1) la prima pone l’accento sullo sviluppo della parabola considerandola dunque come un compendio dell’esperienza di annuncio del Regno da parte di Gesù e della Chiesa;

- «Come ogni didaskalos anche il seminatore della parola del Regno deve mettere in conto le sconfitte» (Jülicher, Gleichnisreden II, 536)

- «Molte parole sono dette al vento» (Weiss) - «Il senso della missione di Gesù si afferma solo nel pericolo» (Dietzfelbinger) - «Il regno di Dio è qui, ora che dappertutto si manifesta l’ostilità verso di lui» (Schweizer).

2) la seconda concentrandosi sulla conclusione considera la parabola come una proclamazione dell’efficacia del seme del Regno.

- «nel mezzo dei fallimenti presenti i lettori possono nutrire la fiducia che il regno di Dio si affermerà» (Dodd)

- «Gesù, il seminatore fiducioso, confida nel raccolto abbondante» (Jeremias)

- Al di là dei loro fallimenti i discepoli devono vedere «la promessa incondizionata di Dio» (Drewermann)

- Dove vengono seminati semi c’è un parte in cui «produrranno frutto» (Weder)

- «Il germe per il futuro straordinario successo è già stato messo a dimora» (Klauck)

- «La basileia viene già con la semina» (Lohfink)

Il senso della parabola è evidente. Il seminatore è Dio stesso e/o è Gesù. San Tommaso d’Aquino interpreta l’uscita del seminatore come la generazione del Figlio all’interno del Mistero trinitario.

Il seme è la Parola del Regno, presente nella persona di Gesù, nel suo predicare e agire.

I diversi terreni rappresentano i diversi destinatari umani del seme.

Alcuni (la strada) lasciano che il seme rimanga in superficie e lo espongono agli uccelli. Altri (il terreno sassoso) hanno uno strato troppo poco profondo, così il germoglio spunta ma è debole e viene bruciato dal sole.

Altri offrono al seme un terreno occupato da erbacce e spine le quali, crescendo assieme al buon seme, lo soffocano.

Altri accolgono il seme e portano frutto nella misura chi del cento, chi del sessanta, chi del trenta per uno.

Il messaggio della parabola è fondamentalmente positivo.

È positivo nel fatto che dà inizio a tutto: il seminatore semina.

È positivo nell’esito: il seme porta frutto (in misura diversa ma comunque sovrabbondante). Tra questo fatto iniziale e fondamentale e l’esito vi sono degli insuccessi ma essi non impediscono al seme caduto nella buona terra di fruttificare ed al seminatore di continuare a seminare.

Dunque, Gesù dà un messaggio d’incoraggiamento e di speranza. È come se ci dicesse: guardate che io sto seminando, voi preoccupatevi di essere buon terreno e i frutti, certamente, verranno.

Pur nel mezzo dei fallimenti presenti, i lettori possono nutrire la ferma fiducia nel fatto che il Regno si affermerà (cf. Dodd, Parables): si affermerà per una forza insita nel seme e perché la terra buona c’è:

- BONTÀ CREATURALE: Gn 1,26-27: l’uomo creato secondo lo tselem e il demut di Dio, secondo l’immagine e la somiglianza del Creatore e dunque capace di portare un frutto corrispondente a questa verità creaturale

- INCARNAZIONE: umanità di Cristo: la terra bella è l’umanità del nuovo Adamo, la cui efficacia è data agli uomini che aderiscono a lui nella fede.

Il senso della parabola è evangelico sin dall’inizio e poi anche nel compimento.

Jeremias sottolinea che Gesù agisce come un seminatore fiducioso in un raccolto abbondante.

È molto significativo il parallelismo con il racconto sacerdotale della Creazione (terzo giorno).

Gen 1,9-13:

9Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l’asciutto». E così avvenne. 10Dio chiamò l’asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona. 11Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne. 12E la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. 13E fu sera e fu mattina: terzo giorno.

La seminagione della Parola del Regno corrisponde e dà compimento all’opera della Creazione.

 

PRIMO INTERVALLO ESPLICATIVO (13,10-23)

10Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». 11Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. 13Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. 14Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice:

Udrete, sì, ma non comprenderete,

guarderete, sì, ma non vedrete.

15Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,

sono diventati duri di orecchi

e hanno chiuso gli occhi,

perché non vedano con gli occhi,

non ascoltino con gli orecchi

e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca! (Isaia 6,9-10)

[La traduzione di καὶ ἰάσομαι αὐτούς proposta dalla CEI 2008 lascia molto a desiderare: il senso è quello di un forte stacco rispetto ai versi precedenti: e io li guarirò. Il καὶ sembra avere un senso concessivo: ebbene, nonostante il loro indurimento io li guarirò].

16Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. 17In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!

18Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. 19Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, 21ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. 22Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. 23Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

 

I discepoli si avvicinano a Gesù e gli chiedono delle spiegazioni di carattere “esoterico”: in realtà, si tratta di una riservatezza che si spiega con lo sviluppo progressivo della rivelazione del Regno.

La citazione del testo di Is 6,9-10 (LXX) fa emergere una secca contrapposizione tra il noi dei discepoli e gli altri (sullo sfondo la dialettica noi/loro).

Non si possono conoscere i misteri del Regno senza accogliere la persona di Gesù, senza diventare suoi discepoli.

La richiesta d’approfondimento riguarda prima di tutto la modalità stessa dell’insegnamento di Gesù: “perché parli loro in parabole”? In un secondo momento, la spiegazione della parabola del seminatore (13,18-23).

L’interpretazione dei vv. 10-16 è da sempre molto controversa.

Forse che Gesù teorizza un cristianesimo di tipo gnostico con i perfetti, gli illuminati da una parte ed i “carnali” dall’altra?

Forse che egli prospetta addirittura una doppia predestinazione alla salvezza per gli uni ed alla condanna per gli altri?

Il punto principale da considerare è il contesto costituito dall’esperienza della comunità matteana e dalla teologia della storia da essa elaborata.

Osserva in proposito U. Luz (II, 394):

«Il nostro brano è un esempio classico di come talora il vangelo di Matteo non si schiuda se ci si limita a leggerlo come “racconto”. Il suo macrotesto è certo trasparente per l’esperienza storica della comunità. Esso le insegna a capire come già a Gesù sia successo ciò che essa stessa ha sperimentato nella propria storia [ecco lo scambio dei binari!]: il no della maggioranza d’Israele e la separazione del popolo. Per Matteo l’incomprensione del popolo è, per così dire, già prestabilita [non predestinata!] alla luce della fine della storia – di quella di Gesù e di quella della comunità. Già Mc 4,10-12, la fonte che sta alla base del nostro brano, era un tentativo di capire nel presente questa mancanza di comprensione d’Israele. Matteo riprende questo tentativo e lo porta avanti».

Alla luce della rivelazione cristiana nel suo complesso, alla luce del contesto allargato del Vangelo di Matteo e del contesto immediato costituito appunto dalla parabola del seminatore, in cui c’è un seminatore che semina con larghezza per tutti i terreni (= le tipologie di uomini), senza fare discriminazioni tra gli uni e gli altri, il testo non afferma certo una rivelazione od una seminagione per la condanna di qualcuno e per la salvezza di qualcun altro ma per la salvezza di tutti.

Le parabole fanno verità, gettano luce, fanno venire a galla la posizione spirituale che ogni uomo assume rispetto al Regno.

Osserva Luz (II,396s):

«Per Matteo la cecità e la sordità di Israele sono un dato di fatto assodato. Esse non sono provocate dalle parabole di Gesù, bensì, al contrario, il discorso in parabole di Gesù è la “risposta” a tale incomprensione. Oppure si può dire, ancora meglio, che nel parlare in parabole si condensa in forma narrativa l’incomprensione del popolo».

Anzi, il parlare in parabole rientra nella volontà universale di salvezza che Dio attua nel Regno presente in Gesù: «Se Israele dovesse ravvedersi, Dio lo guarirebbe davvero!» (Luz I, 397). Gesù sceglie di lasciare ancora nella penombra il suo messaggio, di far ricorso alle parabole per non lasciar sprigionare la forza, l’efficacia della sua Parola, della sua rivelazione nel suo potenziale di condanna. In questo senso sono decisivi i versetti 12-13: Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.

Dunque, il parlare in parabole rientra nella volontà universale di salvezza che Dio attua nel Regno presente in Gesù.

Gesù sceglie di lasciare ancora nella penombra il suo messaggio, di far ricorso alle parabole per non lasciar sprigionare la forza, l’efficacia della sua Parola, della sua rivelazione nel suo potenziale di condanna. In questo senso sono decisivi i versetti 12-13: Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.

In chi è ancora chiuso all’annunzio del Regno, in chi ha rifiutato sinora di divenire discepolo di Gesù, del Regno, la piena manifestazione del messianismo di Gesù nel suo carattere di umiltà e di nascondimento sarebbe occasione di ulteriore indurimento, di ulteriore accecamento. Ecco perché Gesù sceglie la penombra delle parabole, per evitare un no categorico al Regno che coinciderebbe con un’autocondanna e per porre le premesse di una progressiva apertura al Regno stesso.

Nei vv. 16-17 (provenienti dalla fonte Q) alla situazione di sordità/cecità del popolo si contrappone la beatitudine dei discepoli che consiste nel fatto di udire (capire) e vedere. Ciò è dovuto alla loro adesione a Gesù, al fatto d’aprirsi con fede all’insegnamento di Gesù: «I discepoli non sono coloro che capiscono: essi lo diventano grazie all’insegnamento di Gesù» (Luz, II, 398).

 

A ciò che tutti, più o meno direttamente, avrebbero potuto cogliere anche da soli, la spiegazione dei vv. 18-23 aggiunge soprattutto lo svelamento degli avversari del terreno, di coloro che impediscono al cuore dell’uomo di accogliere la Parola del Regno e cioè: il Maligno (Satana), le tribolazioni e le persecuzioni, la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza. A ben vedere, però, queste realtà più che cause della non germinazione del seme sono occasioni che rivelano un’inconsistenza del terreno. Dunque, la parabola ci invita con forza a prendere coscienza della decisività del cuore dell’uomo e della sua libertà, chiamata a volgersi a Dio e al suo Regno presente nella persona di Gesù con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (Dt 6,5) così da essere terreno, grembo accogliente e fecondo per il seme della Parola.

 

SECONDA PARABOLA: IL BUON SEME E LA ZIZZANIA (13,24-30)

24Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”».

 

Punti salienti

- drammatica del Regno (commixtio) – cf. la teologia della storia che Agostino sviluppa nel De civitate Dei.

- la realtà dell’ ἐχθρὸς ́νθρωπος, l’inimicus homo, dell’avversario del Regno: è l’anti-padre: settima domanda del Pater

- discernimento finale ad opera di Dio stesso

- pazienza nel tempo che precede tale compimento

- i discepoli non hanno il compito di creare una comunità rigorista di integralisti, scrupolosamente attenti a rimanere “figli della luce” restando separati dai “figli delle tenebre” (Esseni, Farisei, Donatisti, Montanisti) ma, al contrario, di collaborare alla dilatazione del Regno fino agli estremi confini della terra.

 

Gesù è in cammino verso la Croce.

Lì si rivelerà in pienezza la vera purezza, la purezza di Dio che non esclude ma abbraccia e santifica:

«Nella passione di Gesù, tutto lo sporco del mondo viene a contatto con l’immensamente Puro, con l’anima di Gesù Cristo e così con lo stesso Figlio di Dio. Se di solito la cosa impura mediante il contatto contagia ed inquina la cosa pura, qui abbiamo il contrario: dove il mondo, con tutta la sua ingiustizia e con le sue crudeltà che lo inquinano viene a contatto con l’immensamente Puro – là, Egli, il Puro, si rivela al contempo il più forte. In questo contatto, lo sporco del mondo viene realmente assorbito, annullato, trasformato mediante il dolore dell’amore infinito» (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret II, c. 8).

 

TERZA PARABOLA: IL GRANELLO DI SENAPE (13,31-32)

31Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».

 

Punti salienti

- dialettica piccolo / grande: il granello di senape nera (brassica nigra) ha un diametro che non supera di molto 1mm e la pianta può raggiungere fino a quattro metri di altezza

- dialettica realtà / apparenza

- acutezza di sguardo per cogliere la crescita del Regno a vari livelli (storia dell’interpretazione)

A) In noi stessi (il Regno cresce in noi) – Ambrogio, Agostino

B) nella Chiesa (Cristo fa crescere la Chiesa) – Origene,

C) nel cosmo (la Chiesa fa crescere il mondo)

D) nel futuro escatologico (il Regno sta crescendo nella storia) – cf. Schweitzer, Weiss, Jeremias.

 

QUARTA PARABOLA: IL LIEVITO (13,33)

33Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

 

Punti salienti

- dialettica invisibile / visibile, non piccolo / grande: tre staia corrispondono più o meno a 40 litri, una quantità sufficiente per produrre 50 kg di pane, per un pasto di circa 200 persone. Il lievito, inoltre, è escluso dai riti pasquali

- processo in fieri: l’accento è sulla forza dinamica del lievito che determina la CRESCITA

- acutezza di sguardo

ASSIEME ALLA TERZA PARABOLA, LA QUARTA METTE IN LUCE LA CARATTERIZZAZIONE UMILE E CRUCIFORME DEL REGNO: CRESCE NEL NASCONDIMENTO, NELL’UMILIAZIONE, NEL RIFIUTO. MA È PROPRIO NELLA CROCE CHE MANIFESTA LA SUA FORZA.

Elogio sepolcrale di S. Ignazio: “Non coerceri a maximo contineri tamen a minimo divinum est”.

 

SECONDO INTERVALLO ESPLICATIVO (13,34-43)

34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:

Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo (Salmo 78,2)

36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!

 

QUINTA PARABOLA: IL TESORO NASCOSTO NEL CAMPO (13,44)

44Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

 

Punti salienti

- dialettica invisibile / visibile

- ricerca, ritrovamento, nascondimento

- gioia

- tutto per il Regno

È questa l’essenza del discepolato: Mc 8,34-38; Mt 16,24-28; Lc 9,23-27: chi vuole salvare la propria vita la perderà, chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà.

- acquisto del campo: il Regno è grazia ma esige anche magnanimità d’animo, disponibilità a dare tutto per possedere il Regno (cf. Mc 10,21; Mt 6,19-34 al centro del discorso della montagna; Mt 19,21 [il giovane ricco]).

 

SESTA PARABOLA: IL MERCANTE E LA PERLA (13,45-46)

45Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

 

Punti salienti

- dialettica invisibile / visibile

- ricerca, ritrovamento, nascondimento

La ricerca è una condizione indispensabile perché uno possa trovare: “cercate e troverete” (Mt 7,7)

- tutto per il Regno

- acquisto del campo: il Regno è grazia ma esige anche magnanimità d’animo, disponibilità a sacrificare tutto per il Regno, perché il Regno è il vero bene.

 

SETTIMA PARABOLA: LA RETE A STRASCICO GETTATA IN MARE (13,47-50)

47Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.

 

Punti salienti

- i pesci cattivi sono saprà, non commestibili o legalmente impuri: cf. Lv 11,10-12; Dt 14,9ss.

- drammatica del Regno (commixtio); cf. la seconda parabola: il buon seme e la zizzania

- discernimento finale: ESCHATON: ότως ́σται ἐν τͅ συντελείᾳ τοῦ αἰῶνος·

- certezza sul compimento ultimo

- pazienza nel tempo che precede tale compimento; VIGILANZA: poiché la Chiesa non è una comunità di perfetti, l’appartenenza materiale può non essere sufficiente, è necessaria un’appartenenza reale, è necessario essere giusti (καὶ ἀφοριοῦσιν τοὺς πονηροὺς ἐκ μέσου τῶν δικαίων).

 

TERZO INTERVALLO: DOMANDA DI GESÙ (13,51)

51Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì».

 

Nella risposta affermativa dei discepoli risalta il “guadagno”, il frutto del discepolato: un incremento di umanità, un di più a livello di intelligenza del reale, di capacità di conoscere la verità delle cose.

Lumen fidei, n. 1: CHI CREDE VEDE, cioè CHI SEGUE VEDE.

 

OTTAVA PARABOLA: LO SCRIBA DISCEPOLO (PARABOLA SULLE PARABOLE) 13,52

52Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

 

καινὰ καὶ παλαιά - NOVA ET VETERA

- COMPIMENTO: nesso tra Antico e Nuovo Testamento

DV 16: Novum in Vetere latet et in Novo Vetus patet (Agostino)

- RIVELAZIONE: nesso tra parole e azioni

Dei Verbum 2: “Haec revelationis oeconomia fit gestis verbisque intrinsece inter se connexis”

- INTELLIGENZA DEI SEGNI per sé e per tutti: questa è l’essenza della PROFEZIA

Gaudium et spes 4: “Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico”.

 

CONCLUSIONE NARRATIVA. 13,53

Terminate queste parabole, Gesù partì di là.

 

A proposito della conclusione di 13,53: LE PARABOLE NON SONO DELLE STORIE AVULSE DALLA STORIA DI GESÙ: SONO PARTE INTEGRANTE DELL’AVVENIMENTO SALVIFICO CHE CONSISTE NELLA PERSONA STESSA DI GESÙ: IN LUI IL REGNO DI DIO È PRESENTE. EGLI È L’AUTOBASILEIA TOÛ THEOÛ, il Regno di Dio in persona: in ciò che Gesù dice, in ciò che Gesù fa, nella sua stessa persona, Dio sta regnando, sta cioè esercitando il suo potere, la sua onnipotenza per la salvezza dell’uomo.

Cf. Rm 14,17-18: «Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi si fa servitore di Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini».

 

La domanda “venga il tuo Regno” è presente sia nella forma matteana che in quella lucana della preghiera del Signore (cf. Mt 6,9-13; Lc 11,2-4).

La forma è identica in Mt 6,10a ed in Lc 11,2c: «venga il tuo regno» (in greco: elthéto e basileía sou).

Quando il cristiano, figlio nel Figlio chiede al Padre celeste “venga il tuo Regno”, si riferisce sia alla venuta di Gesù nell’oggi della Chiesa (venuta che ha il suo vertice nella celebrazione eucaristica) sia alla manifestazione finale della regalità di Cristo nella Parusia, quando egli verrà a giudicare i vivi ed i morti ed instaurerà il suo Regno eterno di giustizia e di pace, dove Dio sarà tutto in tutti (cf. 1Cor 15,28), compiendo perfettamente ogni nostro desiderio: «Anche se questa preghiera non ci avesse imposto il dovere di chiedere l'avvento del Regno, noi avremmo, con incontenibile spontaneità, lanciato questo grido, bruciati dalla fretta di andare ad abbracciare ciò che forma l'oggetto delle nostre speranze» (Tertulliano, De oratione, 5).

 

 


§ 4. Il Regno e la Chiesa (prospettive spirituali e pastorali)

 

Fondamentale il numero 5 della Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II Lumen gentium:

“Il mistero della santa Chiesa si manifesta nella sua stessa fondazione. Il Signore Gesù, infatti, diede inizio ad essa predicando la buona novella, cioè l'avvento del regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura: « Poiché il tempo è compiuto, e vicino è il regno di Dio » (Mc 1,15; cfr. Mt 4,17). Questo regno si manifesta chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere e nella presenza di Cristo. La parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato nel campo (cfr. Mc 4,14): quelli che lo ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo (cfr. Lc 12,32), hanno accolto il regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto (cfr. Mc 4,26-29). Anche i miracoli di Gesù provano che il regno è arrivato sulla terra: « Se con il dito di Dio io scaccio i demoni, allora è già pervenuto tra voi il regno di Dio » (Lc 11,20; cfr. Mt 12,28). Ma innanzi tutto il regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, figlio di Dio e figlio dell'uomo, il quale è venuto « a servire, e a dare la sua vita in riscatto per i molti » (Mc 10,45). Quando poi Gesù, dopo aver sofferto la morte in croce per gli uomini, risorse, apparve quale Signore e messia e sacerdote in eterno (cfr. At 2,36; Eb 5,6; 7,17-21), ed effuse sui suoi discepoli lo Spirito promesso dal Padre (cfr. At 2,33). La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l'inizio. Intanto, mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e brama di unirsi col suo re nella gloria”.

 

La Chiesa germe e inizio del Regno.

vs. Loisy e teologia liberale: A. Loisy: «Gesù annunciò il regno di Dio ed è venuta la Chiesa»

La Pasqua, l’Ascensione e la Pentecoste con la nascita della Chiesa sono tre momenti dell’unico e medesimo Mistero: l’instaurazione del Regno di Cristo.

Cristo Risorto, asceso alla gloria del Padre come Signore dell’Universo, effonde in comunione con il Padre lo Spirito Santo, l’artefice d’ogni santificazione, colui che viene a rinnovare la terra attraverso la Chiesa, la comunione di persone in mezzo alla quale Gesù sta ed opera:

«La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”» (cf. Gv 20,19-23).

 

Nel mondo devastato dal disordine e dalla forza disgregatrice del peccato, lo Spirito Santo fa riaccadere il miracolo dell’unità e della concordia. Il peccato, la menzogna, la folle pretesa di costruire la città dell’uomo senza Dio producono Babele, producono la città della divisione, dell’incomunicabilità e della discordia. Lo Spirito, invece, costruisce una nuova città per l’uomo, la città di Dio, in cui gli uomini possono incontrarsi nella concordia e nella pace:

«Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso e riempì tutta la casa dove stavano. (…) Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore la folla si radunò e rimase turbata perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: “Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? Come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?» (cf. At 2,1-8).

 

Nella Chiesa, germe e inizio del Regno escatologico, nella Parola di Dio che essa annuncia e da cui è sempre generata, nei Sacramenti che essa celebra e da cui essa è vivificata (la Chiesa fa l’Eucarestia – l’Eucarestia fa la Chiesa), nella sua vita teologale di fede, speranza e carità – nella Chiesa è possibile a ogni uomo di incontrare Cristo.

«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un Avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (DCE 1).

Oltre alla critica di Loisy e degli altri esponenti della teologia liberale, il Regno nelle sue caratteristiche cristologica ed ecclesiologica subirono due forti contestazioni o, per meglio dire, due forme di secolarizzazione, ancora presenti ai nostri giorni:

- la secolarizzazione politico-storicista

- la secolarizzazione scientista e tecnicista

Queste vaste tematiche furono al centro dell’avvincente sviluppo concettuale proposto da Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi del 30 nov. 2007.

In particolare, in Spe salvi Benedetto XVI affronta a viso aperto la critica blochiana alla speranza ebraico-cristiana e la conseguenze proposta di sostituire al Regno di Dio un regno umano di giustizia. Nel Das Prinzip Offnung, Bloch riconosce alla Bibbia di aver portato al mondo la nozione, il concetto stesso di speranza, ma di averlo fatto in maniera sterile, risultando nei fatti incapace di liberare davvero l’uomo e la società. Per questo, secondo il filosofo tedesco, la liberazione sarebbe venuta dall’ideologia marxista, che avrebbe dato contenuto reale alla speranza ebraico-cristiana, trasformando questa speranza illusoria in una speranza reale: “è in vista una fine del tunnel che non proviene dalla Palestina ma da Mosca: ubi Lenin, ibi Jerusalem”, “dove è Lenin, lì è la Gerusalemme Celeste”.

Questo è la secolarizzazione storicista del Regno.

Passiamo ora a quella scientista.

In Spe salvi, Benedetto XVI la fa risalire a Francesco Bacone (Spe salvi, 17). La «redenzione», la restaurazione del «paradiso» perduto, non si attende più dalla fede, ma dal collegamento appena scoperto tra scienza e prassi. Non è che la fede, con ciò, venga semplicemente negata; essa viene piuttosto spostata su un altro livello – quello delle cose solamente private ed ultraterrene – e allo stesso tempo diventa in qualche modo irrilevante per il mondo. Questa visione programmatica ha determinato il cammino dei tempi moderni e influenza pure l'attuale crisi della fede che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristiana. Così anche la speranza, in Bacone, riceve una nuova forma. Ora si chiama: fede nel progresso. Per Bacone, infatti, è chiaro che le scoperte e le invenzioni appena avviate sono solo un inizio; che grazie alla sinergia di scienza e prassi seguiranno scoperte totalmente nuove, emergerà un mondo totalmente nuovo, il regno dell'uomo»

Le due tappe essenziali della concretizzazione politica della fede-speranza nel progresso sono la Rivoluzione francese e la Rivoluzione bolscevica, ossia la rivoluzione della borghesia e quella del proletariato. In entrambe è presente il grande sogno, la grande utopia di edificare il regno di Dio sulla terra e di edificarlo naturalmente senza Dio, come regno dell’uomo e solo dell’uomo.

A questo punto, Benedetto XVI osserva che proprio al momento della sua affermazione (in Russia e non solo), il marxismo ha rivelato i suoi limiti, soprattutto l’errore fondamentale di Marx, quello di aver perso di vista l’uomo. In nome di idee, peraltro in parte condivisibili, egli ha dimenticato l’uomo.

La vera liberazione non può venire con il cambiamento di strutture esterne, con l’introduzione di idee giuste (ma che, al di fuori, di un tessuto organico di verità) ma attraverso un cambiamento dell’uomo dall’interno, cambiamento che non può avvenire grazie alle sole forze dell’uomo ma che deve essere accolto da Dio come grazia, come dono. «L'uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza. [...] Un « regno di Dio » realizzato senza Dio – un regno quindi dell'uomo solo – si risolve inevitabilmente nella «fine perversa» di tutte le cose descritta da Kant (nel Das Ende aller Dinge del 1795): l'abbiamo visto e lo vediamo sempre di nuovo. Ma non vi è neppure dubbio che Dio entra veramente nelle cose umane solo se non è soltanto da noi pensato, ma se Egli stesso ci viene incontro e ci parla» (Spe salvi, 23).

Dunque, è il farsi avvenimento di Dio nella storia umana, la sua rivelazione a noi in parole ed in opere e poi, nella pienezza dei tempi, personalmente in Gesù Cristo, che introduce nel mondo la grande speranza. L’uomo, infatti, non può essere redento attraverso idee, concetti, strutture, ma solo per mezzo dell’amore.

D’altra parte, è vero che si tratta di un Regno e non di piccoli principi su piccoli principati disseminati in remote asteroidi. Non potremo salvarci da soli, dovremo rendere conto degli altri, di ciò che abbiamo fatto del nostro mondo, del giardino che Dio ci aveva affidato. L’assioma patristico Extra Ecclesiam nulla salus”, significa appunto che non c’è salvezza che non abbia una dimensione sociale, comunitaria, storica.
La fede cristiana c’impedisce di ritenere che conta solo salvarsi l’anima nel giudizio particolare, attraversare questo mondo infetto e le sue battaglie “con una rosa in mano” (secondo l’espressione del romanziere francese Jean Giono). Al contrario, inserendoci in un’intima comunione con Cristo, la fede ci apre agli altri. Dice Benedetto XVI al n. 28 della Spe salvi: «vivere per Lui significa lasciarsi coinvolgere nel suo “essere per”».


Lasciarsi coinvolgere ora. Essere partecipi ora in pienezza della comunione ecclesiale. È questa la condizione per partecipare un giorno alla comunione dei santi in Paradiso. Ciò significa che la visione della vita beata a cui è orientata tutta la comunità cristiana, ha una reale capacità d’incidere sulla storia umana, non con la pretesa di portare il Paradiso in terra, ma di rendere visibile già ora quel Regno di luce e di pace verso cui è in cammino tutta la storia umana.


Per questa ragione, l’apologia di Benedetto XVI presenta anche dei riferimenti ad avvenimenti, fatti, persone in cui la speranza cristiana ha mostrato, dimostrato la sua consistenza, la sua credibilità, o meglio quella che potremmo definire come la sua sperabilità. Mi limito ora semplicemente a richiamarli con un breve commento:

 

a) la fine della schiavitù.

Il cristianesimo non aveva portato un messaggio sociale-rivoluzionario come quello di Spartaco, Barabba o Bar-Kochba. Tuttavia, il Cristianesimo annunciava il Vangelo che dall’interno avrebbe eroso qualsiasi ordinamento basato sulla discriminazione e sulla diseguaglianza tra gli uomini. Afferma il Papa al n. 4: «Anche se le strutture esterne rimanevano le stesse, questo cambiava la società dal di dentro. Se la Lettera agli Ebrei dice che i cristiani quaggiù non hanno una dimora stabile, ma cercano quella futura (cfr Eb 11,13-16; Fil 3,20), ciò è tutt'altro che un semplice rimandare ad una prospettiva futura: la società presente viene riconosciuta dai cristiani come una società impropria; essi appartengono a una società nuova, verso la quale si trovano in cammino e che, nel loro pellegrinaggio, viene anticipata» (Spe salvi, 4).
Ecco perché San Paolo, nella lettera a Filemone, rimandando allo stesso Filemone, lo schiavo Onesimo che era fuggito da lui “non più come schiavo, ma molto più che schiavo come fratello carissimo” (Fm 16). Alla luce della lettera a Filemone si vede che gli uomini che, secondo l’ordinamento dello stato, si rapportano tra loro come padroni e schiavi, secondo il nuovo ordinamento determinato dall’incorporazione a Cristo, in quanto membri dell'unica Chiesa sono diventati tra loro fratelli e sorelle.

 

b) la fine del dominio della materia, della soggezione agli elementi del mondo.

Al tempo in cui il Cristianesimo irruppe nella storia il mondo veniva concepito come soggetto alla signoria degli «elementi del cosmo» (Col 2,8), in cui lo spazio per l’uomo, lo spazio per la ragione e la libertà era fortemente limitato. In questo contesto il Cristianesimo apportò un’autentica rivoluzione. Cito da Spe salvi 5: «In questa prospettiva un testo di san Gregorio Nazianzeno può essere illuminante. Egli dice che nel momento in cui i magi guidati dalla stella adorarono il nuovo re Cristo, giunse la fine dell'astrologia, perché ormai le stelle girano secondo l'orbita determinata da Cristo. Di fatto, in questa scena è capovolta la concezione del mondo di allora che, in modo diverso, è nuovamente in auge anche oggi. Non sono gli elementi del cosmo, le leggi della materia che in definitiva governano il mondo e l'uomo, ma un Dio personale governa le stelle, cioè l'universo; non le leggi della materia e dell'evoluzione sono l'ultima istanza, ma ragione, volontà, amore – una Persona. E se conosciamo questa Persona e Lei conosce noi, allora veramente l'inesorabile potere degli elementi materiali non è più l'ultima istanza; allora non siamo schiavi dell'universo e delle sue leggi, allora siamo liberi. Una tale consapevolezza ha determinato nell'antichità gli spiriti schietti in ricerca. Il cielo non è vuoto. La vita non è un semplice prodotto delle leggi e della casualità della materia, ma in tutto e contemporaneamente al di sopra di tutto c'è una volontà personale, c'è uno Spirito che in Gesù si è rivelato come Amore (CCC 1817-1821)».

 

c) Il ruolo svolto dal Cristianesimo al tempo delle invasioni barbariche.

Quando l'irruzione di questi nuovi popoli minacciò la coesione del mondo determinata dall’Impero e dalla civiltà romana, nella quale era data una certa garanzia di diritto e di vita in una comunità giuridica, il Cristianesimo s’incaricò di garantire i fondamenti veramente portanti di questa comunità di vita e di pace, fondamenti che permisero di poter sopravvivere nel mutamento del mondo determinato dalle invasioni barbariche e posero le premesse per la costruzione di una nuova civiltà (Spe salvi, 15).

 

d) Il compito semplicemente decisivo del monachesimo nella nascita e nello sviluppo dell’Europa, attraverso l’unificazione della preghiera e del lavoro, l’ora et labora, l’unificazione della ricerca di Dio attraverso la preghiera e l’impegno per la crescita della città dell’uomo attraverso il lavoro. Il Papa osserva che nel Medioevo, i monaci si riconobbero responsabili per l'intero organismo della Chiesa, anzi, per l'umanità intera. I contemplativi – contemplantes – divennero così anche lavoratori laborantes. I giovani nobili che affluivano nei monasteri cistercensi si piegarono al lavoro manuale. Certo, San Bernardo era consapevole che neanche il monastero può ripristinare il Paradiso; sostiene però che esso deve, quasi luogo di dissodamento pratico e spirituale, utile a preparare il nuovo Paradiso (Spe salvi, 15), che discende dall’alto come dono assolutamente gratuito di Dio.

 

e) la testimonianza dei santi: «Questa nuova libertà, la consapevolezza della nuova “sostanza” che ci è stata donata, si è rivelata non solo nel martirio, in cui le persone si sono opposte allo strapotere dell'ideologia e dei suoi organi politici, e, mediante la loro morte, hanno rinnovato il mondo. Essa si è mostrata soprattutto nelle grandi rinunce a partire dai monaci dell'antichità fino a Francesco d'Assisi e alle persone del nostro tempo che, nei moderni Istituti e Movimenti religiosi, per amore di Cristo hanno lasciato tutto per portare agli uomini la fede e l'amore di Cristo, per aiutare le persone sofferenti nel corpo e nell'anima. [...] Per noi che guardiamo queste figure, questo loro agire e vivere è di fatto una “prova” che le cose future, la promessa di Cristo non è soltanto una realtà attesa, ma una vera presenza (Spe salvi, 8)

Dunque, nonostante i limiti ed i peccati degli uomini, la speranza cristiana non s’è dimostrata, alla prova dei fatti, al vaglio della verifica della storia, sterile ed inoperosa, al contrario si è dimostrata capace di cambiare realmente e in bene le strutture e le vicende degli uomini. Questo perché chi è certo del futuro, è capace di uno sguardo nuovo e di una forza nuova rispetto al presente. Questa consapevolezza è all’origine di alcune rappresentazioni dell’inizio del Cristianesimo di Gesù come il filosofo ed il pastore, come colui che è capace d’indicare la direzione della vera vita (il filosofo) e di precederci verso il compimento della stessa (il pastore): «Il vero pastore è Colui che conosce anche la via che passa per la valle della morte; Colui che anche sulla strada dell'ultima solitudine, nella quale nessuno può accompagnarmi, cammina con me guidandomi per attraversarla: Egli stesso ha percorso questa strada, è disceso nel regno della morte, l'ha vinta ed è tornato per accompagnare noi ora e darci la certezza che, insieme con Lui, un passaggio lo si trova. La consapevolezza che esiste Colui che anche nella morte mi accompagna e con il suo «bastone e il suo vincastro mi dà sicurezza», cosicché «non devo temere alcun male» (cfr Sal 23 [22],4) – era questa la nuova « speranza » che sorgeva sopra la vita dei credenti» (Spe salvi, 7).

 

            Interessanti prospettive di approfondimento e di attualizzazione spirituale e missionaria vi sono anche nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium (24 nov. 2013), considerata il documento programmatico del magistero di Papa Francesco.

 

Evangelii gaudium, 278s:

«278 Crediamo al Vangelo che dice che il Regno di Dio è già presente nel mondo, e si sta sviluppando qui e là, in diversi modi: come il piccolo seme che può arrivare a trasformarsi in una grande pianta (cfr Mt 13,31-32), come una manciata di lievito, che fermenta una grande massa (cfr Mt 13,33) e come il buon seme che cresce in mezzo alla zizzania (cfr Mt 13,24-30), e ci può sempre sorprendere in modo gradito. È presente, viene di nuovo, combatte per fiorire nuovamente. La risurrezione di Cristo produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano. Non rimaniamo al margine di questo cammino della speranza viva!

279. Poiché non sempre vediamo questi germogli, abbiamo bisogno di una certezza interiore, cioè della convinzione che Dio può agire in qualsiasi circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti, perché «abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (2 Cor 4,7). Questa certezza è quello che si chiama “senso del mistero”. È sapere con certezza che chi si offre e si dona a Dio per amore, sicuramente sarà fecondo (cfr Gv 15,5). Tale fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata. Uno è ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola attraverso il mondo come una forza di vita. A volte ci sembra di non aver ottenuto con i nostri sforzi alcun risultato, ma la missione non è un affare o un progetto aziendale, non è neppure un’organizzazione umanitaria, non è uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra propaganda; è qualcosa di molto più profondo, che sfugge ad ogni misura. Forse il Signore si avvale del nostro impegno per riversare benedizioni in un altro luogo del mondo dove non andremo mai. Lo Spirito Santo opera come vuole, quando vuole e dove vuole; noi ci spendiamo con dedizione ma senza pretendere di vedere risultati appariscenti. Sappiamo soltanto che il dono di noi stessi è necessario. Impariamo a riposare nella tenerezza delle braccia del Padre in mezzo alla nostra dedizione creativa e generosa. Andiamo avanti, mettiamocela tutta, ma lasciamo che sia Lui a rendere fecondi i nostri sforzi come pare a Lui».


§ 5. Maria e il Regno

 

Siamo nella chiesa di Santa Maria del Sepolcro, dove è custodita la più importante reliquia della città di Potenza e, penso, della nostra Regione: la reliquia del sangue di Cristo qui solennemente riposta dal vescovo Bonaventura Claverio nel 1656.

Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa dum pendebat Filius (Jacopone da Todi).

Rimase ferma ai piedi della Croce Maria, unita all’oblazione del Figlio come Corredentrice, come principale collaboratrice nell’opera del Figlio, nell’instaurazione del Regno di giustizia, di amore, di pace che consiste nella persona stessa del Figlio e che rimane presente nel Mistero della Chiesa, della quale Maria è Madre in virtù del supremo testamento d’amore del Figlio.

Gv 19,25-27: “dice alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio”. Ecco la tua madre”. E da quell’ora il discepolo la prese nella sua famiglia

            Croce e Risurrezione sono i due eventi cruciali che compongono il Mistero pasquale di Gesù. Anche per Maria è così.

C’è la Croce del Figlio accolta come propria, in un modo così pieno da meritarle il titolo di Regina dei Martiri.

C’è la gloria della Risurrezione: quella del Figlio, quella di Maria, nella sua assunzione al cielo in anima e corpo e nella sua regalità celeste.

«A questa gloria che, con l'Ascensione, pone il Cristo alla destra del Padre, Ella stessa sarà sollevata con l'Assunzione, giungendo, per specialissimo privilegio, ad anticipare il destino riservato a tutti i giusti con la risurrezione della carne. Coronata infine di gloria – come appare nell'ultimo mistero glorioso – Ella rifulge quale Regina degli Angeli e dei Santi, anticipazione e vertice della condizione escatologica della Chiesa» (JP II, RVM, 23)

Questa condizione escatologica è il Regno non più solo come “germe” e “inizio” ma come realizzazione compiuta e definitiva. È verso il Regno che la Chiesa e ogni singolo credente è in cammino, in pellegrinaggio:

«Ogni giorno del nostro pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre nuovo del tuo amore per noi, e un pegno della vita immortale, perché possediamo fin da ora le primizie del tuo Spirito, nel quale hai risuscitato Gesù Cristo dai morti, e viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza nella Pasqua eterna del tuo Regno» (Pref. Dom. T.O. VI).

 

 

 

 

 


 

Fonte :  Segreteria della Luogotenenza per l'Italia Meridionale Tirrenica : Delegazione di Potenza, relazione di don Cesare Mariano al terzo incontro formativo sui Misteri della Luce del 30 giugno 2020 , inviato da Francesco Cafarelli.

 

 

 

 

 

 


 

 

 

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